Piazza Grande di marzo: droghe, un affare

11 Marzo 2014 /

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Piazza Grande - Marzo 2014
Piazza Grande - Marzo 2014
di Leonardo Tancredi
Il numero di marzo di Piazza Grande si concentra sul dibattito sulla legalizzazione delle droghe leggere, che ha preso nuovo slancio dopo la dichiarazione di incostituzionalità della legge Fini-Giovanardi. In copertina il volto di Giovanni Tizian, giornalista dell’Espresso che da anni si occupa di criminalità organizzata nelle economie locali, che spiega: “Nell’ambito delle limitazioni imposte al commercio dei prodotti in questi anni, nessun provvedimento ha aumentato i guadagni delle mafie quanto il proibizionismo applicato al consumo di droghe leggere”. Dal dicembre 2011, Tizian vive sotto scorta. “Finora, i più colpiti dagli effetti della legge Fini-Giovanardi sono stati gli anelli deboli della catena produttiva. Raramente un arresto isolato per spaccio di cannabis consente agli inquirenti di arrivare ai vertici dell’attività di importazione e, quindi, a smantellare un clan”.
Su posizioni simili è Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone, attiva nella tutela dei diritti delle persone detenute, che considera la Fini-Giovanardi “una legge repressiva, moralistica e ascientifica”. Gonnella, intervistato da Alice Facchini, racconta che oggi 1 detenuto su 4 ha problemi di tossicodipendenza, e poco meno del 40% delle persone entra in carcere per la legge antidroga. “Con questo provvedimento sono scomparse le politiche di riduzione del danno e sono stati introdotti strumenti univoci di repressione criminale, senza considerare che si tratta di una questione più complessa che richiederebbe interventi sociali più profondi. Mettendo sullo stesso piano droghe leggere e pesanti, il problema del sovraffollamento delle carceri si è quindi acuito”.

La parola va poi a Ornella Favero, direttrice di Ristretti Orizzonti, giornale del carcere di Padova, intervistata da Silvia Reatti. Gli effetti che può avere la detenzione su persone tossicodipendenti possono essere devastanti: “Il carcere può anche diventare una scuola di criminalità. Non è né una pena né un rimedio per questo tipo di reati, perché il tossicodipendente può anche stare un periodo senza farsi, ma la dipendenza psicologica resta, e quando esce la prima cosa che fa è tornare alla droga e a commettere reati per pagarsela”. Le soluzioni alternative al carcere ci sarebbero, manca solo la volontà politica. “I tossicodipendenti potrebbero essere accompagnati in un percorso di comunità, oppure un percorso terapeutico che permetta loro di affrontare il tema della tossicodipendenza, da cui derivano i reati. E poi bisogna lavorare sulla prevenzione”.
Nelle pagine interne, una panoramica sulla legislazione mondiale sulla cannabis per uso ricreativo. Non ci si limita alla dicotomia legale-illegale, ma si trovano molte variabili: dalla legalizzazione effettiva a una tolleranza tale da renderla legale di fatto, fino ad arrivare all’estremo opposto delle condanne a morte in estremo Oriente e Arabia. L’unico Paese al mondo ad aver legalizzato l’intera filiera è l’Uruguay, seguito dal Colorado e dallo Stato di Washington, mentre in Giamaica, al contrario di quanto si possa pensare, la cannabis è totalmente illegale, anche se viene largamente tollerata.
Con Stefano Pieralli della cooperativa La Rupe di Bologna si parla poi di come è cambiato il consumo di sostanze negli ultimi 30 anni: si è passati dalla diffusione dell’eroina negli anni ’80 alla cocaina e alle droghe chimiche oggi. “Molti spacciatori-produttori si forniscono di veri e propri laboratori chimici nei quali si studiano molecole da inserire sul mercato che andranno a essere vendute non ancora riconosciute e catalogate, in modo tale da non essere immediatamente sanzionabili a termini di legge”.
Infine la storia di K., tunisino di 50 anni, che ha spacciato eroina, hashish e cocaina per 29 anni. “All’inizio ho lavorato raccogliendo pomodori vicino Napoli, e quel poco che guadagnavamo ci veniva spesso rubato durante la notte dai proprietari. Allora giurai di non lavorare più”. Così, ha deciso di iniziare a spacciare: “Uno spacciatore si sente sempre in pericolo, e non è solo paura della polizia, ma di sparatorie e di situazioni anche peggiori”. K. non è fiero di quello che ha fatto: “Ho perso la famiglia, la salute, non ho amici. Ne sono uscito, grazie a Dio e con la forza, ma ho pagato e sto pagando tutto”.

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