di Daniele Barbieri
È cattiva abitudine italiana usare l’espressione «è fantascienza» per indicare qualcosa di impossibile o di sciocco. Come ben sa chi frequenta codesto blog – e in particolare il «di Marte si parte», ogni martedì – qui la pensiamo molto diversamente ma certo teniamo conto che “pregiuanza” (pregiudizio da ignoranza) purtroppo regna. Perciò io non sono rimasto sorpreso a sentir dire che «sarebbe fantascienza se vincesse l’opzione A nel referendum di Bologna, visto che per il B è schierato quasi compattamente il sistema dei partiti e il Vaticano» il quale, aggiungo io, è lo Stato straniero più influente sulla politica italiana pur non avendo le bombe atomiche sparse nella penisola come gli Usa. Penso che chi passa da questo blog sappia su cosa verteva il referendum bolognese (comunque lo spiego qui sotto) ma forse ignora che fra le tante scorrettezze dell’amministrazione c’è stata quella di aprire pochi seggi, in modo da scoraggiare il voto.
Come altre volte nel cosiddetto mondo reale la fantascienza (o l’utopia se preferite) ha vinto? In realtà hanno trionfato la logica, il rispetto della Costituzione e l’interesse collettivo. Obietta qualcuna/o che la scuola pubblica è a pezzi (vero) e dunque è difficile difenderne la preminenza (illogico, perché essa è stata distrutta anche per favorire la “concorrenza”). Si vedrà ora se l’amministrazione bolognese rispetterà il voto o se si arrampicherà sugli specchi e sui confessionali.
Nella vicenda bolognese c’è un altro aspetto importante. In sostanza l’urna era avvelenata da un serpente: anche nel referendum (come purtroppo nel diritto allo studio) ci sono famiglie più eguali delle altre come nella famosa «La fattoria degli animali» di George Orwell. Ne ho scritto per «Corriere dell’immigrazione» e qui sotto riporto il testo, senza modifiche (ovviamente è uscito prima dei risultati).
I risultati del referendum di Bologna sulla scuola rappresentano una consultazione così importante che da tempo se ne parla in tutt’Italia. Negli ultimi giorni vari ministri – compresa Maria Chiara Carrozza, titolare della Pubblica Istruzione – hanno preso posizione. Su cosa si deve votare? In estrema sintesi il 26 maggio si chiede alle persone residenti a Bologna di esprimere una bocciatura (votando A) per l’amministrazione comunale, che assicura un milione di euro di finanziamenti pubblici comunali alle scuole d’infanzia private, oppure approvare il suo operato (votando B). Un milione di euro non è poco ma, con ogni evidenza, non si tratta solo di questi soldi ma più in generale di valutare se le istituzioni devono garantire a tutte/i una scuola pubblica (lasciando la libertà a chi vuole di mandare figli e figlie alle private che offrano certe garanzie) o se si può in partenza lasciare per strada un certo numero di ragazze/i – perché mancano i posti – obbligando così le famiglie a ricorrere ad altri istituti. Una questione di costi (le private a Bologna sono più care) e in parte religiosa (le famiglie non cattoliche hanno evidenti problemi a far educare bambine/i in una scuola confessionale) ma che rimanda a scelte di fondo, a differenti idee dello Stato, dell’eguaglianza, della laicità.
Referendum importante dunque. E i riflettori sono accesi sul risultato ma un serpentello (piccolo ma velenoso) si nasconde anche nel meccanismo elettorale bolognese. Mentre a livello nazionale andava in scena l’infinita replica della nuova legge elettorale, c’è stata un’amnesia per i diritti di chi il 26 maggio vota a Bologna su una concretissima questione come la scuola. Infatti giornalisti e istituzioni hanno perlopiù glissato sulle persone straniere che abitano a Bologna: qui pagano le tasse e qui i loro figli vanno a scuola eppure a questo referendum non possono votare. Come potete leggere nella lettera che trovate qui sotto «non si tratta di una fascia ininfluente della cittadinanza bolognese»; infatti in città – nell’età 3/6 anni – «i figli con almeno un genitore straniero sfiorano il 20%», un quinto del corpo elettorale. La lettera che ha posto il problema è stata ignorata. Ancora una volta sono stati “dimenticati” i diritti minimi delle persone che in Italia lavorano, pagano e crescono i loro figli. Questo referendum – comunque finisca – è stato avvelenato dalla discriminazione: non aperta e strombazzata ma strisciante… come è tipico dei serpenti.
