Contro la scuola, contro di noi: dopo il referendum di Bologna

3 Giugno 2013 /

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Referendum sulla scuola a Bolognadi Tina De Palma, formatrice professionale
Sono passati anni da quando è iniziato lo smantellamento radicale del nostro sistema educativo e scolastico, dai nidi fino all’università. Infatti sappiamo cosa hanno prodotto le ricette dei Governi italiani, in specie negli ultimi dieci anni, con la drastica riduzione dei finanziamenti alla scuola: l’eliminazione di migliaia di insegnanti dal mercato culturale, le classi pollaio, l’incuria dell’edilizia scolastica, la riduzione o l’azzeramento del sostegno economico allo studio per gli studenti universitari, l’aumento dei costi per le famiglie per l’educazione dei propri figli, già dai nidi.
Sì certo, tutto questo. Ma il finale più importante a cui ambiscono i seguaci del liberismo più radicale è quello di capovolgere l’idea del welfare sociale, ugualitario, sostenuta negli anni settanta, per l’educazione dei bambini e per lo studio degli adulti; ed è a questo risultato che si sta, neppure troppo nascostamente, velocemente arrivando.
Risultato perseguito, non solo privando di risorse, ogni anno sempre di più, le istituzioni per la scuola di ogni ordine e grado, e si badi, sia pubblica che di una parte di quella privata che ha provato una qualche vera sperimentazione educativa/scolastica, ma riproponendo continuamente, ad ogni nuovo insediamento di ministro, l’assurdo cambio di programmi di studio, soprattutto universitari, nuovi modelli di valutazione e didattica, ingressi a numeri chiusi, che ora si vogliono anche nei licei, eccetera.

In definitiva, tante “stranezze” per non avere il coraggio di dire una sola cosa: che lo studio è un fatto privato, l’educazione è un fatto privato, e che come tale chi vuole usufruirne lo può fare a due condizioni: che abbia soldi e che si adatti ad una scuola competitiva e stressante che serva alle imprese, alla produzione, al mercato. Sono questi gli antefatti che hanno portato alle bellissime, partecipatissime ed inascoltate manifestazioni di piazza per la scuola promosse da sindacati della scuola e studenti, alla fine del 2008 ed oltre, e sono questi motivi che anche oggi stanno alla base delle proteste a Bologna (dove si tenne una delle manifestazioni più belle). Non è solo per il finanziamento stanziato alla scuola privata, o per la proposta di inserimento della gestione dei nidi nella ASP, che si è giunti alla battaglia referendaria.
In Emilia dove è nato un modello progettuale educativo che ha prodotto sperimentazioni ad un livello altissimo tanto da essere imitato anche all’estero, e a Bologna, più che altrove, si è sentito, consapevolmente, che con questi due ultimi provvedimenti del Comune si è giunti ad un punto di svolta che potrebbe essere di non ritorno. Un punto di svolta di principi: non è tanto per il milione di euro alle private ( che pure non sono bruscolini di questi tempi ) che ha assunto valore il referendum, bensì per l’affermazione dei propri diritti di fronte all’arroganza di una classe politica che, non solo non ha saputo amministrare le risorse pubbliche, che non affronta e risolve i problemi, ma li dribbla, che non ha saputo e voluto spiegare i perché delle proprie scelte, per poi stupirsi se i cittadini vogliono altro, con ciò offendendoli nella loro capacità di scelta.
I sindacati in questa lotta sono rimasti schiacciati come il piede tra due battenti senza riuscire ad aprire nessuna porta, quella della mediazione con il Comune, del dialogo con le famiglie e neppure quella del sostegno a tutti i lavoratori del settore, (compresi i lavoratori delle cooperative che nei servizi scolastici sono presenti da decenni).
Era, è, così difficile difendere i lavoratori comunali sui loro diritti faticosamente acquisiti (con anni di precariato alle spalle, un concorso e professionalità di anni) e sul mantenimento del loro rapporto di dipendenza con il Comune, oltre che del loro relativo contratto? Era così difficile spiegare ai nuovi precari che l’assunzione nella ASP era l’unica strada possibile percorribile per non perdere il lavoro, dato che le amministrazioni pubbliche da molto tempo hanno il blocco dei concorsi e non possono assumere? Ed è così impossibile dare ai nuovi dipendenti ASP lo stesso contratto dei dipendenti comunali e l’impegno di riportarli in Comune man mano che si aprono delle possibilità di “reinternalizzazione”?
Oppure nessuno vuole dire che si vuole risparmiare sui servizi alla persona, così come hanno creduto di fare, dando in appalto tanti servizi alle cooperative? Come spiegare il ritardo dei sindacati locali su materie così sensibili come l’educazione e la scuola, se non come segno di una assenza di proposizione ampia e reale, e soprattutto continua?
E le famiglie? Ancora una volta si colpiscono le donne, se è vero che, secondo il sistema dei punteggi, i bambini che restano esclusi dai nidi sono quelli che hanno un genitore a casa senza lavoro, e sappiamo che, specie dopo una maternità, sono le donne che restano a casa. Ma se una donna deve occuparsi del bambino, come potrà cercare lavoro? E spingendo la logica più in là, anche un bambino è un cittadino, e allora perché, se i genitori ritengono più educativo inserire il proprio figlio al nido pubblico, non in quello privato, questo accesso gli deve essere negato?
Un grande merito della battaglia referendaria a Bologna è di aver aperto, finalmente, una discussione pubblica, anche con la partecipazione di tanti intellettuali e politici e di aver permesso ai cittadini di esprimere le proprie posizioni sui servizi all’infanzia, allo studio, alle famiglie, riposizionandoli nella giusta scala di valore, e di aver permesso l’esercitato della democrazia diretta e massimamente coinvolgente, (più di 80.00 persone che sfidano pioggia, freddo e distanze per andare votare, sono tantissime! ) che dovrebbe essere esercitata ogni qualvolta i cittadini lo richiedano.
Ecco: la vittoria del referendum sarebbe piena proprio se si incominciasse ad abituare la politica, di ogni parte, che la cittadinanza deve, con qualche modalità di voto, poter partecipare e ratificare le decisioni più importanti per la vita collettiva di una città, e se fosse l’inizio di un percorso di riappropriazione del bene pubblico, partendo dal welfare sociale, ugualitario.

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