Manifestazione Fiom: l'intervento di una maestra di Bologna alla vigilia del referendum

22 Maggio 2013 /

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Referendum scuola pubblicadi una maestra di Bologna
Sono una maestra di Bologna. Oggi, in questa manifestazione che come slogan ha scelto l’art. 1 della Costituzione,

“L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”, porto alla vostra attenzione, all’attenzione di tutto il Paese, un altro articolo della costituzione, l’articolo 33 “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali di ogni ordine e grado. Enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”

A Bologna il 26 maggio si terrà un referendum consultivo che riguarda la scuola, in particolare i finanziamenti alla scuola dell’infanzia privata paritaria. Grazie alle 13.000 firme raccolte dal Comitato art. 33, un comitato fondato da 15 associazioni e sindacati, fra cui la Fiom, la Flc e sindacati di base, domenica prossima i cittadini e le cittadine di Bologna potranno orientare le scelte dell’amministrazione comunale dicendo se preferiscono destinare le risorse pubbliche esclusivamente alle scuole dell’infanzia comunali o statali o destinarle al finanziamento delle scuole private paritarie.
A Bologna, infatti, da qualche anno succede che centinaia di famiglie che chiedono la scuola dell’infanzia pubblica gratuita, laica, di tutti, si sentono rispondere che non c’è posto e vengono dirottati verso quelle private convenzionate, a pagamento e con indirizzi educativi confessionali o comunque di tendenza. Come se fosse la stessa cosa.

Il diritto di avere la scuola pubblica, e la scuola dell’infanzia è scuola dal 1969, viene dunque disatteso, in nome di un “sistema pubblico integrato” che a Bologna è stato messo in piedi nel 1994 dal sindaco Pds Walter Vitali e che mette sullo stesso piano scuole pubbliche e scuole private paritarie convenzionate. Ciò che succede a Bologna riguarda l’Italia per un semplicissimo motivo: Bologna è la città dove negli anni ’50 amministratori e pedagogisti lungimiranti e progressisti inventarono la scuola dell’infanzia, partendo dall’idea che è da questa fascia d’età che è necessario intervenire con progetti educativi forti, per chiudere la forbice sociale, garantire pari opportunità a tutti e costruire le basi della cittadinanza.
Bologna è la città dove fu inventato il tempo pieno, fortemente voluto dal movimento operaio, che aveva capito che il futuro dei propri figli e della Repubblica dipendeva anche dal modello di scuola che il Paese si sarebbe dato. A Bologna, che è sempre stata orgogliosa delle sue scuole, non può passare la logica che il pubblico può, anzi deve ridimensionarsi perchè è troppo costoso garantire il diritto alla scuola pubblica. La politica deve fare le scelte giuste e se non le fa i cittadini devono pretenderle.
A Bologna non può accadere che il Sindaco Merola proponga di disfarsi di tutto il personale delle scuole dell’infanzia comunali cedendolo ad un’ASP (Azienda di Servizi alla Persona) come se la scuola fosse un servizio qualunque a domanda individuale, negando inoltre a questi lavoratori il contratto della scuola e svilendo in questo modo la loro professionalità.
È il modello Marchionne portato dentro la Pubblica Amministrazione. I diritti non possono essere scambiati con denaro, neanche in tempi di crisi. E poi sono 20 anni (quando la crisi era ancora lontana dall’essere stata creata) che la scuola pubblica, tutta la scuola pubblica di ogni ordine e grado, subisce solo tagli: tagli di personale (150.000 in tre anni, dal 2008 al 2011), di risorse (8 miliardi sempre nello stesso periodo) da parte di ogni governo.
L’unica cosa che aumenta è la burocratizzazione, alla faccia della tanto sbandierata autonomia scolastica. Se continua così la scuola pubblica sarà una scuola di serie B e quella privata, a cui nessun governo ha mai tagliato i finanziamenti, sarà la scuola dove si formerà la classe dirigente, come succede in America e in Inghilterra. Non possiamo permetterlo.
L’Italia spende in educazione e istruzione, rispetto al PIl, la metà della media dei paesi europei. In questi anni paesi con governi non certo di sinistra come gli Stati Uniti o la Germania hanno aumentato enormemente la spesa per i loro sistemi di istruzione, perchè hanno capito che è da questo che i Paesi possono ripartire. E non è solo un fattore di crescita economica, è anche un fattore di civiltà: in una società complessa come la nostra, così multiculturale, è solo nella scuola pubblica che possono convivere, conoscersi e imparare a rispettarsi i futuri cittadini di etnie, religioni, culture diverse.
A Bologna i sostenitori dell’opzione A, quella che chiede che tutte le risorse siano destinate alla scuola pubblica, vengono accusati di essere “conservatori estremisti”, di essere “ideologici”, di essere “marziani”. Da chi partono queste accuse? L’elenco è molto ampio, riproduce l’attuale coalizione di governo: Pd, Pdl, Lega, Montiani, con il sostegno della Curia e della CEI.
Si distingue fra tutti, per la virulenza degli attacchi, il Sindaco Merola che, fra l’altro, dovrebbe essere il garante dell’imparzialità della consultazione. A tutti questi rispondiamo che essere ideologici è un onore, perchè vuol dire avere ancora idee e ideali e che essere conservatori, se ciò che si vuole conservare è la nostra Costituzione, è un onore ancora più grande. La scuola è un organo costituzionale: solo della scuola, la Costituzione dice che la Repubblica ha l’obbligo di istituirla; non lo prescrive nemmeno per gli ospedali o per i trasporti.
Ci sono battaglie che, partendo da un ambito specifico e da una dimensione locale possono assumere, grazie alle loro implicazioni, un carattere generale e strategico. Basti pensare alla lotta condotta dalla FIOM a Pomigliano. La battaglia di Bologna ha la stessa valenza ideale. Bologna riguarda l’Italia. Il 26 maggio votiamo A, come scuolA pubblicA, come libertà, come giustizia.
Questo testo è stato pubblicato sul sito Voci resistenti – Blog collettivo del forum insegnanti

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