Bologna, dove gli ambiti si mescolano e i confini esistono per essere attraversati

di Silvia Napoli /
21 Novembre 2024 /

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A Bologna bidimensionalità e tridimensionalità si confrontano e si confondono sia nella virtualità che nell’immanenza dei segni, dei corpi, degli oggetti che storicamente li connotano e accompagnano e degli spazi che vengono percorsi e trafitti in qualche modo da questo trasmigrare.

Questo tema evidente già nello sguardo dedicato dal gruppo Nanou nell’ambito di Peraspera festival alle sale Carracci, risalta in diverse programmazioni artistico-documentarie nella nostra città, evidentemente molto presa in questo momento coincidente con una serie di emergenze ambientali mai sperimentate prima, dal discorso del sapersi guardare e ripensare in forme sempre aperte ad ogni possibilità.

Ci sono intanto diverse mostre da segnalare, Martin Parr, fotografo maestro del colore, presso le sale del Museo civico Archeologico, il più celebrato degli artisti cinesi contemporanei Ai Weiwei, presso le suggestive sale di Palazzo Fava, la nuova mostra fotoindustriale di Vera Lutter, nel più rigoroso dei bianchi e neri presso il MAST, giusto per citare i fondamentali, ma poi si moltiplicano appunto le relazioni tra opere, luoghi, committenze, artisti e operatori, creando nel loro farsi e ibridarsi inedite situazioni. 

Questo il caso appunto di una iniziativa per ora pilota fortemente voluta dalla Fondazione Innovazione Urbana – Rusconi Ghigi, la cui mission si articola tra gestione integrata dello Spazio Pubblico, gestione di sostenibilità delle aree verdi cittadine, implementazione della democrazia urbana digitale, innovazione delle forme di interazione e collaborazione tra amministrazione e realtà sociali., rigenerazione ecologica e climatica in vista del raggiungimento degli ambiziosi obiettivi dell’agenda 2030.

Non sono certo compiti da poco, anche se il team di Fondazione, dislocato strategicamente tra Piazza Maggiore 6, via s Mamolo 105, via Petroni 9, è un mosaico di giovani e agguerrite competenze, vocate ai processi trasformativi.

Ne è tangibile riprova questo progetto, che avrà diverse appendici nei mesi invernali fino a traghettarci alla art week di febbraio e che vede un supporto da parte di Mambo, naturalmente, il patrocinio e contributo di ER, il contributo del comune di Bologna e del ministero della Cultura austriaco, in veste di patrono dello spazio e della comunità artistica Rotor. Così Elisa Del Prete, instancabile curatrice da sempre attiva sul fronte della attivazione di spazi inusuali in quanto contenitori artistici insieme a Silvia Litardi, dialogano e compongono in sinergia con Margarethe Makocev e Anton Lederer, fondatori appunto di Rotor, coordinati da Andrea Pastore, questa progettazione così cogente dal titolo Like an open door, il cantiere come potenziale.

Voi capite come una città come la nostra, che ormai vanta una certa esperienza in fatto di cantieri e persino una narrazione popolare in merito, in un certo senso abbia quasi il dovere morale di occuparsi sotto ogni aspetto di questa fenomenologia. Nos, dunque, ovvero visual art Production, da Bologna chiama Graz, dopo un affondo già effettuato lì nello scorso anno su tematiche affini, poiché moltissime città europee vedono mutare rapidamente le loro fisionomie e in questo le due località entrambe fortemente caratterizzate da una presenza studentesca, si somigliano parecchio a detta di curatrici.

Dunque, 15 artisti tra italiani e austriaci, tra cui i nomi di Alessandro Brighetti e Flavio Favelli dovrebbero risuonarvi qualcosa si propongono in dislocazioni diverse in un arco temporale scandito da tappe

A noi per ora interessa sottolineare quanto accade nella sede di Palazzo Verzaglia Rusconi, detto familiarmente Petroni, autentico gioiello finora sconosciuto ai più nel cuore della cittadella universitaria, che viene così svelato al pubblico in una complessa duplice operazione di apertura alla citta di fondazione stessa, di conoscenza di uno spazio bello, appartato ma appunto suscettibile di nuove strategie comunicative, di dare nuova linfa vitale alle opere di Brighetti appunto, David Casini, Anja Korherr, Lorena Bucur, Marlene Hausegger, Mattia Pajè, Veronika Hauer.

