di Riccardo Lenzi, presidente dell’Associazione Piantiamolamemoria
La procura di Bologna, titolare delle indagini sulla strage alla stazione, ha finalmente archiviato l’infondata “pista palestinese”, pervicacemente sostenuta in tutti questi anni da vari depistatori, di professione e occasionali. In attesa che, dopo quasi 35 anni, anche i mandanti vengano individuati e puniti (meglio tardi che mai, come per i nazisti novantenni o gli aguzzini dei regimi sudamericani), quale migliore occasione per riepilogare ciò che è stato accertato dalla magistratura in sentenze spesso citate, ma quasi mai lette.
Novembre 1995: la Corte Suprema di Cassazione a Sezioni Unite Penali conferma definitivamente la condanna all’ergastolo Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro. Se la cava il neofascista Sergio Picciafuoco: assolto dalla magistratura fiorentina per non aver commesso il fatto. Per aver depistato le indagini, vengono invece condannati il capo della loggia massonica P2 Licio Gelli (10 anni), il “faccendiere” massone Francesco Pazienza (8 anni), il generale piduista del SISMI Pietro Musumeci (8 anni e 5 mesi) e il colonnello del SISMI Giuseppe Belmonte (7 anni e 11 mesi). Non sarà possibile giudicare il capo del SISMI: il generale Giuseppe Santovito, anch’egli iscritto alla P2, morì nel 1984.
Aprile 2007: la Cassazione conferma la condanna di Luigi Ciavardini (30 anni) in quanto esecutore materiale, insieme a Mambro e Fioravanti, dell’attentato. Ciavardini, all’epoca dei fatti minorenne, è stato giudicato in un processo distinto.
Nonostante i loro impressionanti curriculum criminali Mambro e Fioravanti, condannati complessivamente a 15 ergastoli e un risarcimento miliardario, oggi sono liberi cittadini. Pur non avendo mai confessato le loro responsabilità nella strage, né aiutato gli inquirenti ad individuare e condannare complici e mandanti. Per quale motivo sono già liberi? La domanda andrebbe forse posta al Csm. In questo caso, infatti, “garantismo” e “giustizialismo” non c’entrano nulla. Perché, per esempio, l’ordinovista Vincenzo Vinciguerra – reo confesso per la strage di Peteano (31 maggio 1972) e contribuito all’accertamento della verità – è ancora detenuto nelle patrie galere? Nulla di strano, si dirà, nel paese dei due pesi e delle due misure.
Come se non bastasse, da vent’anni siamo circondati – a destra, a sinistra e al centro – da innocentisti a prescindere che, forse, non si sono mai posti un semplice interrogativo: come mai gli avvocati di Mambro e Fioravanti non hanno chiesto la revisione di un processo ritenuto ingiusto? E che dire delle parole del camerata Gennaro Mokbel, intercettato al telefono con il boss Carmine Fasciani: «li ho tirati fuori tutti io… tutti con i soldi mia, lo sai quanto mi so costati Cà?… un milione e due…un milione e due…». Chissà se qualcuno, a Roma, sta indagando anche su questo.
Infine tocca sopportare anche i politici che parlano di cose che non sanno. Ultimo arrivato il deputato leghista Gianluca Pini, che – forse volendosi mostrare in sintonia con il ritrovato alleato Berlusconi – anziché occuparsi delle sue vicende giudiziarie, dice che a vergognarsi dovrebbero essere i giudici: il somaro che dà del cornuto all’asino.
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