Scuola, referendum di Bologna: quello che Polito non dice

23 Maggio 2013 /

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Referendum scuola pubblica
Referendum scuola pubblica
di Francesca Coin
Il Corriere della Sera di lunedì 20 maggio ospita in prima pagina un articolo di Antonio Polito sul Referendum consultivo sui finanziamenti pubblici alle scuole paritarie private previsto a Bologna per il 26 maggio. È un onore che il Corriere nazionale si occupi di una vicenda locale. Sino ad ora, infatti, non aveva seguito granché la campagna referendaria. E tuttavia, l’articolo di Polito contiene numerose inesattezze. A partire dal tono allarmato dell’articolo, che parla di “scuola in ostaggio”, di “sfida ideologica”, di “assestare alle urne un colpo forse letale alla giunta guidata dal sindaco pd Virginio Merola”, l’articolo ha toni allarmistici che poco rappresentano i contenuti e il significato della campagna referendaria, nonché i principi dei cittadini che vi partecipano.
Tanto per spiegare a chi non ha seguito, la campagna referendaria sul finanziamento pubblico alle scuole paritarie private nasce qualche anno fa, dalla preoccupazione di quelle famiglie, mamme e papà, costrette a confrontarsi ogni anno con l’esclusione scolastica dei loro figli. I tagli alla scuola degli ultimi anni, congiunti a un rapido processo di riforma, hanno infatti colpito duramente la scuola pubblica, notoriamente stremata dall’assenza di fondi e infrastrutture. A Bologna, il problema più grave è stata l’incapacità del sistema integrato della scuola per l’infanzia di garantire un posto a scuola a tutti i bambini di Bologna, al punto che, come raccontano molte famiglie, ogni anno c’era qualcuno che doveva apprendere, non senza un senso di umiliazione, che per i loro figli posto a scuola non c’era. Venendo ai dati, erano 423, nel 2012, i bambini rimasti senza possibilità d’accesso alla scuola per l’infanzia, e nonostante il Comune abbia improvvisato soluzioni d’emergenza, 103 di loro sono rimasti a casa.

In altri casi, le famiglie sono state costrette a iscrivere i loro figli a una scuola privata, nella gran parte dei casi una scuola confessionale. Ora, Polito non si sofferma su tutto questo. Spiega, al contrario, che “il referendum promosso da questo fronte punta ad abbattere il sistema integrato di scuola pubblica e scuola paritaria che fu avviato in Emilia più di vent’anni fa”. Polito sta traendo delle conclusioni affrettate. La campagna referendaria, infatti, non ha mai assunto toni duri, tantomeno contro i privati. Ancormeno, essa desidera abbattere il contributo che essi danno alla scuola.
La campagna referendaria si limita a sostenere quanto prescritto dall’articolo 33 della Costituzione, ovvero che, per dirlo con le parole di illustri Costituenti quali Calamandrei, “la scuola pubblica è il prius, quella privata è il posterius”. In altre parole, come sostenuto dall’On. Preti in Assemblea Costituente nel 1947, «(s)arebbe un paradosso che lo Stato, che non ha nemmeno abbastanza denaro per le proprie scuole, dovesse in qualche modo finanziare delle scuole non statali». In tempi di ristrettezze e difficoltà, come quelli odierni, è dovere della Repubblica garantire che tutti i bambini possano accedere alla scuola pubblica, prima ancora di discutere sui finanziamenti alle private.
In questo senso, la diattriba sul milione di euro va letta correttamente. Per far fronte alle esigenze di tutte le famiglie e eliminare le liste d’attesa nella scuola pubblica, infatti, a Bologna servirebbero 12 nuove sezioni a un costo di 90 mila euro a sezione, come dimostra le Delibera comunale del 9 ottobre 2012. Questa cifra corrisponde esattamente alla cifra che al momento viene data alle scuole private: 90 mila euro per 12 sezioni corrisponde a 1 milione e 80 mila euro, ossia la cifra che viene assegnata attualmente alle scuole paritarie.
La richiesta dei referendari, dunque, è semplice: prima di divagare assicuriamoci che i diritti vengano garantiti. Altrimenti, le parole di Polito, per prima la questione della libertà di scelta, saranno parole vuote. Non si può parlare di libertà di scelta quando l’istruzione non è più un diritto di tutti. Non vi è libertà di scelta quando l’istruzione diventa un servizio a pagamento.
Vi è un’esigenza concreta, dunque, alla base del Referendum del 26 maggio. Non uno scontro ideologico. Bisognerebbe anche dire che il referendum del 26 maggio non è abrogativo, è consultivo, interroga cioé la cittadinanza su quale sia, secondo lei, la destinazione più opportuna dei fondi pubblici, senza minaccia alcuna. Per fare questo, il Comitato Referendario ha chiesto il supporto di illustri costituzionalisti, come per l’appunto il Prof. Rodotà, che lungi dall’ispirare il Referendum, come ha scritto Polito, ha messo le sue competenze e la sua generosità a servizio della campagna referendaria, divenendone Presidente Onorario, e riconoscendo all’azione dei cittadini un valore democratico, inclusivo e partecipativo.
Spiace che una campagna così partecipata, appassionata e lucida possa diventare pretesto per un’agenda politica altra. Polito dice che “nelle urne bolognesi si fronteggiano per la prima volta gli inediti schieramenti che si sono creati in parlamento, Pd e PdL insieme da un lato, Sel e Movimento Cinque Stelle dall’altro”. Non è così. Alle urne questo 26 maggio i cittadini voteranno per difendere la scuola pubblica e la Costituzione. Ogni altra interpretazione è pretestuosa e fallace.
Questo articolo è stato pubblicato sul sito Roars.it il 20 maggio 2013

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