L’esposizione ha inaugurato praticamente giovedì 14 e venerdì 15 novembre, con fruizione libera tra le 11 e le 19, mentre bisogna prenotarsi al 051238439 per visitarla. Altrimenti. Il giorno 14 ha visto anche un talk di presentazione nel tardo pomeriggio eppoi una appendice performativa in strada da parte di Veronika Hauer, che ha lavorato in verità ad una installazione nel sottostante spazio de L’Artiere. Al venerdì, si è andati nel luogo più site specific che possa esistere quale quello di una sede di artista, in questo caso lo studio di Alessandro Brighetti in S Lazzaro, autore di una installazione sonora seguita da djset curato da due artisti quali Casini e Pajè e Aumma Aumma Records.

In sede di conferenza stampa è stato ampliamente sottolineato quanto le opere in esposizione non debbano certo ricercare un minimo comune denominatore nelle tecniche, quanto si rivelino piuttosto in forma quasi corale per una intima porosa, virale adesione di visione tematica  vissuta e trasmessa come fatto intimo di soggettività collettive iperconnesse. L’impronta concettuale e sobria, rigorosa delle curatrici, che non possiamo tuttavia definire minimale era ben evidente in quanto abbiamo potuto vedere, come ad esempio una grande mappatura di prossimità, potremmo dire, di tutti i luoghi che compongono il vissuto visivo urbano dell’ area Mascarella e sotto ponte, o i luoghi di botanica estinta e antagonista all’uomo che si inviluppano nelle rotonde di svincolo. Da rimarcare il fatto che gli appuntamenti negli studi d’artista non sono semplici opportunità voyeuristiche per chi artista non è, o occasioni di fare balotta, ma anche momenti pensati per far duettare due artisti di diversa provenienza geografica. Pertanto, segnatevi gli accadimenti di dicembre, che riguardano il giorno 13, in cui da petroni partirà una esplorazione urbana con l’architetto Pietro Maria Alemagna, inerente l’area Petroni e il sabato 14 seguente, se non sarete a Roma per la manifestazione nazionale contro il Ddl 16, potreste esperire l’intervento site specific alla Lunetta Gamberini di via degli Orti 60, da parte di Ivana Spinelli, mentre in viale Silvani 10/avremo le installazioni di Flavio Favelli e Markus Wilfling.

Ma spaziare in tutti gli angoli del pianeta e nelle nostre libertà o soggezioni di pensiero, si può fare in molte modalità, visive, fruitive e partecipative insieme. È quanto implicitamente emerge dalla presentazione al pubblico di questa quinta edizione di Terraviva film festival, prove per un pianeta a colori, ottimistico sottotitolo che però sottolinea l’importanza di uscire anche da un loop di pensiero catastrofista sulle sorti mondiali dato che con ben 15 tra lungo e cortometraggi in concorso accompagnati da eventi e labs di varia natura, si intende rivolgersi eminentemente ad una fascia di pubblico giovanile e in età scolare.

Ma andiamo con ordine, dicendovi subito che il festival si svolgerà dal 20 al 24 di novembre, che è organizzato dalla associazione amici di Giana Aps, dalla Gemona film in collaborazione con il comune di Casalecchio, il premio Gianandrea Mutti, il Dipartimento delle arti dell’Università di Bologna, il Dams Lab, il Teatro comunale di Casalecchio Laura Betti, in cui Ater e Antonella Babbone attenta direttora curano una ottima stagione di cui presto vi renderemo conto, Reuse with love, Rise against HungerItalia, con il riconoscimento e il sostegno del ministero della Cultura, della Regione Emilia Romagna, della Ass Amici di Giana e Valsoia. Già da queste poche note si evince che la sostenibilità è uno dei core del festival e che le location non saranno esclusivamente sale cinematografiche. Alcuni degli ospiti di livello nazionale e internazionale previsti: l’attore Josafat Vagni, l’attrice Paola Michelini, l’attivista e influencer Valeria Fonte, il regista Jalal Albess. Il tema guida di questa edizione è Noi alieni a sottolineare lo stato di disagio emotivo ambientale psicologi che ormai tutti incontriamo nel nostro stesso habitat e nelle relazioni tra umani e con gli altri esseri viventi in generale e di cui pandemie, migrazioni, catastrofi di ordine e grado, guerre, povertà alimentari e culturali, sono la parresia che ci tocca in sorte.

