Emilia Romagna: Errani, il PD e la prossima legislatura regionale

24 Luglio 2014 /

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Regione Emilia Romagna - Foto di Wikipedia
Regione Emilia Romagna - Foto di Wikipedia

di Sergio Caserta
Vasco Errani ha fatto molto bene, responsabilmente e risolutamente, a dimettersi da Presidente della Regione dopo la sentenza d’appello che lo riguarda; ha ottenuto per questo suo atto il sostegno e la solidarietà di larga parte del mondo politico e delle forze sociali. Perfino il Grande Rottamatore nella recente riunione della direzione PD, ha avuto per lui parole d’elogio. Tutti plaudono all’indiscutibile onestà e totale dedizione alla causa della regione, dei cittadini eccetera.
A suo tempo, prima delle precedenti elezioni, scrissi (in solitudine) che mi sembrava un errore il terzo mandato (forse oggi lo pensa anche Errani). Già allora la situazione programmatica e politica si presentava abbastanza appannata, per non dire deteriorata; poi scoppiò lo scandalo di Del Bono e delle sue “spese pazze” da vicepresidente. Era un segnale preciso delle cose che non andavano.
Ora il problema non è solo giudicare personalmente Errani, bensì cercare di comprendere quale sia la situazione e il futuro della regione, una delle più importanti d’Italia per reddito e capacità produttive, almeno prima dell’attuale grave crisi economica. Una forza politica seria dovrebbe trarre da una vicenda anche spiacevole che azzera la sua classe dirigente, l’occasione per comprendere se tutto ha veramente funzionato bene, se non ci sono elementi di correzione da imprimere all’azione politica e programmatica.

Non c’è traccia invece di una discussione di questo genere nel partito democratico, l’unico argomento posto all’attenzione dell’opinione pubblica è chi potrà essere il prossimo Presidente. Penso, invece, che per le forze alla sinistra del PD il primo compito è quello di tracciare un bilancio della legislazione e capire quali sono i maggiori problemi da affrontare nel prossimo mandato che si preannuncia nient’affatto facile.
Individuerei cinque aree tematiche in cui si distinguono “alcune luci e non poche ombre” e su cui costruire i necessari approfondimenti:

  • 1) La situazione dell’apparato produttivo, delle politiche economiche e industriali, dell’occupazione.
  • 2) Le scelte in materia di urbanistica, il consumo di suolo e l’ambiente.
  • 3) Le infrastrutture e i trasporti, la condizione della mobilità collettiva in Regione, il sistema degli appalti.
  • 4) Il welfare state, la sanità, i servizi alla persona, la scuola e la cultura.
  • 5) Il metodo di governo, il sistema dei rapporti istituzionali, il rapporto con i portatori d’interesse, la spinta alla privatizzazione, le politiche delle multi-utility, la partecipazione alle scelte e la trasparenza.

L’economia della Regione segna il passo da non poco tempo, la crisi economica è globale, eppure la capacità di risposta del sistema produttivo emiliano romagnolo in altri tempi è stata molto più forte; penso che la finanziarizzazione, il declino della stagione degli imprenditori “capitani coraggiosi” che fondarono un sistema un tempo all’avanguardia, siano stati sostituiti  prevalentemente dall’ economia del mattone che ha determinato soprattutto consumo di suolo, in una misura mai così pervasiva e congestionante.
I piani urbanistici di molti Comuni, caratterizzati da sovradimensionate espansioni, senza adottare misure di contenimento e di controllo adeguate, pur previste dalle norme vigneti. I gravi fenomeni d’infiltrazione criminale, ignorati prima e compresi in ritardo, favoriti nel sistema degli appalti pubblici  dal ricorso sistematico alla regola del massimo ribasso e del subappalto.
Nelle costruzioni non si sono sostenute nuove scelte in materia di riqualificazione energetica degli edifici, come in altre regioni si è fatto con ottimi risultati. Forti resistenze hanno impedito scelte innovative che avrebbero potuto qualificare e salvaguardare meglio il settore, Oggi si “piangono” le crisi di molte importanti imprese edili, anche cooperative, un tempo fiori all’occhiello dell’economia.
Nel settore delle infrastrutture si sono compiute scelte molto discutibili, in particolare senza intervenire sugli errori clamorosi di programmazione di progettazione di altri enti locali, come nel caso della metropolitana fallita di Parma o dei progetti per lo più fallimentari, ideati dal Comune di Bologna negli ultimi quindici anni.
A cosa serve un ente sovraordinato se si limita a mediare tra le diverse spinte ( il più delle volte determinate da interessi economici di parte) e a non svolgere una funzione d’indirizzo e di controllo? Soprattutto cosa accadrà ora che le province sono state assorbite dalle per nulla chiare funzioni metropolitane? Penso non da ora che il limite culturale e politico maggiore dell’attuale classe dirigente, sia la logica di assecondare acriticamente gli interessi dei cosiddetti “poteri forti”, pensando in questo modo di contribuire alla crescita economica:  la realtà sta smentendo plasticamente questa convinzione.
Facciamo il caso di scuola del People Mover, investimento deciso dal Comune di Bologna (?),  da subito contestato nel merito tecnico e dal punto di vista contrattuale e legale per  l’affidamento al gestore con un sistema improprio di project financing. Fior fiore di esperti di trasportistica hanno posto in evidenza i limiti e gli errori del progetto,nessuno si è posto il problema di ascoltare queste osservazioni. Si è proceduto testardamente fino all’ormai preannunciato fallimento.
Una Regione che investe circa trenta milioni di euro in questo progetto, avrebbe dovuto svolgere un ruolo di controllo e non accondiscendere a procedure discutibili, dove sta la funzione dell’ente? L’unico valore che interessa è conservare il sistema di equilibri di potere esistenti, a danno dell’efficacia delle decisioni.
L’esercizio ottuso del potere  diventa una camicia di forza che imprigiona ogni possibilità di cambiamento, non sviluppa le potenzialità insite in una società ricca e dinamica come l?Emilia Romagna. Ecco perché è necessaria una forte discontinuità d’idee e metodi nell’azione di governo, una discussione che dovrebbe stare al primo posto dell’agenda politica.
Le forze di sinistra, se intendono non essere, com’è stato finora, gli invitati poveri al tavolo del Governo cui lasciare qualche avanzo, devono elaborare una propria idea programmatica e porla in discussione per verificare quali condizioni ci sono per partecipare alle elezioni. Il partito democratico deve essere costretto a mettere in discussione, se vuole realizzare alleanze a sinistra, alcuni capisaldi delle sue scelte, soprattutto in materia d’indirizzi di politica urbanistica, ambientale, economica e di democrazia partecipativa.
Tutto quanto detto fin qui deve essere messo in pratica già dalle prossime elezioni di novembre. L’alternativa, in caso di risposta negativa, è la costruzione di una lista civica e di sinistra, con un’autonoma proposta programmatica e politica e una candidata-candidato alla presidenza.

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