Tornano le riviste? "Figure": immagini e retoriche dell'età precaria

22 Ottobre 2018 /

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di Luca Mozzachiodi
La rivista sarà presentata a Bologna alle 19 di domani, martedì 23 ottobre, presso la libreria Modoinfoshop.
Per molto tempo si è pensato che la rivoluzione digitale avesse trascinato con sé, tra i resti del secolo scorso, anche le riviste, specie quelle che si era soliti definire, con una definizione di comodo spesso, militanti. Quello che restava di questa forma e di questa pratica intellettuale erano o riviste accademiche e di società di studi (foraggiate dal sistema accademico, sostenute da particolari enti, messe a bilancio d parte di fondazioni), o fogli più o meno letterari dove troppo spesso il dilettantismo veniva e viene esibito come spontaneità, virtù e conquista democratica. Le esperienze positive di resistenza e innovazione, merita per onestà di essere citata Gli asini, faticavano a svolgere il loro lavoro con rinnovata efficacia in queste condizioni di impoverimento
L’immediatezza, e non uso a caso questa parola, che sembra aver investito e trasformato nel suo segno tutti gli scambi anche culturali, intellettuali e politici, ci ha lasciato in eredità una miriade di blog e siti, di giornali e di appendici in volume a sporadica uscita che contornano la produzione immessa direttamente nel web; tutte queste esperienze dimostrano di avere il più delle volte caratteristiche comuni.
Non hanno una vera e propria redazione o la hanno solo per quanto strettamente concerne la legge sulla registrazione e la catena di produzione; la redazione (se c’è) non si incontra per discutere, per elaborare un discorso comune e una linea, spesso i redattori non si conoscono, il che in poche parole significa che questi spazi sono generalisti, non hanno una definita riconoscibilità culturale e, anche quando parlano di politica dal lunedì alla domenica, non sono politici.

