La complicità dell’Italia e dell’Europa nel genocidio palestinese

di Andrea Fumagalli /
21 Giugno 2025 /

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Qualche settimana fa pochi quotidiani italiani (Il Fatto QuotidianoAnsa-Europa e Il Manifesto) hanno riportato i risultati di una inchiesta promossa dai quotidiani belgi L’Echo e la sua pubblicazione in lingua olandese De Tijd sull’uso dei fondi Ue da parte di università e organizzazioni israeliane (tra cui anche il ministero della Difesa e produttori di armi) che hanno sviluppato progetti finanziati nell’ambito del programma europeo Horizon destinato alla ricerca e all’innovazione. Si calcola che dei 921 progetti finanziati da Bruxelles in ben 213 sono presenti anche soggetti israeliani. Un numero così alto da far lievitare la quota complessiva dei fondi gestiti dai partner israeliani fino a 1 miliardo di euro.

Tra gli esempi di progetti finanziati dall’Ue, ne emergono alcuni più sensibili di altri. Ad esempio c’è il caso di un’iniziativa sulla sicurezza delle infrastrutture sottomarine che coinvolge direttamente il ministero della Difesa israeliano e l’azienda pubblica Rafael Advanced Defense Systems. Anche Israel Aerospace Industries (Iai), il maggiore gruppo industriale di difesa di Israele, è in prima linea con otto progetti e circa 2,8 milioni di euro ricevuti.

Come scrive Il Manifesto, tale situazione dipende dal fatto che tra Ue e Israele è in vigore un ampio partenariato di natura commerciale e politica. L’accordo in vigore dal 2000 regola anche la cooperazione nel settore della ricerca. Inoltre Tel Aviv partecipa ad Horizon, il principale programma di collaborazione europeo dedicato a ricerca e l’innovazione. Un programma gestito operativamente da Bruxelles, ma aperto ai contributi economici di paesi non Ue, tra cui il Canada, il Regno Unito e lo stesso Israele. Sulla carta il progetto Horizon dovrebbe servire esclusivamente a scopi civili, ma non è così, soprattutto per quanto riguarda la partecipazione israeliana, Nell’inchiesta belga, infatti si fa riferimento, ad esempio, ad un progetto sull’innovazione alla lotta al terrorismo che vede la partecipazione di un’azienda di consulenza israeliana legata ad esponenti del Mossad. Ma c’è anche la denuncia di una linea di finanziamento al ministero della difesa israeliano. “Il ministero”, si legge “è partner del progetto Horizon UnderSec, attivo fino alla fine del 2026, che mira a proteggere le infrastrutture sottomarine con sensori e tecnologie, e riceve a questo scopo quasi 6 milioni di euro”. A ciò si aggiunge il mezzo milione di euro che va alla Rafael Advanced Defense Systems, un’azienda pubblica della difesa israeliana. E infine il più grande gruppo di difesa israeliano, ovvero l’Israel Aerospace Industries (Iai), partecipa a ben otto progetti Horizon, ricevendo quasi 2,8 milioni di euro di fondi europei.

Ma il sostegno europeo all’arsenale militare di Israele e al genocidio del popolo palestinese passa anche per altri canali. Sul sito di Europa.today.it, si legge che il Fondo Europeo della difesa ha erogato un finanziamento complessivo di 35 milioni di Euro alla Intracom Defense, società della difesa che nel maggio 2023 è stata acquistata dalla gigante israeliana delle armi, la onnipresente  Israel aerospace industries (Iai). In particolare, il deputato europeo Manu Pineda, del Partito Comunista Spagnolo in una interrogazione alla Commissione Europea chiede chiarezza su uno stanziamento di 8 milioni di euro a favore della Intracom Defense finalizzato alla costruzione di droni, che vengono utilizzati nei bombardamenti su Gaza

Un rapporto dell’European coordination of committees and associations for Palestine (Eccp) – una rete di 46 organizzazioni europee, ONG, sindacati e gruppi di solidarietà provenienti da 19 paesi europei, dedicata alla lotta del popolo palestinese per la libertà, la giustizia e l’uguaglianza  – riporta che la filiale israeliana di Ibm ha ottenuto oltre 5 milioni di euro per creare un database della popolazione che, secondo l’accusa di Eccp, serve alle forze dell’ordine di Tel Aviv per controllare e reprimere i palestinesi.

Anche la grande finanza partecipa al genocidio del governo israeliano nei confronti del popolo palestinese. Secondo uno studio condotto dal gruppo olandese di ricerca finanziaria Profundo, datato 14 febbraio 2025 e pubblicata dalle Ong olandesi BankTrack e Pax, ripreso in Italia da Valori.it, sono sette le banche – quattro americane, una tedesca, una francese e una britannica – che hanno aiutato Israele a radere al suolo la Palestina, contribuendo al finanziamento del debito sovrano di Israele. Secondo questo studio, Israele tra il 7 ottobre 2023 e gennaio 2025 ha emesso obbligazioni sovrane per un valore totale di 19,4 miliardi di dollari.

Come spiega la ricerca di Profundo, da prassi il debito sovrano di Israele è aggiunto al bilancio statale complessivo. Ma una serie di rapporti confermano come le obbligazioni più recenti (quelle a partire dall’ottobre 2023) sono state emesse specificamente per coprire i costi della guerra. Si tratta di veri e propri “war bonds”, o “obbligazioni di guerra”. Israel Bonds, l’organismo affiliato al governo responsabile della commercializzazione delle obbligazioni israeliane agli investitori internazionali, pubblicizza specificamente queste obbligazioni come opportunità per supportare “Israele in guerra”.