Qui di seguito la lettera al sindaco Virginio Merola di Amiss, l’associazione mediatrici interculturali sociali e sanitarie che poi è stata sottoscritta da altre associazioni.
Gentile signor Sindaco,
siamo un’associazione di donne straniere che di professione e passione si occupano di mediazione interculturale dal 1999 anche all’interno delle scuole d’infanzia della città. Siamo al 90% straniere. Apparteniamo e partecipiamo alla vita economica, politica e culturale di questa città da molti anni, qualcuna di noi anche da più di 30; siamo madri di bambini stranieri o in coppia mista e da alcuni anni facciamo parte della Rete regionale contro le discriminazioni a cui ha aderito anche il Comune di Bologna.
E stamattina, solo stamattina, per nostra ingenuità ci siamo accorte che chi di noi non era anche cittadina italiana non potrà votare a questo referendum consultivo.
Venerdì mattina in una riunione dell’associazione, mentre facevamo il punto sulle attività cittadine, ci siamo soffermate sulle sedi di voto del referendum consultivo del 26 maggio. Cercando di indirizzare chi delle socie era interessata a votare siamo inciampate nel regolamento di chi può votare:
Possono votare:tutti i cittadini italiani iscritti nelle liste elettorali del Comune di Bologna;
tutti i cittadini italiani iscritti nell’Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero;
tutti i cittadini italiani, non ancora iscritti nelle liste elettorali, che avranno compiuto il 18° anno di età nel giorno della votazione;
tutti i cittadini dell’unione Europea iscritti nelle liste elettorali aggiunte dei cittadini comunitari per l’elezione del Sindaco, del Consiglio Comunale e dei Consigli Circoscrizionali.Il requisito della cittadinanza italiana o dell’Unione europea esclude tutte le persone con cittadinanza di Paesi terzi dalla consultazione. Non si tratta di una fascia ininfluente della cittadinanza bolognese e, soprattutto, delle persone direttamente interessate dalla materia. Vorremmo infatti ricordare alcuni dati: i figli con almeno un genitore straniero, della fascia d’età 3-6 anni sfiorano il 20% dei bambini in città; in alcune scuole la percentuale di bambini con uno o entrambi i genitori cittadini di Paesi terzi supera abbondantemente il 50%.
L’integrazione passa sicuramente da un accesso alle procedure decisionali, soprattutto quando riguardano temi civici con un immediato impatto sulla vita delle persone residenti su un territorio, quindi anche dei cittadini di Paesi terzi.
Vorremmo portare alla sua attenzione il fatto che lo Statuto del Comune di Bologna prevede che le disposizione relative alla partecipazione popolare “si applicano – salvo esplicito riferimento – oltre che ai cittadini iscritti nelle liste elettorali del Comune di Bologna: (…) agli stranieri e agli apolidi residenti nel Comune di Bologna o che comunque vi svolgano la propria attività prevalente di lavoro e di studio”. Inoltre nella delibera del Consiglio comunale di Bologna del 23 ottobre 2006 si affermava l’impegno ad una modifica dello Statuto dell’ente per permettere l’accesso all’elettorato attivo e passivo anche da parte dei cittadini di Paesi terzi.
Sappiamo che alcuni tentativi in questa direzione, attuati da parte di altri Comuni, hanno trovato l’opposizione e la successiva censura del Governo. Auspichiamo però che il Comune di Bologna si faccia nuovamente promotore di un cambiamento che possa permettere a tutte le persone residenti sul territorio di esprimere il proprio parere, soprattutto tramite un istituto quale il referendum consultivo che per sua natura non vincola gli organismi decisionali ma li aiuta a prendere decisioni in maniera più consapevole e informata rispetto alle opinioni di tutta la cittadinanza.
AMISS – Associazione Mediatrici Interculturali Sociali e Sanitarie