Carlos Latuff: "Il disegno costringe a prendersi una responsabilità"

15 Ottobre 2012 /

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Carlos Latuffdi Angelica Erta
Solo fumetti, strisce eccentriche per strapparci un sorriso? No, o almeno non solo. Komikazen, mostra di fumetto internazionale giunta all’ottava edizione, è giornalismo allo stato puro, capace di destarci dalla nostra apatia con sguardo lucido e tratto graffiante. Il fumetto di realtà – in mostra a Ravenna fino all’11 novembre – è reportage senza macchina da presa, sincero fino al midollo, forse perché la sintesi iconica è allergica alle circonlocuzioni e le sceneggiature stanno con i piedi per terra, lontane da teorie senza capo ne coda. E poi, come dice Carlos Latuff, disegnatore e attivista brasiliano oltremodo conosciuto nei paesi arabi, “il disegno costringe a prendersi una responsabilità. La matita denuncia la soggettività dell’autore, a cui non rimane nemmeno, a differenza della fotografia, un qualche elemento oggettivo dietro cui schermarsi”.
Ospite al Bartleby di Bologna, Latuff non smentisce se stesso, e parla con la stessa semplicità con cui, da cronista d’eccezione, ha raccontato la Palestina, la primavera araba ed infine la rivolta siriana. Il regime di Bashar al-Assad, ma anche i ribelli sono bersagli di un osservatore attento e informato come Latuff. E lo scacchiere mediorientale è suddiviso in aree di influenza, con i civili pedine di interessi diretti e indiretti che poco hanno a che fare con l’idea di democrazia, le organizzazioni internazionali ridotte a dichiarazioni, parole solo e soltanto parole,a commento dei deprecabili atti di violenza.

Diretta, attenta a quanto accade davvero è anche la matita di Serena Schinaia, vincitrice del premio reportage nell’ambito del concorso nazionale “Reality Draws”. Il suo racconto della Palestina di oggi ha dimenticato le sovrastrutture per infilarsi fra la gente: “ho detto addio agli stereotipi della memoria occidentale, la tipica cuffia araba, il velo e la divisa verde oliva del soldato israeliano.” Arrivata in Palestina a fianco del Gruppo Ponte Radio trasforma l’attività di teatro per i ragazzi in un reportage. Una tournée in cui si trova a vivere quei luoghi, pochi giorni ma sufficienti per incontrare la “burocrazia estenuante, le maschere subdole del controllo militare e la protesta silente, quasi grottesca.” Contraddizioni di una terra in cui convivono “Tel Aviv, città internazionale in cui anche le ragazze arabe vestono Prada e la povertà dei palestinesi a Nablus o Sebastia nei West Bank.” I suoi disegni sono queste cartoline, frammenti di realtà.
Le stesse contraddizioni di cui ci parla Alessandro Taddei, di Ponte radio. Della miseria di Gaza, del check point aperto da un anno a Nablus, di una società al collasso cognitivo, del porto di Gerusalemme in cui a lavorare sono gli etiopi, attratti dalla ricchezza e poi catapultati in una macchina infernale perché non sanno che in Israele tutto costa, troppo. Una Gerusalemme spaccata in due in cui i diritti di chi vive nella parte Est non sono gli stessi di chi vive a Ovest. Come la Schinaia, Taddei ha abbandonato le ideologie, e vede la gli arabi per quelli che sono. Gli strati sociali più poveri, nei territori dove comanda Hamas, arroccati sulle sure del Corano a vivere per una parola dell’Imam. “E poi la corruzione di Fatah: dov’è la speranza?La violenza esplode, non tanto per i diritti fondamentali, luce, acqua, ma alla prima vignetta ‘blasfema’. Se gli togli Allah gli togli tutto, come il pallone a un bambino del rione di Napoli.
Libertà d’espressione dissero in molti per disconoscere le ragioni delle proteste nel mondo musulmano. Non la pensa così Latuff, tre volte in carcere nel suo Brasile per aver messo nero su bianco, e con il rosso del sangue, le violenze della polizia. Il cronista-disegnatore brasiliano distingue fra racconto e provocazione fine a se stessa, fra critica e diffamazione. “Dove sta la critica in uno schizzo di Maometto nudo a carponi? Solo pornografia visiva” che alza un polverone, solo sabbia negli occhi. Ma Latuff vede bene, e fa vedere, come quando disegna gli Stati Uniti nelle vesti di un coccodrillo piagnucoloso, sulla lapide “Diritti umani -Siria”, a fianco dell’Onu e della Lega Araba. O quando nel 2007 metteva sul ring Hamas e Fatah. Fuori dal quadrilatero Israele a chiedere “Who do you think will win the fight? You and me of course, rispondevano gli Stati Uniti.

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