Meritocrazia: ancora sulla fortuna delle parole / 4

24 Dicembre 2012 /

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Paroledi Maurizio Matteuzzi
Torniamo alla fonte che ha determinato la genesi della parola “meritocrazia”. Secondo Aristotele, tre sono le forme di governo (oggi in accademia si direbbe “governance”, vuol dire la stessa cosa, ed è anche più lunga, ma fa figo): la monarchia, o governo di uno solo, la aristocrazia, o governo dei migliori, e la democrazia, o governo del popolo. Ogni forma di governo ha una forma degenere: la monarchia può divenire tirannide, l’aristocrazia oligarchia, la democrazia demagogia. Abbiamo esperienza storica recente di tutti questi casi.
A esemplificare la prima è facile citare Hitler o Mussolini; per la demagogia la nostra stessa generazione ha ampiamente già dato, con il grande fratello, Gori, la Minetti e il bunga bunga, conditi assieme a un milione di posti di lavoro, al calo delle tasse e alla ricostruzione dell’Aquila. Dell’oligarchia ci ha ben provvisti la Gelmini, trasformando l’Università in una struttura rigidamente oligarchica e perfino in una certa accezione eterodiretta (il mercato, i privati, ecc.). Ma, ecco, per non farci mancare niente, ora abbiamo acquisito la meritocrazia, che può essere altrettanto bene considerata una degenerazione tanto degli aspetti migliori dell’aristocrazia che della democrazia.