Il festival pertanto partirà metaforicamente alle 17 del 20, dal Laura Betti e sarà presentato dall’attrice Priscilla Muscat con una introduzione di Giampiero Judica e Laura Traversi, direttori artistici del festival. Ospite sarà Albess appunto regista palestinese che vive a bologna, già vincitore della passata edizione che presenterà il trailer del film Cuts prodotto dalla bolognese Combo. A seguire in the summers, film di Alessandra Lacorazza, vincitore del gran premio della giuria al Sundance festival 2024. Ma è alle sette che si accendono i motori della competizione e si parlerà subito del tema in oggetto grazie al monologo scritto e recitato da Josafat Vagni e in tutta evidenza, intitolato :Alieno.

Naturalmente non abbiamo finito qui con gli Alieni e il giorno seguente giovedì 21 ritroviamo al DAMSLab, per la giornata titolata confessioni di un Alien x. Vagni qui leggera il testo” Vivo” ispirato all’omonimo brano di Salmo cui l’attore ha prestato la voce. Questo è il pomeriggio dedicato alla salute mentale e gli studenti di area bolognese sono stati invitati con una call di enorme successo attiva sul sito del festival dal 23 ottobre al 15 novembre a esporre un pensiero, una frase, una poesia su questa tematica della diversità e dell’alterità. !5 finalisti selezionati avranno l’opportunità di ascoltare i propri testi letti da Gaia Trussardi e Vagni. Ci saranno a seguire tre anteprime filmiche nazionali molto interessante per i risvolti transfemministi la giornata seguente Aliene a merenda che ha per sfondo naturalmente la giornata internazionale contro la violenza di genere. Valeria Fonte in questo caso sarà con il suo libro Vittime mai al centro di un pomeriggio di discussioni e provocazioni, storie di resistenza attiva e solidarietà. Prima dei film però torna al festival anche Paola Michelini che interpreterà un monologo di cui è anche autrice dal titolo Per Aspera a destra.

La quarta giornata quella di venerdì 23 novembre dedicata all’ambiente e alle buone pratiche per la sua salvaguardia, troverà il suo fulcro pratico nello swap party organizzato al Laura Betti (chapeau per questo veramente uso pubblico largo condiviso di uno spazio teatrale), dove la notissima emerita associazione Reuse with love, gestirà un pomeriggio in cui i più giovani cittadini sono invitati a portare 4 capi in buono stato dal loro guardaroba per scambiarli con altri capi e dalle 17, direttamente dal festival dei Popoli di Firenze, cortometraggi a tema, come The living Ardore.

Il 24 novembre, giornata di premiazioni sempre al Betti e le giurie saranno due e due i premi assegnati conseguentemente. Per la giuria senior e tecnica coordinata dalla regista Marta Minicuci, i giurati sono: Jacopo Quadri, montatore e regista, Lorella Zanardo, scrittrice e attivista, Veronica Flora, curatrice programmatrice, Valeria Brigida giornalista esperta di diritti umani e migrazioni e il già citato Josefa Vagni. L’altra giuria è quella delle studentesse e studenti del liceo Leonardo da Vinci, dal Liceo Laura Bassi, del Centro di formazione professionale Officina e del corso universitario di Produzione cinematografica curato dal professor Marco Cucco., sempre in quel di Casalecchio.

