Negli ultimi giorni abbiamo seguito da vicino la mobilitazione per la Scuola che è scesa in piazza il 18 ottobre. Sul nostro sito abbiamo dato spazio (QUI e QUI) al lancio di questa giornata, al movimento che lo ha reso possibile, alle prospettive e riflessioni che ne sono emerse – e stanno emergendo. Nella ferma intenzione di dare continuità a questo lavoro, condividiamo oggi un’ulteriore riflessione scritta da Cristian Tracà all’indomani della giornata di mobilitazione di sabato scorso. Buona lettura
Piazza Nettuno ieri pomeriggio si è trasformata in un grande laboratorio colorato dove tante realtà hanno offerto laboratori per far riflettere sull’educazione e sul rischio che la Scuola sta correndo. La Rete per la Scuola Pubblica Emilia-Romagna lavora sodo da mesi per studiare le Indicazioni Nazionali e per scrivere analisi che entrano nella carne viva dell’operazione culturale di Valditara, un passo indietro educativo e didattico che la nostra città e le Scuole non possono accettare.
Andiamo con ordine, sperando di dare anche a chi è più lontano dalle aule scolastiche qualche strumento in più per leggere questo passaggio storico. Sono passati poco più di sei mesi da quando Il Ministero dell’istruzione e del merito ha pubblicato le Nuove Indicazioni Nazionali per il primo ciclo, che, per chi non mastica il lessico scolastico, sono le linee di orientamento per chi insegna e dirige le Scuole del Belpaese. Il testo di riferimento per programmare il lavoro in classe. A elaborarle è stata una commissione nominata dal Ministero, che più volte aveva annunciato di voler rivedere l’impianto educativo e le regole, con frasi eloquenti di Valditara contro l’eccesso di sessantottismo a scuola.
Dopo una consultazione che ha visto il centrodestra arroccarsi dietro alla prima versione delle linee guida, con accuse di eversione a chi in questa città voleva tenere aperto e ampio il dibattito e il discorso critico pubblico, sono stati accettati alcuni rilievi emersi nei primi mesi e a luglio è stato pubblicato il testo definitivo. Nonostante qualche cambiamento, il testo ha mantenuto le forti criticità che ieri in piazza sono state spiegate con grande approfondimento e anche con uno sforzo non banale di divulgazione per un pubblico non scolastico. Il Consiglio di Stato con 16 pagine di rilievi ha chiesto integrazioni, correzioni e approfondimenti, evidenziando perplessità di vario tipo sul documento.
In rete è possibile trovare decine di documenti, che l’Università di Bologna ha raccolto in questa pagina (qui). Hanno espresso preoccupazione le società di didattica, le società di pedagogia, i dipartimenti di scienze dell’Educazione. Mancano evidenze scientifiche dietro a questa proposta di superamento del modello precedente.
Quali articoli, quali studi scientifici ci sono dietro la retromarcia sull’insegnamento della lingua italiana o della storia? Nemmeno la pezza di alcuni dati Invalsi, comunque parziali, rischia di essere convincente per chi sostiene questi cambiamenti: quei dati per esempio raccontano un progressivo miglioramento nel livello di padronanza della lingua inglese, che però non si acquisisce nel modo in cui il Ministero consiglia di insegnare l’italiano. Sottolineano ancora di più come sulla lingua italiana si sia scelto un approccio ideologico conservatore senza una reale conoscenza della dinamica delle classi.
Il cuore della riforma è proprio sulla lingua italiana, sulla storia e sulla geografia. Scelta chiaramente non casuale: si lavora nel cuore della formazione dell’identità. Si tagliano i ponti con la linguistica democratica, la sociolinguistica, la World History: quanto di più pregevole era stato consegnato dalla ricerca alla scuola negli ultimi decenni.
Mentre le nostre classi diventano sempre più ricche di culture e nazionalità di origini diverse, dall’alto arriva un elenco di regole, un ridimensionamento dell’aspetto critico dell’insegnamento della storia, uno sguardo a raggio limitato al locale, al nazionale. Quando ci si spinge all’Occidente è un lusso vero e proprio mentre, all’opposto, in Italia e nel mondo cresce la voglia di capire e studiare il successo cinese. Nel mondo in cui se una farfalla sbatte le ali a Oriente le conseguenze arrivano in Occidente, sembra una chiusura provincialistica imperdonabile.
Il modello dei saperi per il futuro di Morin e il fascino di insegnare nella complessità del contemporaneo e nel postmoderno vengono derubricati a utopia fricchettona. Non è scritto così ma tutto fa pensare che chi ha redatto le linee lo pensi. Le varietà sociolinguistiche vengono bollate come una deviazione non ortodossa verso lo spontaneismo, come errori e mancanze di rispetto. Torna un’attenzione astratta, improponibile in molte classi, alla regola grammaticale, di un italiano standard che probabilmente non usano nemmeno i ministri del Governo, considerata la storia articolata della nostra lingua e la loro eterogeneità di provenienza.
Il docente per ritrovare autorevolezza viene disegnato come un Magister che ricorda l’idea dell’Ipse dixit. L’italiano normativo, la storia esemplare e monodimensionale, la geografia dei posti vicini. L’estero, se proprio proprio, può entrare se ha una qualche relazione con l’Italia. Con i giovani che hanno un raggio d’azione sempre più internazionale, questa scelta di prendere alcuni metodi del passato e incollarli in un mondo completamente diverso può essere considerata retrotopia, se uno cita Baumann e vuole rimanere elegante, paternalismo, se si ascoltano i giusti rilievi del professor Fiorin, che aveva coordinato il lavoro per scrivere il testo precedente delle Indicazioni.
Un documento pieno di contraddizioni interne, un’ennesima giravolta del Ministero dell’istruzione e del Merito che alterna atti che sembrano figli di visioni pedagogiche diverse. Nei giorni pari piombano sulla scuola Agende e Pnrr che rimandano a una visione della scuola di inclusione, ascolto attivo e accoglienza. Nei giorni dispari interviste, circolari e riforme che, facendo leva su qualche caso di cronaca, si appellano alla punizione e alle ricette del passato come panacea dei mali della modernità.
Bologna, come sempre, si è fatta sentire, con competenza e lavoro di rete.
Questo articolo è stato pubblicato su Cantiere Bologna il 19 ottobre 2025