Si fondano soprattutto sui contributi esterni, volontari e gratuiti, di singoli autori, estendono la logica della “firma” come suggello di qualità e come mezzo per aumentare la propria diffusione, secondo un modello per cui, invece di rafforzare le idee per costruire uno spazio d’azione, si moltiplicano i redattori, spesso tra di loro incompatibili. moltii di questi puntano poi, con strategie diverse, a istituzionalizzarsi, ma una rivista militante (altro discorso ovviamente è per quelle specialistiche e di settore) che nasce cercando patroni e pulpiti è un piccolo mostro destinato a nascere morto.
Niente di tutto questo troverete in Figure, rivista giunta al secondo numero e opera per lo più di giovani docenti, ricercatori, lavoratori e attivisti che operano nel padovano e che anzi nasce anche come tentativo di comprensione e superamento dello scenario appena descritto. Siamo di fronte, e si sente anche nella grande omogeneità non piatta che c’è nelle pagine di quasi tutti i saggi che la compongono, al solido lavoro di un gruppo che si costruisce nelle pratiche e del quale il momento editoriale, i due volumi peraltro ben stampati che al momento sono disponibili, costituisce solo la fase esterna e interlocutoria e non il fine complessivo.
Il primo numero è dedicato alle Figure della creatività, il secondo alle Figure dell’immediatezza, secondo un programma ormai consolidato che vuole criticare (e grazie al cielo la critica riprende il posto della decostruzione in questi saggi) alcune delle essenziali forme ideologiche che permeano e costituiscono la nostra società senza però rinunciare a uno sforzo conoscitivo o d’inchiesta. Non siamo, in altre parole, di fronte a degli scritti teorici o a dei pamphlets ideologici: non è, con Figure, una questione della nostra visione del mondo contro la loro, il che non vuol dire che chi scrive un saggio, tiene un seminario, conduce un’intervista o un’inchiesta non debba averne una, come ancora troppo spesso viene insegnato, con un positivismo d’accatto, ai ricercatori d’oggi.
Mondi si chiama infatti la prima sezione che compone i numeri della rivista e contiene i saggi di maggiore approfondimento teorico, volti a indagare ogni aspetto del tipo di figura (cioè di rappresentazione e rapporto) presi in esame. Per il primo numero vengono analizzati gli aspetti ideologici della creatività come presupposto irrinunciabile del dover essere sociale di oggi, ovvero il suo mito, gli aspetti retorici che sono insiti nel presentarla e nel propagandarla, con analisi di pubblicistica, discorsi e produzione mediatica neoliberale che costituisce uno dei punti forti, mi sembra, dei redattori e delle redattrici e infine la storia di come la valorizzazione della creatività si sia affermata per come si è affermata nell’evoluzione delle società capitalistiche occidentali.
Nel secondo numero l’immediatezza viene affrontata come una delle caratteristiche essenziali della società neoliberale e del suo sistema di produzione e riproduzione di merci, figure sociali e idee, osservandola nei diversi campi della scuola, con un’indagine sulla pedagogia e sulle ultime riforme, della politica, alla luce anche delle trasformazioni social che essa ha ampiamente subito e del lavoro, con una ricerca sui lavoratori in proprio di seconda generazione, le nuove partite Iva e l’utilizzo della messaggistica istantanea che è a mio parere tra le parti migliori del lavoro svolto da questo gruppo finora. Si può veramente auspicare che queste pagine non servano solo a intellettuali, filosofi e letterati che amano lo sconfinamento dalla propria disciplina, ma diano linfa e domande alle azioni politiche e sindacali da diverse parti perché oggi, se ci fosse ancora bisogno di dirlo, non basta più dire di essere per il lavoro e contro il capitale, ma occorre anche sapere che cosa il lavoro sia nelle sue nuove forme.
Queste figure dell’età precaria che ne pervadono i rapporti generali generano dei riflessi artistici, la critica quaòo dei è e non può non essere parte della critica della società. Di qui la felice formulazione della seconda sezione della rivista, Riflessi. Questa parte contiene saggi di critica letteraria, che è la disciplina stretta di provenienza di diversi fra i redattori e le redattrici, ed è in un certo senso la parte meno innovativa e più tradizionale della rivista, anche se comprende alcuni scritti di ottima qualità e si concentra su autori e testi significativi come Bolaño o la recente narrativa e poesia italiana.
Quello che qui è nuovo è l’angolazione, la vocazione alla critica testuale come componente di un progetto più generale; lo stesso saggio su Vasta dopo un articolo sulla politica via facebook o dopo uno su Walter Siti non dice le stesse cose ed è merito di alcuni giovani critici averlo capito. «Oggi se vuoi fare critica e teoria letteraria devi essere extraletterario» dice uno dei redattori, docente di lettere e ricercatore, che è il modo più dimesso di dire una buona verità: se l’opera d’arte aspira, come legittimamente non può non fare, ad avere un ruolo nella formazione della società, deve assumere in se stessa di essere letta, giudicata e analizzata come qualcosa di più di un testo.
Quella di cui però invano cercheremmo l’eguale nelle altre riviste e blog è la parte intitolata Voci, che raccoglie interviste a lavoratori e lavoratrici ed esperti di vari aspetti e aree del mondo del lavoro, dell’associazionismo sindacale e dell’impresa; non tanto o non solo perché contrariamente a quanto si fa di solito viene lasciata parola ai lavoratori, quanto perché si intuisce dal modo in cui sono condotte le interviste che l’intervistatore non annulla la propria interpretazione e la propria lettura della situazione, ma nemmeno la impone sulla voce di chi porta esperienza, piuttosto si tratta di un processo eminentemente dialettico e mediato di emersione di nuova consapevolezza e francamente poche pagine suonano così marxiane come quelle in cui discutendo con una lavoratrice free lance e un’esponente di una società di mutuo soccorso si tenta di ridefinire le caratteristiche del lavoro autonomo di seconda generazione alla luce di una lettura generale del contesto senza ricorrere a formule marxiste.
Una delle virtù maggiori, se non la maggiore, del progetto e del gruppo che lavora a Figure è infatti proprio quella di aver saputo e voluto assimilare e revitalizzare una tradizione composita, scelta pezzo per pezzo (e in questo hanno un ruolo anche le meritorie traduzioni di saggistica straniera attuale dal francese e dal tedesco che la rivista ospita tentando di innovare la cultura nostrana) in un quadro coerente senza volersi nascondere dietro il citazionismo dottrinario o identitario e aver ricomposto, sacrificando lo scudo dell’auctoritas, la frattura tra libri e mondo in cui molto socialismo da cattedra annega e vuole annegare.
Qual è la tradizione di Figure? Non so se valga poi la pena di questo tipo di indagine ma, più come testimonianza della nuova vitalità di inedite trafile del pensiero del secolo scorso che come biglietto da visita, appare evidente a chi legge le pagine di questi saggi senza essere nuovo a questo genere di esperienze che, oltre alle ricordate riviste militanti e a un Marx come arsenale invece che come dogma, questi giovani hanno ben presente i Quaderni rossi e la loro teoria dell’inchiesta, che finalmente pare riprendersi e acquistare autonomia dalla “vulgata operaista” che con Tronti e Negri ha preso tutt’altre e discutibili direzioni.
Certamente hanno meditato le pagine di Fortini e di Orlando, letterarie o culturali in senso lato, e le oppongo efficacemente alle derive accademizzanti e ai pessimi allievi (o sedicenti tali) che entrambi purtroppo ora trovano e, sorprendentemente, non hanno disdegnato nemmeno l’hegelomarxismo e Lukács come è evidente dallo stesso utilizzo in questa accezione del termine Figura (viene dalla Fenomenologia dello spirito), e Riflesso (parente stretto del Rispecchiamento estetico lukacsiano) e generalmente dal concepire la realtà sociale e la coscienza di essa come un insieme di mediazioni difficoltose e dalla serrata critica dell’immediatezza.
Per molto tempo siamo vissuti, assieme alla certezza della morte delle riviste, nella convinzione della morte dell’intellettuale, ora questi saggisti e saggiste e questi scritti ci dicono che si trattava forse di un errore prospettico: a guardarli bene da vicino i giovani intellettuali della sinistra di oggi non sono poi tanto più stupidi, pigri o isolati e isteriliti dei loro parenti del secolo scorso; quello che è sbagliato è aspettarsi che possano essere esattamente la stessa cosa.
Ciò che Figure sembra aver capito e stare a dimostrare nella sua esistenza è che nessuno di loro (ma diciamo pure di noi) da solo ha le capacità di comprendere, leggere la realtà e la forza di porre posizioni o l’autorevolezza per dare suggerimenti udibili, ma che collaborando e facendo forza proprio sulle inedite condizioni attuali dell’intellettuale massa (precarietà lavorativa, marginalità sociale e culturale, costituzione di reti di comunicazione più estese ma superficiali) si possono rovesciare in elementi produttivi le proprie debolezze e fare di quella precarietà una coscienza del proprio oggetto e una disposizione all’azione, di quella marginalità una selezione degli interlocutori che non vanifichi il dialogo, di quella comunicazione proliferante la possibilità di trovare aiuti e connessioni insperate fino a ieri. Resta dunque da sperare che Figure continui, si raffini, e possa trovare presto esperienze simili e che la riscoperta di una sociologia e di un pensiero dialettici che non rinunciano a stare sulle proprie gambe e a metterle in strada o nelle aziende o nelle aule possa aiutare la sinistra in questo paese a passare per la porta sempre più stretta tra elitismo e populismo.

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