Questa programmazione ci consente alcune considerazioni conclusive: ci appare equilibrato e intelligente un redistribuirsi nell’area metropolitana e un valorizzare una politica di attenzione alle fasce più giovani della popolazione che sin da tempi non sospetti era stata coltivata con lungimiranza e attenzione dalla direzione Santoro del Teatro Betti insieme a diversi amministratori pubblici locali, mi pare molto interessante fare dei ragazzi i protagonisti, non farli esistere solo in quanto spettatori o vasi da riempire : grande anche per la efficacia di questo discorso il plauso che va allo staff organizzativo del Festival che come rimarcato in sede di conferenza stampa, sceglie il meglio. La qualità e il rigore sono una forma di rispetto nei confronti del pubblico e qui si vede il fior fiore dalle rassegne internazionali più prestigiose e soprattutto anche una produzione recente, up to date e in anteprima assoluta. Ritornando sul tema della Salute mentale particolarmente caro a chi scrive, non sarà un caso che proprio Casalecchio di Reno sia il luogo dove in area bolognese si sia per la prima volta avviato un percorso di Recovery college rivolto ai più giovani., denominato Young recovery e va da se che queste iniziative siano ottime sponde a percorsi di questo tipo, di cui auspico una maggior diffusione territoriale.

Territorio, che sia martoriato o alluvionato, che sia in senso mentale e politico, fatto sta che è parola mantra da un certo tempo, sottintendendo anche una certa prossimità, che non sempre è concetto così immediatamente assimilabile ad una disposizione geografica o antropologica, riferendosi anche alla cultura. Se c’è una stagione teatrale che della territorialità ha fatto stendardo, questa è Agorà, sicuramente, quest’anno giunta alla sua nona edizione. Una rassegna complessa e complessiva partita in sordina da Pieve di Cento e poco ancora e che oggi, superate brillantemente diverse prove del fuoco, in quanto accadimenti ambientali, politici, direttivi, si trova a comprendere e dover compenetrare, quattro realtà teatrali vere e proprie, ovvero il Teatro Zeppilli di Pieve di Cento, autentica bomboniera vocata alla danza, il Teatro la Casa del Popolo di Castello d’Argile, Il Teatro Comunale Borgo Dignani di Castello d’Argile, il Teatro Biagi D’Antona di Castelmaggiore, la sala biblioteca Zangrandi di San Venanzio, la Casa della Musica di s Pietro in Casale, la Sala Giulietta Masina di San Giorgio di Piano, il centro Culturale Teze di San Marino di Bentivoglio. Una programmazione, come ci spiega Alessandro Amato, curatore, organizzatore, promoter culturale felicemente subentrato alla prestigiosa Direzione Digioia dopo averla affiancata per alcuni anni, anima a sua volta a respiro artistico nazionale e internazionale stante la sua origine partenopea e il suo radicamento in Persiceto, ormai organicamente organizzata da ottobre a fine maggio, quindi non più divisa in due segmenti di stagione, ma pensata anche con una continuità di fili tematici. Quello che si cerca di fare, una volta fidelizzata una platea variegata da Bologna e provincia e viceversa, dopo averla resa così disponibile a spostarsi, cosa non così scontata, è anche predisporre un combinato di novità e primizie con spettacoli di ricerca e avanguardia da…”repertorio”, ormai, perché il pubblico dei territori interni è mediamente molto giovane su alcune proposte e non conosce perché magari non era neanche nato quelli che oggi noi consideriamo i classici dell’avanguardia. Appena reduci dall’aver visto una splendida proposizione di Sfera, per il collettivo MK, da parte del geniale coreografo Michele di Stefano, un po’ nostalgici di festival dentro la rassegna madre, davvero gloriosi come lo fu Epica, oltretutto a ridosso di una pandemia, con tutto il coraggio di discutere e questionare che fu di gruppi come Kepler 452, oggi del tutto fuori dalla fruizione di nicchia e attivissimi su un discorso pubblico ormai esorbitante dal recinto teatrale tout court, ci concediamo due chiacchiere con Alessandro Amato, perfetto padrone di casa in ogni circostanza e appassionato sostenitore del fatto teatrale come momento di eternità, proprio nella sua accezione unica, irrepetibile, momentanea eppure reale e portatrice di verità.

Si avvicina una scadenza decennale di Agorà e trovo che sarebbe interessante una qualche messa a punto se non di bilancio, che sa sempre un po’ di fine esperienza, più che altro di messa a sistema di puntini sulla mappa, di discorsi da articolare. Non so se ci stai già pensando a come festeggiare ma intanto immagino questo anno come guado delicato… cosa vorresti potenziare, cosa ti sta a cuore, che cambiamenti hai visto nel tempo?

