Manifest@ 2013: il racconta dal lato di chi ci ha lavorato

22 Luglio 2013 /

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Manifest@ 2013 - Foto di Daniele Leardini
Manifest@ 2013 - Foto di Daniele Leardini
di Mauro Chiodarelli
Venerdì
Ore 14.00 – Chi deve preparare il riso freddo è bloccato in ospedale: non c’è tempo per pensarci ora, bisogna correre a Ponticelli a ritirare il menu della serata. Alla nuova Casa del Popolo è tutto pronto mi accolgono sorridenti ma non hanno tempo da perdere, devono preparare i cibi per sabato e domenica. Corro a Bologna, scarico il cibo, chiedo ad un altro compagno di comprare meloni e cocomeri e preparo il riso freddo.
Ore 18.00 – Per ora ce l’abbiamo fatta; il cibo è in frigo, l’area dibatti è allestita non ci resta che aspettare, studiando un po’ la logistica del servizio.
Ore 19.30 – La festa inizia con la musica della Jazz Norris Band. Sono arrivati anche le compagne ed i compagni per stare in cucina e servire: alcuni non li conosco.
Ore 20.00 – Arriva Natalino Balasso, lo accolgo e lo presento ai suoi commensali nonché interlocutori; Balasso c’è ma la gente dovè? Scatta l’ansia. Andiamo a tuffarci in cucina bisogna preparare. Si decidono i compiti, le strategie di preparazione dei piatti, di apparecchiatura e di tempistica del servizio e si parte con il cuore in gola per la paura del flop.

Ore 21.00 – I tavoli sono apparecchiati con maestria e tutti pieni: allora è andata. Si parte. Pietanze predisposte all’interno dei piatti con senso estetico, servizio ai tavoli professionale, reparto sguatteria al massimo di operatività. Ci muoviamo come veterani, precisi ed affiatati e pure è la prima volta che lavoriamo insieme. Ora si scherza, si mangia qualcosa al volo, rigorosamente in piedi spostandosi da un posto di lavoro all’altro, prima che si finiscano tutto, si beve acqua a litri fitti.
Ore 23.00 – Balasso tiene ancora banco e noi si comincia a sgomberare ed a pulire la cucina.
Ore 24.00 – Dalla cassa ci dicono che abbiamo fatto 40 coperti e un buon numero di bevande; obiettivo raggiunto, un ultimo goccio, si spegne la luce. A domani.
Sabato
Ore 10.00 – Ma non dovevano le liste civiche con i loro seguaci? Siamo più noi di loro; scatta il panico: ma per chi cuciniamo? Entro in cucina piena di persone; altro che due cuoche, dalla Casa del Popolo di Ponticelli è arrivata un’intera brigata. Abbracci e baci e poi via al lavoro. Come la sera prima, anche se il numero è aumentato non vi è nessun tentennamento o sovrapposizione; ognuno si muove come se lo avesse fatto da sempre: certo per Ponticelli è vero ma per noi no!
Ore 12.30 – Si apparecchiano i tavoli in velocità ed il pranzo parte. Sono una ventina. Decidiamo un taglio netto sulle vivande da preparare per non sciupare niente. Peccato per gli assenti, le tagliatelle sono fantastiche e le melanzane alla parmigiana da indigestione. La cucina però non si ferma perché bisogna preparare per la sera, che sarà la prova del fuoco.
Ore 14.30 – Si stacca per po’ di riposo; i più tornano a casa ma alcuni si fermano e si parla di politica e di vita godendoci una piacevole brezza.
Ore 17.30 – Le truppe sono già tutte schierate e mentre in cucina si continua a preparare nella zona smistamento piatti si discute sulle strategie; puntiamo a quota 60 e bisogna essere certi che ci sia tutto: si misura il pane, il bere, le posate i bicchieri.
Ore 20.30 – Siamo pronti. Le squadre di apparecchiatori escono e predispongono i tavoli, la gente viene fatta sedere ed a ruota servita d’acqua e delle eventuali bevande ordinate. Un rapido conteggio: quota 60.
Ore 21.00 – Parte l’antipasto mentre nella zona smistamento si porzionano i primi con precisione geometrica che partono appena ritirati glia antipasti. Poi tocca ai secondi, belli anche da vedere. Per controllare la situazione esco a fare un giro dei tavoli e vedo Campetti che si alza e mi viene incontro apostrofandomi con un “ma cosa è successo?”. Non capisco, penso qualcosa è andato storto, ed invece davanti al mio stupore prosegue “ma questo è un altro mondo rispetto allo scorso anno, cosa avete fatto, vi siete impadroniti delle cucine?”. Tiro un sospiro di sollievo e sorridendo gli confermo che è proprio così. Ritorno dentro e riferisco l’accaduto oltre agli altri complimenti che ho raccolto nel giro esplorativo e un urlo liberatorio si leva da tutti noi. Ma niente distrazioni, è l’ora del dolce. Fantastico strudel.
La brigata di Ponticelli ha un modo particolare di lavorare: ogni tanto qualcuna/o lancia un canto e tutto il gruppo in un attimo la/o segue; sono canzoni di lotta ed a noi che non siamo abituati viene un groppo alla gola.
Ore 23.30 – La cena è finita ed è stato un successo. Chiamiamo la brigata a raccogliere i ringraziamenti dei commensali e svelato il segreto del canto gli chiediamo di cantare per tutti. Non si fanno pregare ed intonano ” I Partigiani di Bologna”; sono fantastici.
Si ritorna in cucina: c’è da sgomberare e pulire.
Domenica
Ore 10.00 – Ormai come veterani ci muoviamo senza neanche bisogno di parlarci.
Ore 13.00 – È finita l’assemblea dell’Associazione e si festeggia la Rivoluzione Francese. I piatti escono (pieni) e rientrano (vuoti) con precisione.
Ore 15.00 – Si tirano le somme, si raccolgono il cibo e le bevande rimaste da riportare a casa, si fanno i conti. La tensione lascia il posto alla stanchezza, siamo stremati.
Ore 17.30 – Siamo rimasti in quattro. È finita e l’ultimo chiude la porta.
Non ho citato un solo nome, per paura di scordarmi qualcuna/o. Sono stati tutte/i meravigliosi. Senza la brigata di Ponticelli la festa non sarebbe stata, ma tutti sono stati indispensabili per la sua riuscita. Può sembrare enfatico, ma credo che lì, lavorando senza scopo di arricchimento o sfruttamento, senza gerarchie ma nel rispetto delle singole competenze e capacità, nel rispetto di genere, in forma cooperativa di reciproco supporto, nell’ascolto di ogni singola esigenza e/o parere, abbiamo vissuto un tempo di comunismo: ognuno di noi ha dato il meglio di se per un obiettivo comune e per un’azione rivolta ad altri. E ognuno di noi ha appreso. È una strana forma di felicità, una felicità pesante.
A tutte ed a tutti non posso che dire ancora grazie.
Uno delle cucine.

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