Sabino Cassese, nel recente intervento al convegno di Roars, ricorda opportunamente i periodi in cui il sapere innovativo si collocava fuori dall’accademia, il 600, il 700: Spinoza, Leibniz, Cartesio ecc. Un altro amico e collega, Armando Carravetta, mi scrive in privato che paventa un nuovo medioevo. Gli ho risposto “magari!”. Il medioevo aveva dei valori, discutibili e per molti errati (de quorum ego, come dice il prof. Mantelli da Torino); nel 600 e nel 700 la ricerca “vera” era consegnata a singoli idealisti (in senso volgare e non filosofico), come Spinoza o Cartesio. Oggi la cloche dello strano velivolo passa ai marpioni dei finanziamenti facili dei Ponzellini, e questo sarebbe ancora il male minore; pagare uno yatcht alla Santanché: pazienza. Ma in realtà oggi il bastone del comando passa direttamente alle multinazionali, il che è molto peggio del dovere mantenere i vizi di una decina di “furbetti”, o di qualche centinaio di magari attempate meretrici. Quest’ultimo scotto la cultura l’ha sempre pagato; nel medioevo, in fondo, ben si capisce, fornicavano abbondantemente, al di là delle caste apparenze, a pagamento o meno, se no non ci saremmo noi. Il vero problema sta oggi nell’eterogenesi dei fini.
E’ un po’ come nella vicenda “tangentopoli 1”. Molti si sono scandalizzati del 10% di prebende pagate. Mentalità da poliziotto. Il vero danno è stato quello di selezionare i peggiori per ogni appalto, per ogni commessa. E questo è un danno che va ben oltre al 10% pagato al faccendiere di turno, o all’olgettina al caso privilegiata. Pillole di sapere da milioni di euro, portali da 70 milioni (quando un buon sito internet può costare al più due ordini di grandezza in meno), affido milionario a multinazionali di cose che una PMI (o SME in europeese) avrebbe fatto meglio, e per un decimo, questi sono i veri sprechi, che una burocrazia incolta e disinformata non è in grado di valutare. E questi sono veri e propri atti di delinquenza, che gridano vendetta a fronte dei tagli al diritto allo studio, alle carriere dei giovani, e, last but not least (vedi mo’ le parole, che forza!), a quelle piccole imprese che fanno onestamente il loro lavoro, senza avere spie o faccendieri prezzolati presso i ministeri.
Si apre la mela, ed è marcia. La putredine offusca le nari. Italia del malaffare, di cui i saputi tecnici ministeriali sono correi, anche se magari non consci: ognuno arriva dove può. Un ministro del lavoro che sbaglia il numero degli “esodati” da 50mila a 500mila, cioè, direbbe un fisico, di un ordine di grandezza. Questi sono i conti dei nostri tecnici, da qui uno si può fare un’idea dell’affidabilità dei conti dei nostri politici. Nell’ideologia fascista dominava l’idea della prevalenza del sistema dei tecnici sui politici. I fasci e le corporazioni, e l’inutilità del Parlamento. Potevo fare di quest’aula fredda e grigia un bivacco di manipoli. Grazie, com’è umano lei, direbbe Fantozzi (anzi, come siete umano Voi, dimenticavo…e già sarei stato un pericoloso sovversivo: vedi l’importanza delle parole…).
Era un’ideologia anche quella (replico: per me sbagliata, ma io sono un rompicoglioni, non faccio testo); ma era un’ideologia. Il vuoto pneumatico del nostro aulente ministro, il dare per scontato la misurazione della cultura sulla immediata ricaduta sul mercato, la meritocrazia come alibi per il recupero di una fittizia dimensione etica, questi sono i veri trabocchetti di un neo-liberismo dal volto apparentemente umano, e nei fatti men che scimmiesco. Ma com’è umano anche lui.
Colleghi, siete pronti a firmare, magari in bianco? Benedetti, vivrete bene, e con qualche soddisfazione. Usi a servir tacendo, i più; nutrita pattuglia di chi non tace affatto, e si proietta sul Ghedinipensiero, a difendere l’indifendibile, e il proprio beato orticello. Servili lacchè, pronti a distruggere la ricerca italiana per un piatto di lenticchie, beati voi. Avete il grande beneficio di non avere coscienza, questa è libertà vera, è Wille zu leben assoluto, legibus solutus, in specie da quelle morali (ma cosa sarebbero poi, queste “leggi morali”? Vogliano regredire a  Huig de Groot ?). Un discorso a parte meritano quei Magnifici, o proMagnifici, o pseudomagnifici, o almeno carini, comunque. che hanno già consumato il passaggio al nietzscheano Wille zu Macht. Quelli non sono gli SS, ma i capò, citati anche dal più duraturo dei nostri primi ministri.
Beati voi, colleghi allineati e proni. Che in più avete la fortuna che probabilmente tutto finisce qui, in due metri scarsi di terra. Ma dovete augurarvi che Dio non ci sia, perché nel giudicarvi non credo terrebbe in gran conto le mediane. E vi brucerebbe le chiappe per l’eternità. Ma da laico, sono certo di almeno un altro esito consolatorio: si parlerà a lungo della vostra ignavia, della vostra malafede, dei vostri putridi orticelli, un po’ ampliati ma di fetido marciume. In senso collettivo, perché non avete nemmeno la statura storica del delinquente vero, sarete citati come classe, o come idealtipo weberiano, come quella massa che corre in circolo dietro il vessillo berluscon-gelminico, a dio (Dio?) spiacendo ed ai nemici suoi. Una riga nei libri di storia futura dirà che i più si adeguarono, così come si dice che i grandi accademici del 600 erano arretrati aristotelici, e che i più firmarono l’adesione al fascismo, salvo 11. La condanna della storia sarà la citazione per classi, ossia l’eterno l’anonimato. Come le tombe con una croce bianca, tutte uguali, tutte anonime, dei cimiteri militari. E senza nemmeno la consolazione di avere vinto la guerra: contro la forza della ragione nulla può la ragione della forza, anche se spesso ci vuole il suo tempo.
Con il poeta, siamo costretti a firmarci:

Ma noi giacciamo nauseati e stracchi
senza un affetto in cor, sul reo letame
di questa sozza età. Noi siam vigliacchi.

(Fine)

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