Non so bene cosa dirti a riguardo; si, sicuramente qualcosa di speciale faremo, ma deve uscire da una elaborazione collettiva e da molte compatibilità istituzionali. Anche qui, non credere, la governance politica è molto molto complessa, una certa aria di crisi economica e di rappresentanza insieme, qui rende le cose sempre molto imprevedibili, anche rispetto ai flussi alle situazioni climatiche etc. L’azzardo delle proposte, nel comportarsi come essere downtown, piuttosto che in provincia, sempre tale rimane.

Che cosa ti sembra da rafforzare di dirimente in tutto questo lavorare letteralmente sul campo?

Posso dirti che ci sono almeno quattro punti, quattro focus di lavoro di cui vado molto orgoglioso e di cui due riguardano la felice sinergia di intenti con Lorenzo Donati e Altre Velocità in generale. Mi riferisco in particolare al discorso del Sofà e a quello del laboratorio di giornalismo culturale. Ma anche, lo voglio risottolineare, quel discorso di riproposizioni di lavori cult in alternanza a piccoli gruppi poco conosciuti(e dio sa se oggi avere un gruppo, una compagnia sia particolarmente difficile). Certo gruppi che magari non sono papabili di un Ubu almeno in prima battuta, ma che rispettano quei canoni di qualità alta e rigore etico e formale che sono imprescindibili per Agorà da sempre. E colgo la palla al balzo per suggerirvi lo spettacolo di sabato23… una compagnia di sole donne dalla Bergamasca che mette in scena la vicenda di Artemisia Gentileschi in modo corale e ultimativo… del resto sono queste le giornate di lotta contro la violenza sulle Donne e più in generale di genere. A questo proposito vorrei anche fare un discorso ben preciso su questa tematica. Io credo che in generale sia opportuno avere una composizione mediana tra produzioni a forte caratterizzazione maschile o femminile. Devo dire che quasi senza accorgermi, sto promuovendo moltissima creatività femminile… e sai perché, al di là delle mie buone intenzioni, questo avviene nei fatti? Perché cercando di esperire le nuove formulazioni, i nuovi ripensamenti e linguaggi, logicamente incontri molte giovani donne performers e artiste fermamente intenzionate e direzionate ad andare avanti con ogni mezzo necessario. Tornando a noi la formula dei Sofà, come punti informali di ascolto confronto in cui giovani compagnie tuttavia già affermate e famose come Marta Cuscuna e Sotterraneo per citartene due, vengono a raccontarsi nelle loro debolezze, nei loro momenti di dubbio e defaillance, serve a demistificare il discorso divistico o star system che permea la nostra cultura e che può erroneamente arrivare fino al teatro.

Ma gli incontri Sofa, però avvengono a Bologna? E quelli di giornalismo? Perché apparentemente uno potrebbe trovare contraddittorio questo fatto.