I quasi 20 miliardi di dollari di obbligazioni di guerra sono state sottoscritte da Goldman Sachs con oltre 7 miliardi. Segue, poi, Bank of America (3,6 miliardi) e Citigroup (2,9 miliardi). Quinto posto per JPMorgan Chase con 0,7 miliardi di dollari. In Europa la parte del leone la fa la tedesca Deutsche Bank (2,5 miliardi) e la francese BNP Paribas (2 miliardi), che controlla l’italiana BNL (Banca Nazionale del lavoro). Chiude la britannica Barclays con 0,5 miliardi. A queste banche la ricerca di Profundo affianca anche le società di gestione patrimoniale che hanno aiutato la guerra di Israele acquistando oltre 2,7 miliardi di dollari in obbligazioni. Tra queste spiccano la tedesca Allianz (tramite la sua sussidiaria statunitense Pimco) con 960 milioni di dollari. A seguire Vanguard (546) e Wellington (250). Poco dopo anche l’italiana Bper (Banca Popolare dell’Emilia-Romagna) con 99 milioni, che ha recentemente finanziato uno spot pubblicitario di ben diverso tenore.

Ma il business delle banche riguarda anche le lucrose opportunità che derivano dal finanziamento privato alle aziende che forniscono armi a Israele. Ricordiamo che finanziare la vendita di armi a vantaggio di un esercito occupante è esplicitamente proibito da ben due accordi internazionali: The Arms Trade Treaty (ATT) delle Nazioni Unite del 2014 e The Eu Common Position on Arms Export Control del 2008.

Secondo uno studio curato da diciannove organizzazioni non governative, tra cui Pax e BankTrack, ripreso in Italia ancora una volta da Valore.it, negli ultimi quattro anni banche e società finanziarie hanno dato 36,1 miliardi di euro in prestiti e sottoscrizioni ai sei grandi fabbricanti di armi che fanno affari con Israele. E detengono 26 miliardi di euro in azioni o in obbligazioni di queste società.

In prima fila troviamo le banche francesi BNP Paribas e Crédit Agricole, con più di 5 miliardi di euro a testa. Poi la tedesca Deutsche Bank, che si ferma a 4 miliardi, e la britannica Barclays che sfiora i 3 miliardi. Tra le banche che investono, ci sono realtà italiane, come Unicredit e Intesa Sanpaolo: Unicredit, con più di 1,5 miliardi così suddivisi: poco più di 1,2 miliardi in finanziamenti e di 365 milioni in sottoscrizioni; Intesa Sanpaolo invece si ferma sotto il miliardo di euro, con 622 milioni in prestiti e 35 milioni in sottoscrizioni. E tra gli istituti finanziari, compare Exor (proprietaria anche del 100% di Gedi, gruppo editoriale, che controlla quotidiani come La Repubblica, La Stampa e Il Secolo XIX) che ha radici ben salde nel nostro Paese, essendo la holding finanziaria olandese controllata dalla famiglia italiana Agnelli. E tra le aziende produttrici di armi che fa affari con Israele c’è Leonardo Spa, che, dal 2015 al 2023, ha venduto alle forze armate israeliane i cannoni navali Super Rapid 76mm prodotti dalla sua sussidiaria Oto Melara. E dal 2019 a oggi continua a fornire anche gli elicotteri AW-119 light.

Secondo il Sipri Arms Transfers Database, dal 2019 al 2023 hanno venduto armi o sistemi di armamenti a Israele le americane Boeing, General Dynamics, Lockheed Martin e RTX e la britannica Rolls-Royce.

Secondo tale report, infine, tra il 2020 e il 2024, l’Italia ha contribuito per circa l’1 per cento alla fornitura di armi a Israele. Il 21 maggio le opposizioni hanno presentato alla Camera dei deputati una mozione inerente l’evoluzione della situazione in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza soffermandosi, tra le altre cose, sulla possibilità di interrompere ogni rapporto di cooperazione e accordo militare con Israele e la relativa industria bellica, anche in nome della legge n.185 del 9 luglio 1990, che vieta la vendita di armi a paesi in guerra o che violano i diritti umani. Non è un caso che il governo Meloni stia cercando di modificare tale legge attraverso il ddl n. 1730, volto a cancellare alcuni passaggi che oggi garantiscono trasparenza sulle esportazioni. La norma attuale prevede, infatti, che annualmente il parlamento presenti una relazione dettagliata su volumi, tipologie di armamenti, paesi destinatari, produttori e soggetti finanziatori dell’export di armi fabbricate in Italia.

Ovviamente la mozione è stata respinta ma l’ineffabile ministro degli Esteri, appoggiato dalle parole del Presidente Mattarella e della premier Meloni di ovvia condanna delle azioni del governo di Netanyahu, si è affrettato ad aggiungere che l’Italia curerà e ospiterà gli unici superstiti (madre e figlio) della famiglia di 11 persone che sono stati assassinati dalle bombe israeliani in un raid su Khan Younis il 24 maggio scorso.

Potenza dell’ipocrisia che nasconde la complicità dell’Italia e anche dell’Europa al genocidio in atto contro il popolo palestinese.

Questo articolo è stato pubblicato su Effimera l’11 giugno 2025

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