Amitie è l’acronimo del progetto intitolato “Migrazione, sviluppo e diritti umani”: nei giorni scorsi in Piazza Maggiore con percussioni, letture dal vivo, proiezioni video e uno spazio di photo-shoot si è dato il via a ciò che dovrebbe favorire lo scambio di idee – e non solo – tra nuovi cittadini, autorità locali, ong, scuole secondarie superiori, enti privati e aziende, per comunicare il valore aggiunto del processo di migrazione e della diversità culturale a livello locale. Questa è la mia storia. O la nostra? si potrà leggere simultaneamente sui cartelloni in giro per Italia, Spagna, Romania e Lettonia, rispettivamente a Bologna, Siviglia, Bucarest e Riga.
Il progetto, co-finanziato dall’Unione Europea attraverso lo strumento per la cooperazione allo sviluppo, è coordinato dal Cdlei (Settore Istruzione del Comune di Bologna) in collaborazione con ufficio relazioni e progetti internazionali e ufficio cooperazione e diritti umani. Ideato due anni fa da Lucia Fresa del comune di Bologna con Gustavo Gozzi, professore per diritti umani e storia del diritto internazionale nelle università di Bologna e Ravenna, alla base c’è una lunga ricerca effettuata in collaborazione con le università dei succitati paesi. Qual è l’ostacolo emerso? Il ben noto concetto di “sicurezza” che in italiano oltretutto racchiude in modo ambiguo e confusionario due significati ben diversi e ben distinti ad esempio nella lingua inglese: la security da un lato, che vuol dire appunto sicurezza, e la safety dall’altro, con cui si intende «la protezione contro il rischio». Ed è proprio quest’ultima ad aver fabbricato lo spettro e la caccia allo spettro sotto forma delle varie misure in atto nell’intero continente.
Mentre in Emilia Romagna grazie alla legge sull’integrazione del migrante del 2004 si è creata una buona accoglienza basata sul concetto di interculturalità, attuata grazie a realtà come il già citato Cdlei (guidato da Mirca Ognisanti), il Centro interculturale Zonarelli a Bologna e lo Sprar (sistema accoglienza richiedenti asilo e rifugiati), a livello nazionale la legge del 15 luglio 2009 col suo “pacchetto sicurezza” ha generato una vera e propria ossessione: il dovere di “proteggere” la comunità italiana. Idea base assolutamente contraria al pieno sviluppo delle capacità totali, di cui invece si fa promotore Amitie vedendo nei migranti portatori di sapere, cultura e valori umani da traghettarsi da un paese all’altro. Amitie infatti mira a verificare le condizioni possibili per questi nessi, ci spiega Gustavo Gozzi, illustrandoci le varie fasi del progetto percorse in sintonia con gli altri paesi tra ricerca dati e formazione.
Interessanti alcuni dati emersi: in Spagna è già molto presente la dimensione di co-sviluppo essendo attive relazioni economico-sociali oltre che storico-culturali tra Andalusia (ricordiamo che città partner di Amitie è Siviglia) e Marocco. La Lettonia ha una bassa percentuale di immigrazione, così come la Romania, essendo più paese di emigranti, mentre l’altra comunità coinvolta, extra-europea, di Recife in Brasile è nettamente di immigrazione con entrate da Portogallo, Giappone, Italia, Spagna e Bolivia, soprattutto.
Fase di grande importanza e da continuare è secondo il professor Gozzi quella della formazione di funzionari della Regione Emilia-Romagna con focus sull’antropologia e la etnopsicanalisi. Con gli assessori comunali Frascaroli e Lepore si è compreso che per tradurre gli obiettivi posti va intensificata la formazione per dare gli strumenti necessari a chi occupa posizioni nei settori pubblici affinché si possano porre le basi per una ristrutturazione dell’intera area dei servizi sociali tenendo conto che ogni cittadino, immigrato o non, è semplicemente un cittadino.
Questo articolo è stato pubblicato sul Manifesto del 14 ottobre 2012