di Riccardo Lenzi
Nel 1980 Fabrizio De André cantava così la deriva italiana: “È una storia vestita di nero, è una storia da basso impero, è una storia mica male insabbiata, è una storia sbagliata”. In seguito al fallimento artistico dell’installazione massonico-natalizia apparsa a dicembre nei pressi della stazione di Bologna, l’autore Luca Vitone è intervenuto pubblicamente, rispondendo così alle critiche di molti cittadini e della Curia bolognese: “Ma quale ambiguità, volevo solo stimolare una maggiore consapevolezza sulle responsabilità della P2 nella strage di Bologna. Per capire bisogna discutere e studiare”.
Ecco, proviamo a seguire il suo consiglio e ripercorriamo brevemente la storia degli incroci tra il capoluogo emiliano, la loggia di Gelli e le altre logge bolognesi scoperte negli anni 80. Ovvero le responabilità della P2 nello stragismo e nella progressiva attuazione del suo programma politico: quel “Piano di rinascita democratica” scritto a sei mani dal toscano Licio Gelli, dal romano Umberto Ortolani e dal palermitano Francesco Cosentino (segretario generale di Montecitorio fino al ’76, fu immortalato nella foto in cui il presidente De Nicola firma la Costituzione). Non aspettiamo, dunque, il prossimo 2 agosto per ricordare che il capo della loggia P2, il suo sodale Francesco Pazienza, il generale Pietro Musumeci e il colonnello Giuseppe Belmonte – allora entrambi ai vertici dei servizi segreti militari – sono stati condannati per aver depistato le indagini sulla strage alla stazione.
E già che ci siamo ricordiamoci anche che la commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Tina Anselmi dimostrò che la P2 è “gravemente coinvolta nella strage dell’Italicus e può ritenersene anzi addirittura responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici, quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale”. Un’altra vicenda connessa, che molti non sanno o non ricordano, è quella scaturita dalla scoperta dei nomi degli affiliati bolognesi alla P2.
Per esempio, chi si ricorda del colonnello Antonio Calabrese, che il 2 agosto 1980 comandava i Carabinieri di Bologna? A conferma del radicamento della P2 nell’esercito italiano, basti ricordare che nel 1973 l’allora maggiore Calabrese aveva partecipato – insieme ai comandanti dell’Arma di Milano (Palumbo), Roma (Picchiotti) e Firenze (Bittoni) – a una riunione a Villa Wanda, domicilio aretino di Gelli, in cui il padrone di casa raccomandava ai fratelli-generali di appoggiare sempre e comunque governi di centro, ancor meglio se presieduti da un magistrato “affidabile” come l’allora procuratore generale della Corte d’appello di Roma Carmelo Spagnuolo.
Bisogna invece attendere il 1984 perché la commissione P2 riveli l’esistenza di altre due logge, anch’esse riservatissime, con sede a Bologna. Una si chiama Virtus, come la squadra di basket, è aperta anche alle donne ed è legata all’obbedienza massonica di Piazza del Gesù. La loggia Zamboni de Rolandis – affiliata invece, come la P2, alla comunione massonica di Palazzo Giustiniani – aveva tra i suoi “fratelli” alcuni volti molto noti in città: Fabio Roversi Monaco (ex rettore dell’Università, attualmente presidente della Fondazione Carisbo), il medico Mario Zanetti (direttore del Sant’Orsola dal ’72 al ’93, direttore dell’agenzia sanitaria regionale dal ’95 al 2000) e il magistrato Angelo Vella, che nel ’90 fu costretto dal Csm a rinunciare alla carica di presidente di sezione della Cassazione, proprio a causa dei suoi malcelati legami massonici. Negli anni settanta Vella era stato giudice istruttore nel processo Italicus: a dieci anni di distanza appariva chiaro per quale motivo non aveva mai coinvolto alcun piduista nelle indagini. Su queste logge bolognesi nel 1988 ci fu un’indagine, condotta dal pm Libero Mancuso, che non portò ad alcuna condanna.
Già trent’anni fa, a prescindere dagli esiti dei successivi processi, lo scandalo P2 aveva reso possibile una denuncia più incisiva e circostanziata dei guasti che i “poteri occulti”, che fin dall’immediato dopoguerra si erano insinuati nelle istituzioni repubblicane (il caso dell’insospettabile Francesco Cosentino ne è un esempio lampante), stavano producendo alla democrazia italiana. Già alla fine dell 1983, in un’intervista al manifesto, l’allora segretario di Magistratura Democratica Giovanni Palombarini lanciò un allarme che oggi suona di impressionante attualità: «L’impresa mafiosa è oggi una micidiale mistura di potere criminale e potere politico. La via seguita è spianata dalla degenerazione dei partiti e della pubblica amministrazione. La parallela degenerazione istituzionale consente il passaggio continuo dalle attività criminali a quelle legali».
Infine, a proposito di quegli anni, chi volesse rinfrescarsi la memoria su un’altro eccidio dimenticato, fino alla Befana potrà visitare la mostra fotografica dedicata al 30° anniversario della strage del treno Rapido 904 (23/12/1984), allestita nella sala d’attesa della stazione di Bologna: lo stesso luogo in cui il 2 agosto 1980 i Nar lasciarono la valigia con la bomba. Oggi che Francesca Mambro e Giuseppe Valerio Fioravanti sono liberi – nonostante gli ergastoli e la non collaborazione con la giustizia (non hanno confessato di essere autori della strage, non hanno aiutato gli inquirenti ad individuare complici e mandanti) – e che il loro amico Carminati è nei guai, nessuno si ricorda più di quando li chiamavano “i killer della P2″.
Questo articolo è stato pubblicato sul FattoQuotidiano.it il 2 gennaio 2015