Emergenza Nord Africa a Bologna: a fine proroga per 200 profughi l'unica prospettiva sono i 500 euro per andarsene

28 Febbraio 2013 /

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Profughi a Prati di Capraradi Francesca Mezzadri
Il 28 febbraio è arrivato e anche in Emilia Romagna scade la proroga di due mesi del ministero dell’Interno riguardo la chiusura delle strutture che accolgono i migranti provenienti dal Nord Africa in attesa di ricevere una risposta alle richieste d’asilo, di protezione internazionale o di permesso umanitario. Secondo l’ultima circolare del 18 febbraio 2013, il destino dei profughi nordafricani verrà deciso dalle prefetture delle province che “dovrebbero favorire i percorsi d’uscita da queste strutture”. Tra le misure previste dal dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno, vi è anche la “buonuscita” di 500 euro procapite.
“Sono a Bologna ai Prati di Caprara da due anni,” spiega K. durante un incontro che si è tenuto martedì 26 febbraio presso il Tpo tra migranti e operatori di associazioni interculturali regionali, “come molti altri ho ottenuto un permesso temporaneo di 6 mesi, rinnovato ad altri 6 mesi, perché sono ancora in attesa di ricevere una risposta alla mia richiesta d’asilo. Per ora non possiamo fare nulla. Ci hanno detto solo che dopo il 28 febbraio ci daranno 500 euro, ma io non voglio 500 euro, ho bisogno di un percorso che mi porti a qualcosa di concreto perché sono un rifugiato libico, un rifugiato da oltre due anni”.

I centri di assistenza a Bologna, gestiti dalla Protezione civile, sono principalmente tre per un totale di 209 migranti: Villa Aldini, il centro di via del Millario e l’ex caserma di Prati di Caprara, gestita anche dalla Croce Rossa, dove sono alloggiate 130 persone e dove la situazione igienico-sanitaria è a livelli preoccupanti.
Alcune persone, come K., son ospitate lì dentro da ormai due anni e non possono fare nulla, neanche spostarsi da una città all’altra. Costano dai 40 ai 46 euro al giorno a testa ma finché la Commissione Asilo, organo di governo, non si pronuncia, i migranti sono senza status e perciò parcheggiati lì, in ambienti spesso inadeguati. In base alla nuova circolare, dal 1 marzo saranno probabilmente in strada.
Nel frattempo le loro “attività”, decise dal Tavolo di coordinamento regionale delle prefetture e degli enti locali, sono state gestite all’interno di un Piano di accoglienza della Protezione Civile: dall’assistenza legale agli sportelli d’ascolto, fino ai “laboratori culturali” curati tutti dalle diverse associazioni locali. Attività spesso costose che ora verranno interrotte visto che comunque i fondi sono finiti.
Come spiega un’operatrice dell’associazione Assirat che ha collaborato con molti di questi migranti offrendo assistenza legale grazie ad una convenzione con il Comune di Bologna: “Nonostante l’entusiasmo iniziale, purtroppo il nostro non è stato un bilancio positivo. Abbiamo lavorato in una fabbrica di storie. Dovevamo raccogliere in pochissimo tempo le storie dei vari migranti per la richiesta di protezione internazionale, e lo facevamo in questa stanza con altri funzionari della Protezione civile, senza mediatori, né interpreti e soprattutto senza privacy. Purtroppo poi alcune persone non avevano storie, nel senso che semplicemente scappavano dalla guerra che c’era nel loro paese.”
Ciò che emerge dal dibattito è che fino ad ora la politica migratoria attuata nella nostra Regione è stata del tutto assistenziale; anche i due mesi di proroga per far fronte all’emergenza freddo non sono parte di un programma a lungo termine che invece sarebbe necessario per evitare sprechi e garantire maggiore integrazione. Durante l’incontro sono state raccolte anche le esperienze di altre strutture regionali come quella di Rimini, Reggio Emilia e Parma.
Racconta un operatore di Rimini: “Molti servizi sono stati garantiti, ma il piano di accoglienza rivela una forte inadeguatezza per la sua gestione. Questi ragazzi avrebbero bisogno di essere inseriti in un percorso sociale e lavorativo fino a raggiungere la loro autonomia. Quest’estate speriamo in una collaborazione con gli albergatori della zona”.
Ci sono poi alcune cosiddette buone prassi come quella della struttura di via del Millario di Bologna, dove molte persone sono riuscite ad ottenere i permessi umanitari. C’è anche il caso di Prati di Caprara dove molti migranti hanno lavorato 7 ore al giorno al Tribunale di Bologna per 1 euro: un volantino lasciato in alcuni uffici al Tribunale recita che “si spera che queste persone ottengano protezione perché se la sono meritata, servendo la comunità”.
Ma, come fa notare un’operatrice di un’associazione, la protezione non deve essere meritata bensì garantita. A tutti quelli che scappano da una guerra. Il pregiudizio comune vuole che i profughi siano poveracci da aiutare con opere di carità quando si dimostrano buoni con noi. Ma a Bologna, come in molte altre città, spesso i migranti “non ci stanno” e fanno sentire la loro voce. A ottobre, novembre e dicembre non sono state poche le manifestazioni che hanno organizzato per le strade della città urlando stop all'”accoglienza miserabile” e per avere risposte concrete sul loro futuro.
Purtroppo, come fa notare anche A., “Anche i laboratori culturali che abbiamo avviato nelle strutture non sono d’interesse per noi e neanche per i migranti che invece avrebbero bisogno di altro. Non avvitiamoci in un discorso di accoglienza che al giorno d’oggi non è ancora stato compreso dal nostro paese”.

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