Fiocchi rossi, quando partire è un po’ rinascere. 

di Silvia Napoli /
26 Marzo 2024 /

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C’è una premessa da fare quando a qualunque livello e in qualunque campo, stiamo ragionando di esordienti: ovvero che, comunque vada e a qualunque generazione si appartenga, la freschezza, la commozione e il gusto acerbo del principio, della prova, della sfida sono un di più stimolante, a compenso di altre doti, qualità, competenze e consistenze da affinare, testare, coltivare.  

Ci sarebbero poi tante altre premesse da fare, quando precisiamo di essere in Italia, un paese ostile intrinsecamente ai giovani, sospettoso e sul chi va là, per essere eufemistici, con la presa di parola femminile. 

Alle giovani donne viene sempre imputato di tutto e si è sempre troppo o troppo poco rispetto a qualunque canone comparativo e a qualunque aspettativa. Specialmente nel caso di un porsi come liminari tra generi culturali e di non potersi descrivere dentro una opzione identitaria così socialmente riconoscibile. 

Ma facciamo qualche passo indietro e a latere ancora, ricordando come da tempo si lanciano alti lai nei confronti della crisi del romanzo mondo, si disquisisce sull’estenuazione autobiografico-minimalista delle prove letterarie giovanili, sulla dimensione piccola che proporrebbero, (del resto non sono gig e piccoli piccoli i lavoretti che la società degli adulti, propone loro? ), si giudicano sballati, tossici, virtuali, i loro universi relazionali, qualsiasi tentativo comunitario viene tacciato di essere baby gang, ma di fatto i boomers gareggiano in dipendenza dai social, dai siti di dating dalle serie Netflix, dagli aiutini farmacologici prestazionali con figli e nipoti. Aggiungendo al tutto una cronica mancanza di tempo e tatto, una inettitudine all’ascolto e un neanche tanto larvato desiderio di evasione e fuga dalle responsabilità, senza mai mollare l’osso, però, qualunque esso sia.  

Se dai tempi di ”Tutti giù per terra” di Culicchia niente pare sotto il cielo minimamente muoversi se non per peggiorare, non potrà esser colpa soltanto di inadattabilità alla vita produttiva e alla maturità biopolitica tanto freudianamente auspicata, da parte di schiere di ragazzi capricciosi, imbelli e sdraiati, forse quasi incastrati nel metaforico divano alla stregua di replicanti della Winnie beckettiana.  

Procedendo a spanne di senso comune nel ragionamento, abbiamo dunque i ritirati e i giramondo, i cervelli in fuga, i migranti della conoscenza, gli expat, più o meno esiliati da contesti sociali sempre più asfittici e inospitali, quasi rifugiati senza dichiararlo forse un po’ da se stessi e dalle contraddittorie pressioni sociali. 

Dentro questo complesso contesto peraltro dirimente fino a un certo punto rispetto alle motivazioni di fondo dell’autrice, va letta dunque questa agile, essenziale prova libraria di Ginevra Barducci, bolognese doc, classe 1993, una laurea in Lingue e Culture e Mercati dell’Asia, per i tipi di Augh edizioni, che segna a sua volta l’inaugurarsi di una collana denominata Malila. Apprendiamo essere una poetica espressione delle lingue indigene d’America per indicare il viaggio controcorrente dei salmoni a scopo riproduttivo e di sopravvivenza e sta quindi forse ad indicarci i mille perché di questi viaggi di viandanti come direbbero i CCCP, dei nostri tempi.  

Ed un prodotto ibrido, come la carriera acquatica tra dolce e salato dei salmoni è anche il volumetto suddiviso in dieci capitoli tranche de vie, collettanea di esperienze, maturate, è il caso di dirlo, lungo l’arco di diversi periodi di permanenza in Cina, almeno sette e variamente dislocati da nord a sud del paese che vedono il nostro io narrante intuitivamente prima studentessa eppoi anche lavoratrice in questo immenso territorio trasformatosi a velocità supersonica da impero a paese colonizzato e occupato per poi, con grande balzo rivoluzionario, porsi come nuovo faro della liberazione e del comunismo realizzato, poi dell’agitazione permanente, poi ancora dell’arricchimento glorioso fino a divenire fabbrica del mondo, principale imputato insieme agli Stati Uniti sul banco d’accusa dell’inquinamento globale, repressore esemplare delle proteste giovanili, fino ad un oggi particolarmente ambiguo tra salti di specie o fughe di laboratorio perniciose all’umanità intera, presunti ritorni ad un maoismo in versione però techno e particolarmente centralizzata, tentazioni egemoniche più che evidenti sul comparto est del pianeta, forme di calcolata autarchia all’uopo di evitare fastidiose dipendenze da paesi non propriamente amici. In bilico tra funzioni di stabilizzazione e il loro esatto contrario come in una complessa circolarità tra yin e yang.  