Allora, gli incontri con le compagnie avvengono nella sede di Altre velocita a Bologna, perché scientemente sono rivolti a studenti… che comunque spesso e volentieri fanno capo a Bologna. Il nostro pubblico è mobile dalla città verso la provincia e viceversa. A noi interessava lavorare in questo caso non con generici curiosi, ma con persone che devono scegliere, magari tra Dams e Accademia una strada non sempre tanto spianata. L’effetto confronto non solo sul magistero artistico, ma anche sull’incertezza e il fallimento a mio avviso non solo è fondante, ma sortisce effetti paradossali. Detto questo, poi ci sono questi corsi per i ragazzi che vogliono fare giornalismo… in realtà sono ragazze e per lo più e non sono strettamente interessate al Teatro… ma alla cultura anche in senso antropologico in generale …questo significa che se c’è spettacolo ad Argelato io vado a informarmi anche sulle ricette tipiche del luogo. In questo caso si fanno riunioni sul luogo di spettacolo … nei teatri… Ma il punto dirimente alla fine è quello dell’accoglienza ovvero a teatro qui, ci si sente accolti… non è tanto il principio di firmare una cambiale in bianco e trovare sempre spettacoli belli, quanto un discorso diverso sul fatto di venire riconosciuti, accolti nel senso ascoltati. Poter sempre vantare diritto di replica e in ogni caso poter discutere e non essere mai giudicati sul giudizio. Lo spettacolo può essere magari non compreso o gradito, ma la serata da noi deve essere comunque gradita, questo sì. Poi forse pecco di immodestia, ma credo che un contatto così ravvicinato tra tutti i soggetti in gioco anche da non esperti di settore a Bologna sarebbe difficile, Quindi questi sono i luoghi di misurazione di una temperatura. Se vuoi emotiva ma che ti dà il polso di ciò che funziona e cosa no. Poi io sto lavorando moltissimo per abbattere i costi, creare carnets speciali… uno studente al Dams, questo il punto, deve avere come crediti formativi di vedere un certo numero di certi spettacoli e questa è una battaglia che sto portando avanti. Perché poi non è che chez nous si vedano solo spettacoli emiliano romagnolo. Anzi… io vado molto in giro, anche per festival e anche all’estero… ero pochi giorni fa a Mittelfest… questo per dire che accessibilità a bassa soglia, parafrasando il mondo della cura, del welfare, cui la Cultura come sappiamo si apparenta molto, è il mio mantra. Accessibilità e sostenibilità in tutti i sensi, logistica economica ecologica. Per cui se uno mi viene a dire che ci vogliono mezzi propri per raggiungere gli spettacoli, io posso rispondere di favorire e organizzare in prima persona modalità di car sharing tra spettatori e anche noi operatori… io vivo qui a Pieve, ma spesso sono disposto a portare e riportare persone da e verso Bologna.

Puoi dirci in chiusura di questa sorta di progetto speciale che riguarda la ricorrenza degli 80 anni dal famoso 25 aprile iniziale, topico da cui è iniziata la nostra democrazia?

Come sai Agorà ha sempre celebrato le festività laiche con grande rilevanza, ma dopo il progetto che sai sulle memorie ritrovate dei prigionieri politici nei lager, che ha visto lo sviluppo di un progetto complesso sia di danza che teatro, ho cominciato veramente ad interrogarmi con un certo grado di ossessione sul portato reale dei fatti resistenziali ai giorni nostri e su come renderli comunicabili e trasmettibili ai più giovani. Ho molto riflettuto sul fatto che memorie orali dirette, celebrazione con la presenza concreta di sopravvissuti, di ex partigiani, da qui in poi i sarebbero state impossibili per fattori naturali diciamo, cui però a mio avviso non si è mai seriamente pensato… perché il rischio è che il fascismo allora non sia quasi esistito se non viene testimoniato ed ostento in qualche modo. A questo punto entrano in gioco gli Archivi, le fonti indirette di ogni tipo e il teatro in quanto mezzo di comunicazione potentissimo. Testificare quanto accaduto però non basta se non abbiamo da trasmettere qualche contenuto di senso. Cosa vogliono raccontarmi quelle storie lontane? Secondo me parlano direttamente ad un presente fosco in cui pericoli che parevano scongiurati si ripresentano e la Guerra diventa un rischio tangibile all’orizzonte. Noi cosa dobbiamo tenere a mente dal passato, se non che esso serve a costruire futuro se presidiamo ciò che al presente abbiamo ricavato dal passato: ovvero la nostra Costituzione repubblicana. Tutto questo nel nostro cartellone si traduce in un corpus di 5 spettacoli tematici a partire dal 18 di gennaio, con Per il resto è tutto da verificare, sulla vita, le gesta e le sventure della partigiana corticellese Zelinda Resca, per proseguire con il sempreverde Radio Clandestina, uno spettacolo ormai con qualche annetto sulle spalle ma che Celestini ultimamente riprende sempre più spesso ed un perché ci sarà pure… Il 29 marzo tocca poi a Rossella Dassù con il nuovo lavoro Due soldi di cioccolata sulla storia di Eleonora Sembri, per andare avanti in aprile con Razza Partigiana, una sofisticata partitura tra ricerca storica, musica e speech, che vede in scena un cast di tutto rispetto e grande richiamo formato da Su Ming 2, Egle Sommacal Stefano Pilia, Paul Pieretto e Federico Oppi per narrare le vicende del partigiano italosomalo Giorgio Marincola. Sabato 26 aprile, infine, un lavoro davvero emblematico per la cura di Donatella Allegro, ovvero una selezione di Lettere dai condannati a morte della Resistenza, ben consapevoli di un sacrificio il cui senso si sarebbe visto più avanti, lette da cittadine e cittadini comuni, giovani, studenti.

