di Nunzia Catena
Lo ammetto, sono una buona consumatrice di programmi televisivi, mi è sempre piaciuto guardare la tv. Ma oggi la televisione offre molte poche visioni interessanti (quelle poche sono quasi solo sulla Rai), che spesso subiamo, specie dopo una pesante giornata di impegni e di lavoro. La nostra debolezza di accendere il televisore senza scegliere prima il programma che si vuole seguire, viene travolta, ogni santo giorno, da quella gamma infinita di fiction e reality che viene trasmessa su tutti i canali, a gara tra tv pubbliche e private, e a cui è davvero difficile sfuggire.
Da circa quindici anni, incessantemente, ho visto l’avanzare dei reality come l’avanzare delle cavallette, distruttivi della mente, del gusto e del piacere. Il primo, il Grande Fratello, quando ne realizzai l’esistenza, non riuscivo neanche a capire cosa fosse e, dopo averlo capito, perchè ci fosse. A questo mio sforzo di comprensione qualcuno mi fece notare che almeno era un prodotto nuovo”. Nuovo? Ma se è l’equivalente degli esperimenti sui topi di laboratorio fatto con gli umani.
Ma da allora, via andare, sono nati reality per ogni genere di situazione. Ne ho contati a decine in cui persone si sottopongo all’impietosa telecamera e a conduttori, anche di fama, per gareggiare su come vestirsi, per organizzare il proprio matrimonio all’insaputa della sposa/o; ci sono famiglie che sperimentano lo scambio di famiglia, qualcuno che ti insegna in diretta come si educano i bambini, e, sempre in diretta, mostri tutte le tue emozioni quando ritrovi un familiare, e ti puoi mettere alla prova per come cucini, o farti cercare casa o rimodernarla, in diretta racconti i fatti tuoi per cercarti il patner, o come fai sesso, o come ti fai curare dalle malattie più strane, come truccarti eccetera.
L’elenco non finisce qui, questi sono pochi esempi e, tenuto conto che ogni tv ne realizza varianti per ogni tema, direi che sul nostro video compaiono almeno 30 reality a settimana, senza contare le repliche che praticamente li raddoppia, e senza contare che c’è addirittura un canale televisivo dedicato solo ai reality.
Avrei molto da dire su tutti, veri o falsi che siano; di certo le immagini sulle stranezze del mondo umano, e l’abuso che se ne fa, specie sui bambini, è terribile. Poi i desideri che evocano, per dire, dal cibo che viene costantemente fatto vedere (e sprecato in quelle cucine) in un momento in cui la gente non ha soldi a sufficienza neppure per la spesa, o di vestiti costosi e di case lussuosissime che qualcuno mostra di potersi permettere, sono spesso una offesa alla povertà e, ancora di più, all’intelligenza.
Finora l’unico tema non trattato in un reality in Italia, era stato il lavoro. Poi la settimana scorsa compare, alla Rai.! la bella faccia cinquecentesca di Costantino della Gherardesca ad introdurci la versione italiana del format inglese “undercover boss” , cioè un reality che prevede che un datore di lavoro, o un presidente, o un responsabile, di una azienda, lavori in incognito per una settimana con i propri dipendenti. E fin qui si potrebbe anche dire, va bene, per una volta i datori di lavoro si trovano dall’altra parte e vedono le fatiche che si fanno.
Ma la verità è che, già alla seconda puntata di ieri sera, che ho voluto guardare con più attenzione della prima, ci troviamo di fronte intanto ad un reality che prevede che si ripetano gli stessi meccanismi, sia nella ricerca del personale con il quale il “boss” deve lavorare: un lavoratore precario, o in part-time, dipendenti in difficoltà personali, possibilmente soli con figli, uno straniero (per ora non di colore), che nel finale. Quindi è un falso come tutti i reality.
Ma ciò che appare pericoloso, a mio avviso, è lo scardinamento delle categorie con cui si deve guardare al lavoro e considerarlo. Diritti, problemi, relazioni, solidarietà, tutto è in capo ad una sola persona: il padrone. Eh, sì, qui non vediamo più il datore di lavoro, ma il padrone, e il lavoro te lo dà lui, se te lo meriti, e te lo toglie se, secondo lui, non te lo meriti. E non l’hanno solo fatto capire, l’hanno anche detto.
Il finale del reality prevede il premio a tutti quei dipendenti che sono stati bravi. Premi di assunzione, di carriera (una è passata dal fare la commessa a responsabile marketing in un sol giorno), di denaro. Regali ai bambini dei dipendenti, vacanze , la befana, insomma, o per meglio dire, l’elemosina. I lavoratori sono inquadrati mentre sono in ansia perché convocati nella sede principale dell’azienda, fanno pena mentre aspettano, senza capire , ma ovviamente si aspettano un castigo, altrimenti perché convocarli? Tanto si sa che, di questi tempi, con la crisi, un licenziamento o una riduzione di personale, è ciò che avviene regolarmente.
Gente semplice, o anche istruita, che ha paura, per la quale il lavoro è tutto. Ma dopo arriva il padrone e chiarisce ed elargisce il suo raggio di benevolenza. Ed anche in questo caso la telecamera ci mostra questi dipendenti contenti, che accettano le regalie un po’ vergognosi e un po’ timorosi, certo sollevati della mancata punizione ed orgogliosi di essere considerati dei bravi lavoratori. Ma ritornando ai contenuti, i messaggi più o meno subliminali che vengono inviati all’inconsapevole spettatore sono tanti, e sicuramente alcuni sono voluti.
Esempi: nel far vedere un centro di produzione all’estero di quella azienda, si chiarisce, en passant, che non si toglie niente alla produzione italiana, sapendo benissimo quale grande problema è quello della delocalizzazione delle aziende, e che il pubblico disoccupato può non gradire; c’è un caporeparto che dà qualche schiaffo sulle mani del padrone, che in quel momento fa la prova da operaio, per incentivarlo a seguire il ritmo della macchina, e si ride, come fosse normale una punizione corporale, anche se piccolissima, per far imparare a ritmo di produzione; un operaio a tempo determinato che viene redarguito perchè non fa rispettare la sicurezza sul cantiere, come se i lavoratori precari fossero in condizione di farsi valere nei confronti di lavoratori assunti a tempo indeterminato, che forse devono esprimere un giudizio su di lui dal quale dipende la sua assunzione; la dipendente preoccupatissima che si sente in obbligo di risolvere un problema che non è nelle sue mansioni. Bastano?
Ma come, dove siamo? Siamo catapultati nell’ottocento, ai tempi del padrone buono (quando c’era), che perdona, capisce e ricompensa il suo dipendente, come, dove e quando e quanto gli pare. Insomma non solo la spettacolarizzazione del lavoratore e dei suoi sentimenti, ma qui c’è la messa in mora dei principi e dei valori del lavoro, di equità tra i lavoratori, conquistati in due secoli, e che vengono spazzati via, e con un reality? A me vengono in mente due cose: la prima è che quelle aziende, di cui si fa nome e cognome, si fanno marketing con i nostri soldi del canone tv e che la Rai dovrebbe cancellare questo programma immediatamente.! La dignità dei lavoratori non può essere trattata così.