Sociopatico a chi? Il sogno di un’impossibile normalità, secondo Michele Mellara

di Silvia Napoli /
20 Maggio 2023 /

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Incontro Michele Mellara, in uno degli ormai ridondanti bistrot felsinei, pressoché indistinguibili e tutti votati alla religione dello spritz che, constateremo durante la nostra chiacchierata, ha davvero seguaci insospettabili, limitandoci noi virtuosi protempore, a più rigorose bevande.

Michele, quando lo vedo io è reduce, come usa dire, da parecchie presentazioni e occasioni promozionali e festivaliere legate a diversi aspetti della sua attività e anche se io intendo chiacchierare con lui principalmente della sua opera prima narrativa, la prendo da lontano.

Segnalo qui per dovere di cronaca, ma con molto piacere che molte sono le prossime date in giro per l’Italia, in cui il nostro chiacchiererà volentieri della sua fatica letteraria, tornando anche qui a Bologna molto presto, che Giove Pluvio ci assista, nella amena situazione di Frida nel Parco, presso la Montagnola ed anche in zona metropolitana limitrofa entro il mitico Condimenti Festival.

Sei appena tornato da un giro perlustrativo di raccolta materiali e scelta locations, in alcune aree dell’ex Europa dell’Est, inframmezzato da una puntata al festival cine-documentaristico di Pordenone, in cui come Mammut film avete presentato un lavoro senz’altro importante e corale quale quello su Berlinguer. L’afflato civile, la secondo me idea molto coerente che hai sempre praticato è quella del mezzo espressivo al servizio di storie di comunità, anche quando apparentemente si tratta di biografie, storie di individualità. Voglio capire il nesso più intimo che lega tutto questo al libro.

Intanto, per meglio precisare il fil rouge collettivo del mio lavoro, devo dire che mi fa strano e non mi sembra neppure di essere titolato a parlare, quando Alessandro [Rossi, esordiente lo scorso anno in letteratura con un libro di poesie sui generis, n.d.r.], non è presente con me. Siamo una squadra a tutti gli effetti con la produttrice Ilaria Malagutti e siamo abituati a condividere ogni ispirazione. Spesso anche le presentazioni di questo libro, vengono annunciate come Mammut film. Comunque, hai ragione nel senso che anche quando abbiamo fatto il docu su Cesare Maltoni, che pur con molto pudore entrava nell’umanità nascosta di uno che di solito viene semplicemente definito in quanto luminare, poi abbiamo lasciato molto spazio alla voce dei collaboratori, anzi collaboratrici, al discorso più ampio che ci interroga sulla Prevenzione e gli statuti epistemologici della Ricerca Medica. Altrettanto su Berlinguer, non ci interessava una parabola strettamente politica, bensì il senso di un impegno percepito benissimo dalle masse popolari come etico e dunque vero e legato alla quotidianità dell’esempio.

Abbiamo fatto un lavoro che tecnicamente si chiama di foolìge, per assemblare materiali video documentari, un vero lavoro archivistico, inerenti la fine del grande leader, quando improvvisamente si accascia sul palco del comizio padovano …cosa succede di li in avanti, le reazioni di una comunità che si sente defraudata di una guida di spessore imprescindibile, nonostante tu sappia benissimo che sia il discorso austerity, per certi versi cosi “avanti”, anticipatorio, che quello del compromesso storico furono molto controversi e tuttora scatenano dibattito. Ma la cosa che ci ha colpito è che sulla statura intellettuale e morale dell’uomo nessuno ha mai potuto obiettare. E credo che figure così a tutto tondo e dunque tragiche, francamente oggi siano quasi impensabili. Probabilmente antropologicamente impensabili. Così eccezionali nell’individualità, ma non individualiste, anzi, profondamente legate alla Società che seppur non rappresentano interamente, comunque intendono migliorare. Probabilmente abbiamo perso l’idea di Progresso trasformativo, avviluppati dentro uno sviluppo ipertrofico. Quello che cercavamo di rappresentare con I’m in love with my car e che, nella nostra visione, non ha nulla a che vedere per esempio con la meravigliosa febbre del fare costruttiva del sindaco Dozza. In qualche modo è la nostra attestazione politica. E spero davvero lo si possa vedere a breve a Bologna in contesto adeguato.

