Sabato in piazza contro l’economia di guerra di Meloni

di Loris Campetti /
24 Ottobre 2025 /

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“Uno dei nostri obiettivi è cercare di saldare la lotta contro il riarmo con quella per il lavoro, perché dire no al riarmo e dire sì alla pace oggi è la condizione per affrontare i temi reali e investire sulla sanità e sull’aumento dei salari”. Sono queste le parole di Maurizio Landini che possono funzionare da collante tra i lavoratori e i giovani, studenti, precari in un contesto storico in cui le politiche dominanti spingono alle divisioni: tra generazioni, tra sessi, tra lavoro e ambiente, tra etnie, tra gli stessi lavoratori in una scellerata guerra tra poveri. Sabato 25 ottobre la manifestazione nazionale contro la manovra economica del governo Meloni e il riarmo è promossa dalla Cgil insieme a oltre cento associazioni che aderiscono alla Via Maestra, legate dalla difesa della Costituzione: c’è tutto il mondo della solidarietà laico e cattolico, l’ambientalismo, i movimenti studenteschi, il pacifismo, l’antifascismo, il volontariato impegnato nel salvataggio dei migranti e nel sostegno ai poveri e ai portatori di handicap. 

Uno degli elementi di novità di questi ultimi mesi sono le nuove generazioni. Spiega il segretario della Cgil nel corso di una trasmissione televisiva: “Quando abbiamo fatto i referendum sul lavoro e la cittadinanza, anche se non abbiamo raggiunto il quorum, c’è un dato che tutti hanno fatto finta di non vedere: di quei 15 milioni che sono andati a votare, più di 5 milioni e mezzo erano giovani. C’è una fascia d’età in Italia che ha superato il quorum, è quella dei giovani dai 18 ai 34 anni che hanno votato per dire no alla precarietà e sì alla cittadinanza. Quei giovani sono gli stessi che oggi sono protagonisti della straordinaria mobilitazione per la pace che c’è stata nel nostro Paese. Bisogna mettersi in ascolto, perché questi giovani non vedono davanti a sé un futuro. Non vedono la possibilità di realizzarsi nel lavoro e tanti sono costretti ad andare via dal nostro Paese. Chiedono di cambiare, di avere un futuro, di potersi realizzare nel lavoro che fanno, di poter usare la loro intelligenza. Allora penso che oggi dobbiamo saperli ascoltare e dare loro voce, mettendo a disposizione le nostre organizzazioni per cambiare questa situazione, costruendo quella solidarietà e quel legame che oggi sono necessari”. 

Sono tre anni che le destre italiane (s)governano il Paese e li festeggiano con una manovra economica segnata dall’austerità per tanti e dai privilegi per pochi. Appena 18,7 miliardi pescanti taglieggiando poveri, lavoratori dipendenti, pensionati, giovani e donne; peggiorando la legge pensionistica della Fornero che avevano giurato di voler sotterrare, cancellando l’opzione donna, allungando l’età lavorativa fino a 67 anni e tre mesi nell’arco di due anni, non restituendo il drenaggio fiscale ai lavoratori dipendenti che vedranno impoverirsi ulteriormente gli stipendi: un salario da 25 mila euro annuo subisce un drenaggio fiscale di 569 euro e non avrà alcuna riduzione del prelievo che partirà solo dai 28 mila euro in su e un salario da 35 mila euro subirà un drenaggio di 1,142 euro mentre la prevista riduzione dell’aliquota dal 35% al 33% del reddito netto gli restituirà appena 88 euro. Insomma, nuovi furti. Il tutto per uscire dalla procedura d’infrazione dell’Unione europea e poter così sganciare la spesa militare dai vincoli del patto di stabilità e poter propagandare la menzogna secondo cui i conti italiani sarebbero messi meglio di quelli francesi e tedeschi. L’inflazione provocata dall’economia di guerra viene scaricata sui redditi fissi. 

C’è un altro modo per reperire i fondi senza danneggiare un welfare già prosciugato, senza penalizzare i lavoratori e i pensionati, per rilanciare una moribonda sanità pubblica? Certo che c’è e risponde a una filosofia opposta a quella meloniana. Secondo la Cgil bisogna andare a prendere i soldi dove stanno: negli extraprofitti di banche, assicurazioni, multinazionali, nella rendita e nelle grandi ricchezze, colpendo un’evasione fiscale che si aggira intorno ai 100 miliardi e attraverso un prelievo dell’1,3% sui patrimoni superiori ai 2 milioni che riguardano l’1% degli italiani e consegnerebbe ai conti dello stato e al restante 99% di cittadini una cifra pari alla mancata restituzione del fiscal drag e superiore all’entità stessa della manovra di una decina di miliardi di euro. Servono inoltre interventi che consentano un celere rinnovo dei contratti nazionali di lavoro, una riduzione della pressione fiscale ai danni dei lavoratori, una rivalutazione delle pensioni e dei salari. 

 Il contesto in cui si avvia all’approvazione una manovra economica classista che divide le destre – pronte come sempre a ritrovare una pace traballate ma imposta dall’esigenza di mantenere stretto nelle proprie mani tutto il potere – è preoccupante, segnato dalla deindustrializzazione di tutto il settore manifatturiero, a partire dai capisaldi storici, siderurgia e automotive. Fa eccezione l’industria bellica che vive la sua stagione più fiorente grazie alle guerre, e dove di conseguenza le condizioni salariali sono migliori e l’azione sindacale più radicata. La cassa integrazione è in crescita esponenziale nel settore metalmeccanico e nelle piccole aziende della componentistica e dei servizi rischia di trasformarsi a breve in disoccupazione. La povertà assoluta e relativa, pur essendo nella media europea, mostra enormi discrepanze territoriali: alcune regioni del Mezzogiorno sono tra le più povere del continente, alcune di quelle del centro-nord tra le più ricche. Ed è soprattutto italiano il fenomeno che vede crescere la povertà tra chi ha un rapporto di lavoro regolare. 

Eppure, i consensi a Giorgia Meloni dopo 3 anni non diminuiscono, almeno tra chi ancora crede nella politica e va a votare. L’uso spregiudicato del potere, le prebende alle fasce sociali e alle lobbies di riferimento della destra, l’indubbia capacità di narrazione attraverso il rovesciamento della realtà, la mancanza di un’azione forte e unitaria delle opposizioni stanno alla base del miracolo. E come è sempre avvenuto in presenza di governi autoritari che criminalizzano il dissenso e premiano gli ascari, le destre riescono ad aprire brecce in campi una volta ostili: la Cisl è diventata il sindacato di riferimento delle destre e Azione di Calenda la ruota di scorta. Guai a criticare, la caccia al nemico è senza esclusione di colpi, che il nemico si chiami Elly Schlein o ProPal, oppure antifa. Più nemico ancora se si chiama Maurizio Landini, colui che ha osato dare della “cortigiana di Trump” a Giorgia Meloni. Dei due significati del termine, “donna di corte” e “prostituta”, la presidente del consiglio ha scelto non quella che era nelle intenzioni del segretario della Cgil ma la seconda, e apriti cielo. E siccome i suoi tentacoli arrivano ovunque, dall’informazione alla giustizia agli uffici dei garanti, ora si aspetta che i promotori dell’ultimo sciopero generale al fianco della Flotilla e del popolo palestinese, cioè la Cgil e i sindacati di base, vengano colpiti, non potendo per ora affondarli. E questa è una ragione in più per scendere in piazza sabato 25 ottobre con la Cgil e “La via maestra”. 

Questo articolo è stato pubblicato su Area il 23 ottobre 2025

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