«L’Italia non è il paese accogliente descritto dalla retorica nazionale»

di Giacomo Guarini e Gabriella Ghermandi /
20 Agosto 2024 /

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Gabriella Ghermandi, scrittrice italo etiope impegnata sui temi della migrazione, a margine del successo delle donne dell’Italvolley alle Olimpiadi, ha l’impressione che, nel migliore dei casi, italiani di seconda generazione siano accettati solo se di successo?
Il punto è che se hai vinto l’oro olimpico devi ringraziare la bandiera tricolore che ti ha concesso quest’opportunità. Festeggia, rilascia qualche intervista e ottieni copertine, ma sii discreta e non allargarti con le dichiarazioni. I murales imbrattati, le polemiche e i tweet, non sono altro che lo specchio in cui si riflette una società retrograda, la sua rappresentazione. In questo lato del mondo, quello culturalmente evoluto, persino due campionesse sono costrette a difendersi per le proprie origini. Questo paese non ha mai fatto i conti col suo passato. Pensiamo alla questione della classe dirigente, qual è stato il punto di rottura col fascismo data l’amnistia Togliatti? E potrei dire lo stesso per quanto concerne le leggi razziali. Viviamo considerandoci ancora parte integrante dell’impero romano, nella sua immensa centralità. Quel mondo è finito da un pezzo.

Ha la sensazione di vivere in un paese totalmente scollato, per quanto concerne i ruoli apicali, da quella che è la realtà di tutti i giorni?
Sono arrivata qui per la prima volta a 14 anni, a Bologna, e in classe rimasi sconcertata sentendo le mie compagne che, sollecitate dai loro genitori, inneggiavano a terremoti che si abbattessero da Firenze in giù. Immediatamente ebbi l’impressione di un paese che patisse di una grave forma di autorappresentazione totalmente scollata da quella che era la realtà tangibile. Ad esempio, per dare dei numeri, il Global gender gap report, che fornisce dati circa l’ampiezza e la portata del divario di genere secondo parametri di partecipazione economica e opportunità, educazione, salute e potere politico, censendo 146 paesi, vede l’Italia all’83esimo posto. È preceduta da una serie di paesi che, in ottica occidentale, abbiamo sempre considerato del Terzo mondo. Lo scollamento con la realtà è, come dicevo, fin troppo evidente.

Quotidianamente, nel 2024, leggiamo di polemiche a sfondo razziale.
Il dibatto mi lascia perplessa perché parliamo di una nazione giovane, in cui, partendo dall’epoca risorgimentale presentata come unificazione piuttosto che invasione, piace raccontare cose mai esistite. Basterebbe, semplicemente, considerare questo paese per quello che è. Un contesto in cui il reato di adulterio è stato abrogato ieri l’altro, poco prima degli anni Settanta, così come avvenuto immediatamente dopo per il matrimonio riparatore e il delitto d’onore. Cose all’epoca già condannate in Etiopia. Premesse che avviliscono e, soprattutto, fanno apparire molto lontano il momento in cui la migrazione sarà considerata fonte di ricchezza e opportunità di crescita.

Qual è il ruolo delle fake news in relazione alla diffusione di questioni a sfondo razziale?
Senza ombra di dubbio funzionale al mantenimento dell’attuale status quo. È così che si continua a coltivare l’orto del privilegio, mantenendo in vita, seppur difronte a un mondo completamente diverso, lo stesso sistema economico in vigore ormai da 500 anni che prevede da un lato vincitori e dall’altro vinti e oppressi. Qual è il rischio di accogliere la bellezza della diversità? Forse quello che nascano nuove Paola Egonu oscurando l’uomo dai caratteristici tratti somatici italiani? Una volta un amico etiope mi disse che l’occidente è il muro dove si infrangono le speranze degli esseri umani. Mi chiese come facessero le mamme di questa parte del mondo a sognare il migliore dei futuri possibili per i propri figli, consce che questo avrebbe comportato un futuro da oppresso nell’emisfero dei vinti. Dobbiamo guardarci dentro, non siamo il paese che crediamo di essere.

Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il14 agosto 2024

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