Tuttavia, non sono questi elementi che oggi compongono il nostro ansiogeno, ammirato e contraddittorio immaginario libro inchiesta su un paese tra i protagonisti assoluti del nuovo multipolarismo geopolitico in scena, a costituire la voce intima delle narrazioni da parte della nostra eroina Ginevra, strappata in qualche modo e per fortuna dalle routinarie balotte bolognesi e dal kindergarten autocontemplativo dei vent’anni grazie a queste ripetute e variegate storie di incontri . Ci si conosce sempre attraverso una differenza e la protagonista accetta con una open mind del tutto extra ideologica e non programmata, nello stesso tempo a suo modo disincantata di farsi investire da tutte le diversità e bizzarrie di costume in cui si imbatte mettendo anche se stessa in quanto giovane donna tutta sola alla prova di uno sradicamento temporaneo alquanto benefico . almeno per dare un taglio alla parte bambina di se stessa, che viene infatti evocata con piccoli tratti acquerellati in una sorta di simbolico lungo addio. In qualche modo il multipolarismo, le tracce sbiadite di antiche culture fossili come l’impronta di conchiglia trilobite incongruamente sotto un portico oggi griffatissimo e gourmand, sono tutte cose che ci portiamo dentro e fanno di noi ciò che siamo nell’oggi, con tutti i nostri limiti e pregiudizi certo, ma anche gli strumenti che abbiamo a disposizione per combatterli. 

Questo libro nasce indirettamente ed anzi in fondo è strano che non vi siano molteplici tentativi similari soprattutto da parte femminile da un milieu generazionale di ragazzi cresciuti già con l’orizzonte mentale di quello che una volta era il viaggio di formazione, poi trasformatosi in viaggio quasi di scoperta e avventura alternativa all’organizzazione vacanziera, poi ancora oggi migrazione soft, se non di lusso, in fuga da una esasperante nostrana precarietà economica e sociale, per approdare ad una precarietà emotiva e sentimentale che si sviluppa per tappe e rincorse, permanenze e ritorni, stop and go esistenziali e provvidenziali sospensioni del giudizio che noi adulti giudichiamo una presa tiepida sulla realtà, uno stare a guardare senza partecipare fino in fondo, presi come siamo a cercare di ribadirci in un mondo che comprendiamo poco.  

In principio furono gli Erasmus europei e gli appartamenti barcellonesi, poi complice una infatuazione per la suggestione della via della seta, o forse lungimiranza diplomatico economica in vista di un inevitabile multipolarità la cui trazione pareva logicamente pervenire dal colosso Cina, l’apertura all’altrove vero, lo studio sempre più diffuso di corsi di lingua particolari, anche arabo per esempio, fino alla diffusione di corsi di lingua mandarina non solo nei principali atenei, ma anche in certi licei sperimentali e l’apertura degli istituti Confucio, nati a Bologna, non vere e proprie case di Cultura, ma centri di scambio e di supporto tra studenti in regime di reciprocità. Istituti Confucio che fanno parte del bagaglio di vita ed esperienze di tante ragazze come la giovane autrice e che in effetti potrebbero assumere maggiormente una guidance di stampo culturale e favorire la produzione stessa di opere di viaggio, o quantomeno promuoverla, favorirne la conservazione, l’archiviazione. Potrebbe essere un’idea quella di istituire una sorta di collana di guide particolari, composte dagli studenti stessi, manuali di self help per le situazioni difficili che possono verificarsi come ad esempio la scadenza del visto di soggiorno, risolta nel caso di Fiocchi Rossi con l’avventurismo e la nonchalance degne di una Rossella O’Hara delle nostre parti e dei nostri giorni.. In ogni caso sarebbe bello che il Confucio, oltre che ad occuparsi maggiormente di arte e letteratura in scambio, sollecitasse eppoi archiviasse opere ispirate a questi soggiorni di studio e lavoro spesso anche protratti, in modo da comporre anche il pattern di una relazione emotiva complessa e densa di sfumature nei confronti di un Grande paese risorto molte volte dalle sue ceneri, che inevitabilmente ci rispecchia essendo stato il cuore di un Impero come noi, del resto, pur in una grande gamma di ovvie differenze.  

