di Alice Fachini
L’azienda Bonfiglioli sente la crisi, e il calo di fatturato come al solito colpisce anche i lavoratori. Qualche giorno fa, la società ha minacciato 230 esuberi. La Fiom non ci sta, e chiede la cassa integrazione, anche straordinaria. Ieri, martedì 15 gennaio, si è svolto l’incontro tra il sindacato e l’azienda. Spiega Bruno Papignani, segretario regionale della Fiom:
“Questi esuberi sono stati causati da ragioni di crisi di settore e di crisi del prodotto, e quindi anche di calo di fatturato. Avendo finito la cassa integrazione ordinaria, soprattutto a Bologna, si poneva il problema di come affrontare questi esuberi. Accetteremo di fare un anno di cassa integrazione straordinaria, purché ci siano garanzie: l’accordo dovrà prevedere una rotazione, per evitare l’individuazione dei cosiddetti “indesiderati”, e l’azienda dovrà assicurare un contributo al lavoratore, che integri con un’entrata in euro i soldi della cassa integrazione, e che gli permetta di far fronte ai bisogni minimi. Chi vorrà, poi, potrà utilizzare lo strumento della mobilità volontaria, purché essa sia veramente volontaria: non ci dovranno essere pressioni da parte dell’azienda”.
La Bonfiglioli ha preso atto delle richieste della Fiom, e ha assicurato che lavorerà per cercare di venire incontro alle richieste. Il tavolo di discussione riaprirà il 28 gennaio. Molti sono i lavoratori coinvolti in questa trattativa: la Bonfiglioli ha infatti parlato di 230 esuberi, di cui 180 solo a Bologna, e gli altri 50 distribuiti tra le sedi di Vignola e Forlì. In tutto, l’azienda conta 1200 lavoratori, con una maggioranza a Forlì (600), 350 a Bologna e 250 a Vignola.
La Bonfiglioli è un grande gruppo internazionale, che da oltre 50 anni produce soluzioni per applicazioni industriali, in particolare nel settore delle energie rinnovabili. Con il tempo, l’azienda ha subito un processo di delocalizzazione: uno stabilimento è stato aperto in India, un altro si trova in Slovenia, un altro ancora in Germania.
“Noi non siamo contro all’internazionalizzazione – continua Papignani -, ma gli investimenti all’estero devono essere spiegati con chiarezza, e comunque limitati entro un perimetro preciso. E’ necessario poi un piano industriale serio e verificabile anche per gli stabilimenti emiliano-romagnoli: bisogna chiarire quali prodotti verranno realizzati, con quali investimenti e quanto si punterà sulla ricerca”.
Ma cosa accadrà alla fine di questo periodo di cassa integrazione straordinaria?
“Già da ora, deve essere chiaro che non ci dovranno essere esuberi. Se tra un anno il piano industriale non dovesse aver dato ancora risultati efficaci dal punto di vista dell’occupazione, o non ci fosse stata una ripresa del mercato, bisognerà chiedersi come redistribuire, in termini di orario, il lavoro che c’è. Ovviamente abbiamo pensato al contratto di solidarietà, e ad altre forme in grado da salvaguardare l’occupazione”.
Ma il caso Bonfiglioli è solo uno dei tanti in Emilia-Romagna, regione in cui moltissime aziende sono in crisi e rischiano di chiudere i battenti. Al momento, ci sono 1800 aziende metalmeccaniche che utilizzano gli ammortizzatori sociali, pari a 48mila lavoratori, ai quali vanno aggiunti 1000 artigiani che hanno chiuso in questi ultimi quattro anni, pari a 5 mila lavoratori.
“Partendo dal caso della Bonfiglioli, vorremmo chiedere un incontro alla Regione, allargando un po’ le prospettive. In Emilia-Romagna si sta ridimensionando l’occupazione e il tessuto industriale, come anche gli interventi che le aziende fanno nel settore della ricerca. In una politica di ridimensionamento, le ultime riforme (compresa quella Fornero) rendono più complicata la gestione degli esuberi: i prepensionamenti non liberano più posti di lavoro, e ci sono tante persone che si affacciano ora al mondo del lavoro e che non trovano sbocco. Vorremmo capire se la Regione ha in programma progetti per fermare la recessione e cercare di invertire la tendenza, rilanciando la crescita”.