Osservo a questo punto, schivando le profferte di apericena che ci vengono rivolte, che questo lavoro di cifra così riconoscibile pare porsi all’opposto di un libro, edito dalla prestigiosa Bollati Boringhieri, che titola Sociopatici in cerca d’affetto e sulla cui struttura merita spendere qualche parola, dal momento che è un punto sul quale molto si sono appuntate le osservazioni peraltro lusinghiere di colleghi scrittori di lungo corso. Coloro che amano, Ritratti in bilico, Paesaggi Sghembi e Tra le orecchie, sono più che sezioni, indicazioni di orientamento, come se, entrando in un mondo interiore, quello dell’autore, vasto e ricchissimo, avessimo bisogno di qualche segnaletica. Attenzione, una segnaletica sorniona e depistante, un po’ come se avessimo per guida il gatto del Cheshire.

Certamente, in un momento del dibattito su disagio e salute mentale particolarmente intenso, un po’ per via delle conseguenze post pandemiche, un po’ per via di fatti di cronaca eclatanti, un po’ per l’impulso proveniente dallo studio delle neuroscienze, dalle osservazioni sulle neurodivergenze e le diverse abilità, un po’ per l’uscita di deliziosi volumi quali l’Almanacco Tups, ovvero quello dei tipi particolarmente strani, verrebbe voglia di leggerlo come una sorta di breviario di stranezze cui dobbiamo rivolgere tutto il rispetto che si accorda politicamente in modo corretto a marginalità e devianze. Quantomeno considerando il contesto di capitalismo distopico in cui siamo immersi. Tuttavia, questa spiegazione mi convince fino a un certo punto. Proseguo pertanto con le domande.

Come è nato questo libro, che intanto si definisce di racconti, ma come qualcuno ha osservato, infine sembra tenere un filo unico…anche il tema dell’individuo mi sembra trattato in modo peculiare e la cifra letteraria alta sembra traslare la trivialità del quotidiano.

Questo libro ovviamente, si genera da caratteristiche mie ben sedimentate, quali un certo gusto per l’osservazione, un’attenzione ai dettagli, una certa indole pigra, solo apparentemente svagata. Io sono un lettore appassionato e onnivoro da sempre, quindi faccio parte anche di una generazione tra le ultime ad avere una formazione complessiva sui grandi classici della letteratura occidentale e se ne intravedono parecchi qui. Poi scrivo compulsivamente da anni. Ho quaderni pieni di annotazioni diaristiche, di lavoro e come sai, soffro d’insonnia. Poi certo, anche l’epopea Covid ha contato e alla fine non poteva che venire alla luce un libro. Io classifico i miei personaggi, come sociopatici, come vedi la Società agisce come parte ombra, è presente in qualche modo perché commisuriamo ad essa il nostro standard di adattamento di adeguamento, ma il fatto che poi cerchino diciamo comprensione, ci segnala anche che non si vogliono assolutamente porre fuori dal consesso umano. Non sono asceti o anacoreti o criminali fuori da qualsiasi moralità.

Sì, ma mi ha colpito il fatto che racconti brevi tutto sommato imperniati su varianti di forme ossessive, sul monologo interiore, sull’osservazione di cose anche inanimate, rifuggano per misura stilistica dal dilagante minimalismo fatto di trivialità, di slang, di adesione o meglio resa incondizionata all’iperrealismo delle situazioni. In larga maggioranza le tue narrazioni hanno una sorta di autorevolezza d’assoluto che da tempo non si vedeva. Anche se c’è il racconto con le vivaci commesse palermitane e quello di ambientazione romana, in stragrande maggioranza i racconti, forse perché poi c’è questo io minore tra le orecchie che fa da trait d’union, sembrano vagamente atemporali e anche fuori dalla cartolina, come sfocati geograficamente. E la coloritura stilistica è alta. Non viene subito in primissimo piano neppure l’appartenenza a questa o quella classe. Anche se ovviamente è sempre intuibile. Certe volte si ha la stessa impressione che si ha nei sogni, o quando si fantastica ad occhi aperti… tutto è plausibile, apparentemente precisamente connotato e conseguente, ma difficilmente collocabile.