Di spazio in spazio torniamo in quel di Bologna e torniamo per una forma di espressione artistica che riesce a coniugare l’urgenza documentaria della realtà sociale del momento con un riuso e ripensamento di superfici apparentemente anonime ma non per questo meno dense di senso. Si è molto discusso dello statuto e della funzione dei murales un tempo ai limiti della legalità, feroce grido di esistenza dalle periferie in fiamme ed oggi, superato anche uno specioso dibattito sulla loro possibile museificazione essi assolvono quasi una funzione rinascimentale, sempre più simili come sono a grandi affreschi commissionati da privati di peso e da solerti amministrazioni pubbliche. Il caso di cui vogliamo parlarvi e che ci riporta ad una dimensione en plein air, è peculiare perché coinvolge una serie di soggettività complesse e risconvolge uno spazio pubblico per definizione, quale una scuola elementare, già toccata da un intervento di questo tipo.

Mi sto riferendo evidentemente alle scuole Bombici di via Turati già impreziosite da un murales che omaggia in effigie lo splendore partigiano di Irma “Mimma” Bandiera, sorta di nume tutelare della storia democratica della città tutta e in particolare di questo quadrante di essa in zona Meloncello.

Adesso su un’altra parete dell’edificio sta una figura femminile vagamente di ascendenza fiamminga nel tratto rigoglioso di una sorta di mostruosità botanico animale in cui sta avviluppata : una giovanissima santa Giovanna che combatte i suoi demoni. Singolare alla recente inaugurazione favorita allora da condizioni climatiche ancora miti, la folla variegata stretta intorno alle scolaresche assiepate in esterni per questo gradito fuori programma. Siamo addirittura in presenza dell’ambasciata d’Olanda, nonché dell’Assessore Ara, della vice sindaca Clancy, di un nutrito gruppo di fotografi e giornalisti. E naturalmente abbiamo una pluripremiata star di street art, che però, sorpresa, non è il ricorrente giovane incappucciato simil black bloc, da narrazione corrente, con tavola sottobraccio, ma una fanciulla poco meno che trentenne, grintosa ma minuta che si fa conoscere come Jodl, in buona sostanza acronimo di Judith de Leu, street artist di fama internazionale con biografia piuttosto delicata alle spalle, cresciuta come è stata da efficienti sistemi di welfare, assistenza e recupero nord europei ed ora essa stessa testimonial di quella che per usare termini comuni nel linguaggio burocratese del PNNR, chiamiamo ripresa e resilienza o anche recovery, nel gergo anglosassone di salute mentale di comunità.

