Strage di Bologna: tra "misteri" frutto di ignoranza e spiegazioni che si preferisce non vedere

19 Novembre 2012 /

Condividi su

Strage di Bolognadi Tommaso Fabbri
Sul piano della conoscenza storica, i “misteri” sono epifenomeni dell’ignoranza. Tutto ha invece una spiegazione possibile. Anche il soggiorno che il palestinese Saleh, allora militante del FPLP di George Habash, fece a Roma fra il novembre e il dicembre 1981 mentre si trovava nella condizione degli arresti domiciliari a Bologna.
Facciamo un passo indietro nel tempo e poi, senza cadere nelle trappole della dietrologia, cerchiamo di ragionare col cervello. Il generale Spiazzi, personaggio del Sisde parecchio attivo soprattutto al tempo della strage di Bologna, nella prima metà del giugno 1981 aveva iniziato a indagare sulla sparizione dei giornalisti Toni e De Palo avvenuta a Beirut il 2 settembre 1980:

«Il mio punto di riferimento nel Sisde – il nome in codice era Francesco Barone – mi disse: “Dovremmo stabilire un contatto con i libanesi, Lei avrebbe qualche possibilità?”.lo conoscevo un certo Camille Tawil, rappresentante dei cristiano-maroniti in Italia. Era venuto ad alcune riunioni del nostro Fronte popolare di riscossa monarchica, di cui ero vicepresidente. Ho telefonato a Tawil, residente a Milano, per organizzare un incontro tra lui e i nostri servizi. Ma poi sparì perché venne messo in galera, forse in seguito alla mia telefonata, non lo so. E vi rimase per un mese».
(Pag. 171 di Fratelli d’Italia, di Ferruccio Pinotti, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli).


In realtà, a differenza di quanto potrebbero lasciar intendere le parole del signor Spiazzi agli sprovveduti di conoscenza storica, Camille Tawil fu arrestato perché non volle dire nulla sui neonazisti europei e italiani che nel 1979-1980 si erano addestrati nei campi militari gestiti dai falangisti nel Libano:

«Il 18/6/1981 (cfr. RD, V1, C3, pp. 104-105), il Giudice Istruttore aveva sentito come testimone Camille Tawil, rappresentante in Italia e presso il Parlamento Europeo delle Forze della Resistenza Libanese; avendo costui escluso essere a sua conoscenza che cittadini europei potessero essersi addestrati in campi militari cristiani del Libano, era stato tratto in arresto per reticenza».
(Tratto dalla sentenza dell’11 Luglio 1988 per la strage di Bologna)

Successivamente il partito falangista libanese si mise a puntare il dito contro i palestinesi e in particolare nei riguardi del dirigente Abu Iyad poiché avrebbe addestrato in Libano un gruppo di neonazisti tedeschi capeggiati da Karl Heinz Hoffmann (vedasi “Organizzate dai nazionalisti palestinesi le stragi di Bologna e di Monaco?”, di Bruno Marolo, venerdì 26 giugno 1981, La Provincia).
Olp e falangisti si accusavano in modo reciproco di essere i mandanti della strage di Bologna ma “nessuna delle due parti finora ha dato le prove” (ibidem).
La polemica allora in atto, di chiaro e obbligatorio interesse per chi indagava sulla strage di Bologna, non era ancora conclusa quando, fra il novembre e il dicembre del 1981, ci fu il viaggio del palestinese Saleh a Roma.
Quest’ultima vicenda, da parte sua, è finita poco tempo fa nelle discussioni in Parlamento e su alcuni giornali. Dopo un’interpellanza parlamentare del finiano Enzo Raisi e una risposta del governo Monti per bocca del sottosegretario all’Interno Carlo De Stefano, il 17 novembre è apparso un articolo sul quotidiano la Stampa che, a sua volta, riprende una notizia pubblicata dall’agenzia Dire qualche giorno prima:

«Un viaggio inquietante, considerando che Saleh era agli arresti domiciliari a Bologna e che fu necessaria un’autorizzazione specifica della magistratura dell’Aquila (il palestinese era stato arrestato per l’indagine sui missili palestinesi sequestrati a Ortona). E siccome all’Aquila non erano tanto d’accordo, si mosse da Bologna il giudice Aldo Gentile, che scrisse ai colleghi abruzzesi spiegando che la deroga ai domiciliari era «necessaria» alle sue indagini sulla bomba alla stazione».
(Bologna, torna l’ombra dei palestinesi sulla strage, di Francesco Grignetti, sabato 17 novembre 2012, La Stampa).

A questo punto, com’è ovvio che sia, sorge una domanda: perché il giudice Aldo Gentile affermò che la deroga ai domiciliari per Saleh era “necessaria” alle sue indagini sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980? L’unica spiegazione logica è che, di fronte alle due opposte (e non provate) varianti della “pista libanese” sulla strage di Bologna, il suddetto giudice volesse favorire un colloquio informale fra Saleh e uomini della magistratura “antiterrorismo” e/o dei servizi segreti italiani, oppure far controllare i movimenti e i contatti romani del palestinese, per delle finalità investigative.
Sotto questo profilo e se questa ipotesi dovesse trovare delle conferme da chi ebbe modo di conoscere la dinamica dei fatti, il soggiorno fatto da Saleh a Roma fra il novembre e il dicembre del 1981 non costituì nulla di misterioso. Per lo stesso giudice Gentile, la persona che più di tutti dovrebbe eventualmente fornire delle spiegazioni, non era nulla di strano.
Il doversi districare fra i molteplici depistaggi riguardanti la strage di Bologna fornisce lo specifico e fondamentale motivo per cui tale giudice favorì l’autorizzazione del viaggio di Saleh a Roma. Era infatti normale per l’apparato giudiziario e poliziesco dell’Italia del 1981 anche svolgere operazioni di tipo investigativo non del tutto formalizzate a livello di documenti scritti. L’ipotesi più probabile è comunque che il soggiorno di Saleh a Roma fosse voluto da Giovannone del Sismi (che nel 1976 aveva chiesto che fosse pagato il palestinese per avere informazioni sull’Olp) per motivi del tutto estranei alla strage di Bologna. Nel frattempo il giudice Gentile pensava invece che servisse alle indagini sul 2 agosto 1980.

Aiutaci a diffondere il giornalismo libero e indipendente.

Articoli correlati