di Leonardo Tancredi
Lavoro, democrazia e rappresentanza sono i temi su cui Carlo Galli – professore ordinario di storia delle dottrine politiche presso la facoltà di lettere e filosofia dell’università di Bologna, presidente della Fondazione Gramsci Emilia Romagna e candidato Pd alla Camera dei deputati – sta puntando come sfida della sinistra per le prossime elezioni politiche e per il futuro. Dopo aver pubblicato la prima parte dell’intervista, ecco la seconda e ultima parte del dialogo con il politologo.
Sull’asse rappresentanza-democrazia si possono individuare altri temi, uno è senz’altro quello della legge elettorale.
“Tutti sono stati d’accordo nel dire che questa legge è pessima e l’accordo ha fatto sì che ce la siamo tenuta per incapacità del sistema politico di reagire e perché all’ultimo momento qualcuno ha pensato che gli poteva essere utile. Ricordiamo che Berlusconi ha fatto saltare il tavolo all’ultimo minuto. Certamente uno degli effetti drammatici di questa legge è che attribuisce il premio di maggioranza al Senato su base regionale del tutto illogicamente, dato che attraverso le elezioni politiche non ci si occupa del problema di governare le regioni, il premio di maggioranza ha senso quando serve a rendere più facile la governabilità. Il concetto costituzionale che il Senato è eletto su base regionale poteva trovare un’altra determinazione, ma noi sappiamo che le cose sono andate così per un calcolo politico, come sempre cinico ma sulla pelle del Paese, da parte della destra e della Lega e sappiamo anche che una delle prime cose che verranno fatte sarà una nuova legge elettorale, almeno me lo auguro”.
Quale tipo di legge auspica?
“Ogni altra legge elettorale è migliore di questa, tranne una legge elettorale che non fornisca governabilità al paese e non renda il parlamento in grado di esprimere una maggioranza. Se noi oggi lavorassimo sulla base di un proporzionale puro che a qualcun sembra esser la forma “giusta” di rappresentanza, una rappresentanza a specchio, questo paese non avrebbe una maggioranza di governo. Ho il sospetto che quando non c’è per troppo tempo per costruire democraticamente una maggioranza di governo, alla fine si vada verso un governo senza maggioranza, cioè un governo autoritario. Per evitare ciò, occorre fare una legge in grado di coniugare elementi di democraticità con elementi di governabilità, su quale sia la legge si era trovato persino un accordo, qualcuno, Berlusconi, lo ha fatto saltare all’ultimo minuto. Se la sua domanda era: credi tu che la rappresentanza sia strettamente legata alla democrazia dopo più di un secolo di critica alla rappresentanza io rispondo ebbene sì. Una moderna democrazia di massa complessa come forma di autogoverno di una società avanzata senza rappresentanza, faccio fatica a immaginarla. Il fatto è che accanto al livello della rappresentanza nazionale, bisognerebbe unire livelli, più legati al territorio, di partecipazione e di deliberazione e di elaborazione anche conflittuale di idee politiche. Questa sarebbe una vera democrazia; credo che senza rappresentanza non ci possa essere una democrazia su larga scala e, d’altra parte, che solo la rappresentanza isterilisca la vita politica del paese”.
Parlando di rappresentanza e democrazia si può chiamare in causa il tema de pluralismo dell’informazione, cosa pensa a proposito?
“L’editoria non deve essere costretta alla dura legge del mercato, non sempre, non ogni editoria, non in ogni momento. Due concetti: primo, la nostra non è una società di mercato, la nostra è una società che contiene in se il mercato, ma non ne fa il centro né della società né della politica, la nostra costituzione non lo dice. Secondo, il pluralismo dell’informazione è un bene in sé che deve essere garantito. Se mettiamo insieme queste due cose, otteniamo che è necessario che vi sia un sostegno pubblico della libertà e delle forme espressive dell’informazione. Detto questo, si tratta di capire come si fa e questo non è il momento né il luogo. Gli ecologisti parlano di biodiversità, noi qui possiamo parlare di pluralismo dell’informazione che è un bene che trascende, è più potente della compatibilità del mercato, che non è un male in sé, sia chiaro, anche per il soggetto che informa essere libero e indipendente è un bene, però bisogna stare dentro i contesti, ragionare in modo pratico e pragmatico. Ci sono delle circostanze in cui ciò è impossibile, a quel punto deve intervenire una forma di sostegno pubblico, perché lo spegnersi delle voci informative è un male autentico per la democrazia”.
(Fine)