Siccome avvistiamo nella insolita piccola folla mattutina, il producer Andrea Romeo, una gran parte dell’abituale staff comunicativo e organizzativo di Biografilm e soprattutto Chiara Boschiero, responsabile dei progetti educationals di Biografilm Festival, intuiamo che qui sia avvenuta una corto circuitazione interessante tra ambiti chiusi ed ambiti aperti, tra cultura alta e cultura popolare, tra soggetti privati e soggetti pubblici, tra stati europei di cultura diversi e che infine si sia anche affrontato un tema di genere. Chi lo avrebbe mai detto infatti, che appunto un lavoro di grandi dimensioni, montato su impalcature potesse essere a questo livello di qualità ed efficacia, appannaggio esclusivamente femminile in ogni passaggio? E perché, la piccola Ivy, dalla realtà bolognese sente la necessita di confrontarsi con la giovane artista dai Paesi Bassi? O meglio, questa necessita, che fattualmente è comprensibile, come viene supportata organizzativamente ed economicamente? La presenza qui di Boschiero, attiva su tutti i progetti comunicativo filmici che riguardano i minori della casa circondariale del Pratello, esattamente un po’ come accade per il regista Paolo Billi sul fronte teatrale, ci invita ancora una volta a interrogazioni sulla fruizione e comunicazione di un certo tipo di spazio pubblico, non intimo, più o meno collettivizzato. Per scelta o necessità. A Boschiero, che di gentilezza e competenza in merito è maestra abbiamo scelto di rivolgere alcuni interrogativi, che partono da una serie di assunti. Da tempo Biografilm si impegna ad entrate in un buio esistenziale ben diverso e più fitto di quello di una proiezione cinematografica. Ora, come può stare un murales esterno, in una proficua relazione con il buio di una sala cinematografica e il chiuso di una istituzione di pena rieducativa? Naturalmente, questo tipo di relazione, come una Matrioska, ne contiene altre diverse ed ugualmente complesse… ovvero Cultura e formazione che in qualche modo ripensando esse stesse il proprio status e le proprie funzioni infine attivano per davvero gli aspetti rieducativi di un sistema pensato come coercitivo, punitivo, ridisegnano i propri aspetti totalizzanti e costruiscono forse un’idea di “fuori”, molto più accogliente e inclusiva da quella di partenza….

Come è stato possibile realizzare tutto questo in uno spazio così difficile come quello condiviso da tutti e quello in fondo di una istituzione quale quella scolastica? Davvero può esserci una relazione tra ragazzi più fortunati e meno come la storia di Ivy, ragazzina ospitata dalla comunità Oikos ed altre esperienze da fuori, mediate dall’arte? Questa sorta di scrittura di una biografia comunitaria è il frutto migliore prodotto da una lunga storia di storie che meritano di essere raccontate? Esiste un portato particolare di empowerment al femminile in questa vicenda?

Biografilm, da tempo, forse da sempre, non è soltanto un festival cinematografico nato sull’intuizione di raccontare storie di vita, storie eccezionali certo, biografie importanti e fuori dal comune, ma anche storie di ordinary people, o piccole storie di chi normalmente non ha voce e dunque neppure possibilità. Questo è un modo per noi di fare comunità.

Il corpus progettuale Tutta un’altra storia, nel tempo per noi è diventato non una appendice, ma qualificante, perché attraverso l’espressione e il racconto del se singolo e collettivo, creiamo proprio quel ponte tra vari “dentro” e il fuori. Non semplicemente noi offriamo la possibilità a minori in stato restrittivo di vedersi un festival e film in anteprima o di svolgere il ruolo di giurati in erba e assegnare riconoscimenti con tanto di circostanziata motivazione, ma favoriamo anche l’incontro con artisti e, a seguito di questo, lo sviluppo di capacità artistiche nei ragazzi.

Per esempio, la grande artista muralista internazionale Jdl, quest’anno nostra artista residente ha ricevuto in dono dai ragazzi una loro creazione ed un dono è stato l’incontro in particolare tra Ivy e lei stessa: si è creata una corrente empatica sulla base di un pregresso biografico difficile per entrambe, da cui si può uscire o cominciare a farlo, anche attraverso le istituzioni…. La Scuola si è vero, può essere uniformante, ma può offrire anche grandi finestre di emancipazione… Se mi chiedi perché i murales, posso risponderti che essi sono una grande forma di arte pubblica, a bassissima soglia di accesso… non occorre andare in un museo per fruirne e sono quanto di più cinematografico si possa immaginare per fare narrazione dal basso. Per avere però visibilità, possibilità di accesso e di trasversalità abbiamo bisogno delle istituzioni. Istituzioni che funzionano, che ci rappresentano possono essere leve, grimaldelli di cambiamento e non semplicemente strumenti di controllo e autoconservazione. Anche Biografilm è potuto crescere nel tempo grazie al supporto delle istituzioni. Per quello che riguarda il genere, beh, noi donne si sa, dobbiamo sempre fare un po’ più fatica per esprimerci, emergere e fare la nostra strada, ma per fortuna, da sempre e non da ora il core della poetica e degli intenti di tutta l’organizzazione Biografilm è rivolta ai giovani, alle donne, a chi ha tanto da dire e dare e meno opportunità per farlo.

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