La libertà degli umani sta tutta e soltanto nel fatto che essi parlano, emettono segni. In quella sfera essi sono liberi, e in nessun’altra. In quella sfera si emancipano dal disegno divino, e al tempo stesso si emancipano dalla tirannia del particolare, del clan, della supremazia, della forza bruta. Il processo di civilizzazione è consistito nel sottomettere al linguaggio la brutalità dell’energia.
Il problema della modernità era come governare la brutalità, come sottometterla al linguaggio. Stava qui la vocazione dei moderni, almeno a parole. Oggi sappiamo che da questo punto di vista la modernità ha fallito il suo scopo. Non che il linguaggio si sia ritirato dalla scena: al contrario il linguaggio è proliferato ben oltre i limiti delle capacità di elaborazione della mente umana. Grazie alla tecnologia connettiva iper-veloce la semiosi, attività di enunciazione e di proiezione, si è trasformata in iper-semiosi, e l’iper-semiosi ha saturato attenzione, immaginazione, sensibilità, fino a rendere la distinzione critica impossibile, e fino a rendere il linguaggio ineffettuale.
Per questo è oggi necessario un pensiero ultimo, un pensiero dell’ultimità. Occorre pensare le condizioni in cui vivremo entro l’orizzonte che si sta delineando: l’orizzonte segnato dalla ineffettualità del linguaggio, l’orizzonte di un tempo in cui le parole non sono più in grado di mediare alcunché. Questo orizzonte è quello della scomparsa del genere umano entro il secolo ventuno.
La retorica universalista non ha retto di fronte alla rivelazione di cui Darwin è portatore: che la natura non è governata da alcuna teleologia, né si conforma a leggi di ragione, ma evolve secondo una sola legge, quella del prevalere degli individui e delle specie capaci di adattarsi all’ambiente, e di eliminare gli individui e le specie concorrenti. Dopo Darwin è lecito chiedersi: se nella natura vige un principio di selezione naturale che nulla a che fare con la giustizia universale né con la ragione, perché la società umana non dovrebbe funzionare alla stessa maniera?
La risposta non è ovvia. Il pensiero umanistico e la sua evoluzione illuminista risposero che la civiltà umana consiste proprio nel differenziarsi della ragione etica rispetto all’istinto naturale. È questa la differenza moderna. Oltre Hobbes e oltre Kant questo è l’oggetto della riflessione: come sottomettere la legge di natura all’aspirazione di una ragione etica universale?
Ora stiamo scoprendo che l’universalismo, la differenza che esso comporta rispetto alla natura, è stato probabilmente un’illusione ottica entro cui si è svolta la storia della politica moderna: la democrazia, lo stato di diritto, il diritto internazionale eccetera eccetera. La legge non vale neppure la carta su cui è stata scritta.
Prima di tutto ce l’ha detto il darvinismo sociale. Il mercato è il luogo della selezione naturale, e nella sfera del mercato nulla può l’universalismo. Abbiamo allora capito che tutto il discorso universalista si è fondato su un’illusione.
Ce lo ha ripetuto la sociobiologia: per Dawkins gli individui sono «macchine per la sopravvivenza, veicoli automatici ciecamente programmati per preservare quelle molecole egoiste conosciute come geni».
Solo il marxismo si è sottratto a questo cinismo radicale, e ha intuito una via per dare concretezza e verità all’universalismo, pur riconoscendo la brutale forza della selezione naturale. Se la forza è il solo giudice della relazione tra umani, si sono detti i comunisti, solo una forza universalistica può imporre alla storia una direzione umana. Solo la forza universalizzante della classe operaia, che mira a sopprimere se stessa per affermare l’interesse comune, può evitare la guerra di tutti contro tutti, e rendere possibile un’evoluzione umana: l’uguaglianza e l’internazionalismo. Ma come sappiamo il progetto internazionalista e comunista è stato sconfitto, annullato, reso inoperante. Non so dire se questo sia dovuto all’errore fondamentale dei marxisti (credere nella democrazia, che non è mai stata altro che un inganno), o se questo sia dovuto al fatto che si trattava di un progetto incompatibile con la natura umana della quale però io non so niente, perché ho sempre pensato che non esistesse.
Sia come sia, il genocidio che si sta svolgendo in Medio Oriente segna il trionfo della ferocia sulla scena della storia. Tutti i discorsi che sentiamo oggi, nel 2024, sono discorsi che preparano il reciproco sterminio. La candidata al trono americano, la democratica Harris dal nome esotico, lo ha detto apertamente: assicuro che le nostre forze armate avranno sempre il massimo di letalità.
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Lo stesso assicura Putin al suo popolo. E la stessa promessa deve fare a se stesso e agli altri chiunque aspiri ad avere qualche potere: saremo i più letali. Letalità è la parola chiave della politica futura, che non ha nulla a che fare con la politica, anzi della politica è la negazione.
Israele ha mostrato di possedere una letalità superiore a quella di cui dispongono i suoi nemici, come Hitler possedeva nel 1939 una letalità superiore a quella dei suoi nemici. Ma come mostra la fine della Germania di Hitler, la superiorità tecnica è cosa che non dura in eterno.
I palestinesi, ebrei del secolo ventuno, quelli che sopravviveranno al genocidio (perché sappiamo che il genocidio raramente è perfetto) non hanno (e non avranno) altro da fare che dotarsi di tecniche abbastanza letali per vendicarsi del genocidio israeliano.
Comunque evolva il genocidio in corso dobbiamo attendere per gli anni futuri un’esplosione globale dell’odio per la potenza colonialista genocida di Israele, che si manifesterà (è bene saperlo) con un’esplosione di antisemitismo.
All’Assemblea dell’ONU del 24 settembre, quando ha parlato Benjamin Netanyahu, tutti coloro che non appartengono alla razza genocidaria bianca si sono alzati e sono usciti dalla sala. L’odio per Israele e per gli israeliani riempie il cuore di chiunque un cuore ce l’ha ancora. Ma purtroppo il bersaglio dell’odio non saranno soltanto gli Israeliani, che questo odio lo hanno meritato: la confusione tra ebrei e sionisti, che i sionisti hanno irresponsabilmente alimentato, è destinata a ritorcersi contro gli ebrei in tutto il mondo.
Israele è destinata a scomparire ben presto per effetto del suo stesso trionfo, ma questo non concluderà la guerra che gli uomini conducono contro l’umano.
Secondo la mia ipotesi generale nel ventiduesimo secolo il pianeta sarà libero dall’infezione umana, ma intanto questo secolo ultimo sarà segnato da una competizione nel terrore. Solo chi saprà dotarsi di strumenti letali per seminare il terrore potrà partecipare alla storia nel tempo che resta.
Perciò la sola strategia che mi interessa è la diserzione dalla storia. Disertare il terrore e il terrorismo, disertare ogni partecipazione alla guerra. Disertare il genere umano, che non ha saputo e dunque non saprà mai emanciparsi dalla ferocia.
Questo articolo è stato pubblicato su Comune il 6 ottobre 2024