Nelle ultime 48 ore il rapporto tra Università e collettivo Bartleby è precipitato, con un tentativo di sgombero e un dialogo che non parte. “L’Università ci considera un problema più che una risorsa”, ci scrivono gli attivisti di Bartleby.Negli ultimi due giorni la questione degli spazi sociali e della produzione culturale è di nuovo tornata al centro del dibattito cittadino a causa della situazione del collettivo Bartleby, al momento negli spazi di via San Petronio Vecchio 30/a, dietro la Facoltà di Scienze Politiche. Lo stabile è di proprietà dell’Ateneo di Bologna, era in disuso fino alla convenzione che l’ha assegnato a Bartleby due anni fa, ed ora è destinato, tramite un progetto di ristrutturazione dei locali, ad accogliere aule studio e biblioteca.
Il collettivo, nella giornata di giovedì, ha reso pubblica la volontà dell’università – nella persona del prorettore con delega ai rapporti con gli studenti, Roberto Nicoletti- di sgomberare lo stabile, per lasciare iniziare il cantiere. Al progetto fu assegnato lo spazio dall’università (in corrispondenza con il cambio ai vertici dell’amministrazione dell’ateneo), dopo tre occupazioni in via Capo di Lucca 30.
Il 30 Settembre scorso, alla scadenza del periodo di assegnazione, il collettivo si era mosso per trovare un dialogo con l’Università per risolvere la questione dell’assegnazione dello spazio. Tentativo vano. L’Università rispose che in quel luogo si sarebbero dovuti effettuare dei lavori e Bartleby avrebbe dovuto lasciare immediatamente lo stabile, dichiarandosi non interessata ad aprire un ulteriore dialogo che permettesse di tutelare l’esperienza politica di Bartleby. Ci interessa ricordare come la richiesta di Bartleby fosse quella di cercare una soluzione per dare continuità a un progetto di autogestione che in questi due anni ha restituito arte e cultura ad alti livelli in città, rendendole fruibili a tutti, sviluppando un’idea altra di condivisione e trasmissione dei saperi, creando momenti di discussione aperta e trasversale sui diversi nodi critici legati alla produzione politica e culturale all’interno del tessuto metropolitano.
Un dialogo con Bartleby è stato invece avviato, tra molte difficoltà, con il Comune; l’assessore alla cultura Alberto Ronchi, riconoscendo il valore di questa esperienza ha aperto una trattativa che sembra poter avere esiti positivi nella direzione di un trasferimento in un’altra sede e della tutela del progetto.
Da settembre l’Università è dunque rimasta in silenzio per mesi, fino a palesarsi nell’ultima settimana di maggio, nel mezzo della trattativa tra Bartleby e il Comune, per comunicare al collettivo che la data di avvio dei lavori era stata fissata per il 1 giugno. Per quel giorno, quindi, Bartleby sarebbe dovuto essere improrogabilmente fuori da lì.
La risposta è stata un secco “preferirei di no”, come nella migliore tradizione del personaggio del romanzo di Melville che dà il nome allo spazio.
Immediatamente una mobilitazione ha portato tanti e tante a difendere Bartleby contro un eventuale sgombero. Le minacce e la chiusura da parte dell’università -in un momento in cui una trattativa aperta avrebbe consentito la salvaguardia e continuità del progetto- sono state un chiaro segno della volontà politica di ostacolare e porre fine all’esperienza di Bartleby, non riconoscendola come risorsa ma trattandola come problema.
Poche ore dopo la diffusione della notizia di un imminente sgombero, centinaia di persone si sono riversate negli spazi di via San Petronio Vecchio per un’assemblea pubblica continuata poi con una notte bianca per difendere insieme Bartleby. In tarda mattinata in tanti si sono recati nel Rettorato dell’Università esigendo un confronto pubblico con il prorettore Nicoletti.
Bartleby ha ribadito quello che aveva proposto da subito: un ragionevole tempo di transizione di poco più di un mese per terminare il programma estivo e trasferire le proprie attività garantendo continuità al progetto. L’atteggiamento dell’ateneo di far ricorso alle questioni tecniche come le presunte penali da pagare (palesate a pochi giorni dall’inizio dei lavori) nasconde la volontà politica di chiudere uno spazio di autonomia. Bartleby ha contribuito a palesare le contraddizioni delle gerarchie cristallizzate dell’università, incapaci di riconoscere il valore di un’esperienza che in questi anni ha fatto dell’intersezione tra produzione culturale e agire politico, una risorsa e una scommessa per la città di Bologna.
Bartleby