Quello che osservi deriva dal fatto che non mi interessava fare sociologia, che si può ben fare con altri mezzi e strumenti, ma si dà come orizzonte scontato la nostra contemporaneità e l’essere iscritti in questa prevedibile medietas. Ma al di là di tutto, quello che mi interessava era accendere uno spot come nell’Archivista, per esempio, su quei momenti in cui la vita ti mette in scacco o agli angoli: o rispetto a ciò che presumevi di essere o rispetto a ciò cui aspiravi.

La debolezza, la vulnerabilità, non come assunti categoriali o come sempre spiegabili o emendabili con pratiche diverse. Noi oggi affermiamo e anche giustamente in mille modi i paradigmi di cura, ma non possiamo pensare di assumere un controllo totale su tic, pulsioni, piccole manie o passioni, anche quando ci fanno star male, sono controproducenti, semplicemente perché sono risposte quasi biologiche all’imprevisto, alla messa in mora del nostro vorace desiderio. Pensiamo al personaggio che un po’ come nei film di Truffaut ama le Donne, tutte le Donne. Anch’io mi riconosco in questo incanto per e del femminile….

Ma infatti è un po’ come se tu mettessi in crisi il delirio di onnipotenza, perché il tuo è ancora un mondo, mi pare, senza algoritmi, in cui siamo ancora comunque artigiani della nostra infelicità. Ci auto-sabotiamo, ma anche il Caso, l’Assurdo, hanno vita propria fuori di noi e ci mettono alle corde. Non tutto è sempre possibile da comprendere e direzionare. A me vengono in mente gli autori, i maestri russi, per questo tragico anche beffardo.

Sì, ho amato molto Bulgakov per la dimensione onirica che gli consente il colpo d’ala sulla realtà opprimente, Gogol, naturalmente per il grottesco, Oblomov per esempio è sempre un po’ la veste della mia voce interiore, ma poi naturalmente ci sono tanti spunti dai raccontatori inglesi, dal teatro dell’Assurdo, in cui si gioca una partita con la morte, persino da Pirandello che io rivaluto per il suo discorso profondo sull’identità sempre in bilico tra soggettività e percezione sociale …Noi prima di essere Mammut, se ricordi facevamo anche teatro. Infine, bisogna anche tornare, dal cinema che dicevamo, agli autori francesi. Queneau, in particolare, con le sue combinazioni casuali ma anche no, mi ha sempre affascinato moltissimo. E penso che quella sorta di punto di vista assoluto cui ti riferisci, sia il fatto di stare su qualcosa, chiamiamolo punto di caduta, che sfugge alla logica eroica, negli amori, nel rapporto con il denaro, il potere, la natura, ma anche alla retorica dell’antieroe.

Si fa piacevolmente una certa, ogni volta che si conversa con Michele Mellara, uno spirito inquieto e travolgente che sa autodisciplinarsi, ma la logica della Bolo for food and beverage, ci impone di sloggiare, per lasciare il posto agli stuzzichini sfiziosi. A questo punto, mi rendo conto che il discorso di Michele, fuor di metafora e soprattutto fuori da ogni slogan, è semplicemente quello di recuperare il nostro particolare Umanesimo. Non esistono, in realtà tipi strambi, cui rivolgere una divertita benevola attenzione, esiste l’umanità che non ha ancora imparato a convivere con l’idea del fallimento e della morte. Attenzione, aggiungo io, ad un certo titanismo anche da sinistra, perché ci porterà solo ad una nuova logica di scarti ed esclusioni. In fondo, il bello della lezione dei classici, credo sia proprio il fatto, pur nella tragedia che essi dipingono costante dalla notte dei tempi, che non si esce tuttavia disperati dalla loro lettura. Oggi va molto di moda parlare di empatia, ma credo talvolta, al di là delle nobili intenzioni, sia cosa fuorviante. Perché presuppone implicitamente immedesimazione, mettersi al posto di. Beh, in questo caso, si tratta di tornare a considerare l’antica virtù della Pietas, la più nobile di tutte, proprio perché socialmente oggettivata e non relegata ad un moto di compatimento soggettivo. Credo su questo, per recuperare forme nuove laiche e condivise di sacralità antiretorica si debba ragionare e buon per noi se abbiamo occasioni di stimolo in questo senso.

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