Keynes e il commercio: intervento a Sbilanciamo l'Europa

10 Febbraio 2014 /

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di Valentino Parlato
«Se le nazioni impa­ras­sero a rag­giun­gere la piena occu­pa­zione con le loro poli­ti­che interne, non ci sareb­bero più forze eco­no­mi­che che met­tono gli inte­ressi di un paese con­tro quelli dei vicini (…). Il com­mer­cio inter­na­zio­nale ces­se­rebbe di essere quello che è, cioè un espe­diente dispe­rato per man­te­nere l’occupazione interna spin­gendo le ven­dite all’estero e limi­tando gli acqui­sti, che – se fun­ziona – non fa altro che spo­stare il pro­blema della disoc­cu­pa­zione sul paese vicino che esce in con­di­zioni peg­giori dalla lotta» (John May­nard Key­nes, Teo­ria gene­rale dell’occupazione, inte­resse, moneta, 1936, capi­tolo 24).
Nes­suno deve aver spie­gato ad Angela Mer­kel que­sta con­si­de­ra­zione di Key­nes. La Ger­ma­nia – e l’Europa costruita a sua imma­gine – fonda il suo svi­luppo sulle espor­ta­zioni e, per faci­li­tare com­merci e inve­sti­menti, si imbarca in un Trat­tato tran­sa­tlan­tico che sarebbe il Tita­nic della demo­cra­zia. Qual­che bri­ciola di export in più è vista da Ber­lino, Bru­xel­les e Washing­ton come l’unica via per tor­nare a cre­scere e rivin­cere le ele­zioni – quelle euro­pee a mag­gio e quelle Usa di medio ter­mine in autunno. Ma Key­nes ci spiega che è una solu­zione illu­so­ria, pagata in Europa dalla depres­sione della peri­fe­ria, che può tra­sci­nare con sé l’insieme dell’Europa. Le ombre degli anni trenta sono vicine, e rileg­gere Key­nes può aiu­tarci a tenerle lontane.

Questo articolo è stato pubblicato sul sito della Fondazione Luigi Pintor il 23 gennaio 2014 e su “Sbilanciamo l’Europa”, supplemento al Manifesto del 24 gennaio 2014

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