I dati Prometeia riferiscono che nel 2024 Lombardia, Emilia Romagna e Veneto sono le regioni che hanno trainato il Pil nazionale con una crescita pari al +0,7% (+0,1% la Germania). In Lombardia la crescita è stimata pari allo 0,95%. Milano guida la classifica nazionale con una crescita dell’1,14%, fanalini di coda Crotone e Isernia con -0,13%, Ragusa -0,14% e Vibo Valentia -0,23%.
L’economia del mattone, da sempre traino dell’Italia verso paradisiaci progressi, vede Milano come un riferimento fondamentale. Sarà per questo che il Piano territoriale paesistico lombardo, sin dal 2004 e in tutti i suoi vari aggiornamenti, riconosce “gli atti aventi rilievo di sistemazione paesistica di dettaglio” quali “strumenti della pianificazione paesistica integrati nel piano regionale”.
Per meglio comprendere significato ed effetti di tale criptica statuizione, rammento l’intervento di un funzionario della Soprintendenza a un convegno organizzato a Como da Italia Nostra nel 2008 in occasione del primo aggiornamento del Piano paesistico regionale. Egli denunciò l’impotenza della Soprintendenza nel porre argini ad interventi di lottizzazione previsti finanche sulle sponde
dei laghi lombardi. Una previsione di piano regolatore che abbia assunto “rilievo di sistemazione paesistica di dettaglio” attraverso un piano urbanistico attuativo (ad esempio, di lottizzazione), assurgerebbe automaticamente a norma paesaggistica, impedendo alla Soprintendenza di mettere in discussione le volumetrie previste, ma al più il disegno delle facciate dei fabbricati progettati, la scelta dei colori o dei materiali. Pur trascorsi quasi vent’anni, la sostanza di quelle disposizioni è ancora immutata, nel silenzio preoccupante delle Soprintendenze, mentre le associazioni si battono, spesso vanamente, contro nefasti interventi edilizi che risultano comunque conformi a strumenti di pianificazione permissivi.
Ai descritti meccanismi grimaldello, oggi si aggiunge una nuova esigenza: la “semplificazione”.
A Milano le cronache ci riferiscono che sarebbe in auge il titolo edilizio “fai da te” rappresentato dalla Scia (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), una procedura semplificata utilizzata per edificare nuove volumetrie -poderose in altezza e volume- bypassando in maniera a dir poco creativa i processi definiti dalla legge nazionale (n. 1150/42) che prescrive la preventiva approvazione dei piani particolareggiati quali strumenti indispensabili per una controllata trasformazione del territorio, contemperando l’interesse del privato costruttore e quello pubblico.
Le regole basilari dell’urbanistica stabiliscono -sin dal 1942- che il carico urbanistico aggiuntivo, effetto di ogni considerevole nuova edificazione, debba essere colmato mediante l’obbligatoria cessione dal privato al Comune, di aree di dimensioni proporzionate al carico aggiuntivo. L’acquisizione delle aree consentirebbe di realizzare le attrezzature prescritte dalla legge (dm 1444/68), alle quali il privato deve concorrere economicamente versando il contributo di costruzione (art. 16 dPR 380/01).
Ogni significativa nuova edificazione determina un’ovvia trasformazione del territorio che dev’essere necessariamente definita da un piano particolareggiato. Oltretutto, se ai privati viene applicato questo sconto (mancata cessione delle aree) scattano automaticamente i reati penali connessi al danno erariale, all’illegittimità del titolo edilizio, alla lottizzazione abusiva. E quest’ultima determina l’obbligatorietà della confisca dell’edificazione, a beneficio del Comune e alla demolizione dei volumi edificati (art. 30 c. 8 dPR 380/01).
Per risolvere il problema milanese, gli on. Mattia (FdI), Zinzi (Lega), Cortellazzo (FI) e Semenzato (Noi Moderati) hanno proposto di fatto un condono (ddl n. 1987). Al loro disegno di legge, evidentemente insufficiente per scongiurare gli effetti penali della norma urbanistica comunque violata, lo stesso relatore in VIII Commissione, on. Tommaso Foti (FdI), recependo le proposte bipartisan degli on.li Braga (Pd) e Fabrizio Rossi (FI), ha presentato un magico emendamento volto a fornire una “interpretazione autentica” delle disposizioni di legge, ottantadue anni dopo la loro approvazione.
In definitiva, la proposta al vaglio delle Camere intende sanare l’illecito edilizio, sia penale che amministrativo, affermando che la legge n. 1150/42 è stata finora male interpretata. Riporto pedissequamente i passaggi essenziali della proposta. Art. 1 “L’articolo 41-quinquies, sesto comma, della legge 17 agosto 1942, n. 1150 si interpreta nel senso che…” eccetera; nonché “L’articolo 8, punto 2), del Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, si interpreta nel senso che…” eccetera.A scanso di equivoci e di cattive interpretazioni anche ad opera delle Procure d’Italia, la nuova legge non si chiamerà più “Disposizioni in materia di piani particolareggiati o di lottizzazione convenzionata e di interventi di ristrutturazione edilizia …”, ma più chiaramente “Disposizioni di interpretazione autentica in materia di urbanistica ed edilizia”. In tal modo essa annullerebbe del tutto l’azione della magistratura che avrebbe mal interpretato e magari pure sbagliato a leggere, come ha letto per ben ottantadue anni, la legge urbanistica nazionale. Le premesse lasciano intravedere l’approvazione del disegno di legge n. 1987 così come novellato dal citato emendamento bipartisan e dunque tutto finirà a tarallucci e vino, in primis il pubblico interesse, e mentre uno tsunami giuridico si abbatterà sull’urbanistica in tutto il Belpaese, la rogna milanese perlomeno sarà risolta e il crescente progresso del Pil sarà certamente garantito.
Questo articolo è stato pubblicato su Italia Nostra il 27 novembre 2024