Da dove partire alla ricerca di queste diversità che sono molteplici geograficamente, etnicamente, culinariamente anche all’interno della Cina stessa è ben spiegato da Barducci: ovvero dalla lingua stessa, certamente ostacolo insormontabile per tanti di noi alla comprensione vera del mondo asiatico 

La nostra protagonista è letteralmente affascinata non soltanto dalla ricchezza e poeticità di immagini che sappiamo condire da sempre anche i più noioso verbali delle riunioni di Comitato centrale sin dai tempi di Mao, non solo dall’eleganza del calligrafismo cinese, che queste sono le cose che colpiscono anche i meno avvertiti in merito, ma proprio da ciò che ad un orecchio comune risulta più ostico, ovvero il suono, che è come impariamo da Fiocchi rossi, una componente fondamentale di un universo semantico ricchissimo.  

Non voglio, come usa dire, spoilerare troppo su questa che, complice la sapida descrizione delle omofonie, è una delle componenti più spassose del libro, anche indicativa del fatto fondamentale che comprendere i meccanismi costitutivi di un linguaggio, significa automaticamente entrare in un mondo di antropologie del quotidiano, da cui difficilmente prescindere :in loco, per ragioni di adattamento e sopravvivenza, in seguito perché è difficile poi distaccarsi emotivamente nel proprio immaginario personale, una volta tornati alla base: se esiste un mal d’Africa, principalmente causato, io credo, dalla grande ctonia energia eruttiva che quel continente sempre giovane in quanto il primigenio promana, ne esiste altrettanto uno legato all’Oriente e al suo aspetto cosi stratificato di culture, e cronologie tutte conviventi parallelamente nella contemporaneità. Sono diversi gli episodi nel testo a ricordarcelo e sono anche quelli dove comprendiamo che questa cortocircuitazione, è funzionale per l’autrice, non sappiamo quanto consapevolmente, per liberarsi di qualunque sospetto di eccessivo egotismo e fare anche metaforici conti con un contesto familiare prevedibilmente progressista, indulgente e pasticcione, appena intravisto in controluce. 

Qui gli occhi sono ben sgranati nel piacere dell’essere sorpresi, le pagine scorrono sulla falsariga di una certa qual disposizione di implicita non premeditata postura di accettazione se non proprio di obbedienza alle leggi non scritte dell’imprevisto.  

Grazie al fatto apparentemente un poco ossimorico di esserci completamente con il proprio bagaglio biografico eppure di tralasciare volutamente informazioni troppo puntuali sul come e perché dei propri vagabondaggi, sulle proprie motivazioni di studentessa, le proprie aspettative, le proprie aspirazioni, il classico da dove vengo e dove invece voglio andare, il libro risulta, pur dentro il contenitore di piccole storie che fanno pendolarismo tra continenti, un corpo a corpo sentimentale ed emozionale di un’autrice probabilmente già caricata dal contesto patrio di malinconie nonostante la giovane età, con un paese che sommessamente fa i conti ogni giorno con la durezza delle sue scelte. Scelte certo necessarie per arrivare al relativo medio ben essere di tutti, pur tuttavia non prive di conseguenze discutibili poi nella casistica individuale. 

E se è individuale il viaggio della ragazza luminosa, cane sciolto esistenziale in giro per il mondo, individuali sono gli approcci della stessa ragazza, con vari personaggi, sorta di controfigure di una trama progettuale che anche dentro una apparente indeterminatezza, invece c’è da qualche parte ed ha una sua saggezza interiore. Come del resto ciascuna delle nostre vite. la Cina in questo libro pur nella vastità e alterità persino intimidente che talvolta viene evocata nel libro, non è dunque vista e percepita dall’alto di un occhiuto drone di sorveglianza o sfogliata orizzontalmente in grandi immagini di massa, come accadeva per esempio nel grande film di inchiesta televisiva di Antonioni, ma affrontata senza intermediazioni, da dentro, quasi nella voglia di conoscere quei famosi milioni e milioni, miliardi di esseri umani uno per uno dentro le loro case, nelle loro strade, nelle loro scuole, nei loro bistrot. O meglio bettole vere e proprie. Perché la terra di mezzo che oggi vuole tornare al Centro e si trova ad affrontare sfide epocali, è enigmatica, rituale, permeata di codici di comportamento vecchi e nuovissimi, filosofica e pratica, profonda e cialtrona allo stesso tempo, antichissima e bambina in un modo sorprendente che difficilmente troviamo nei pomposi trattati nostrani volti a vaticinare principalmente se finiremo divorati dal drago giallo, ma che esplode nel suo caotico quotidiano. Ci sono molti sentimenti contrastanti e non sempre gioiosi nella tavolozza narrativa di Ginevra Barducci, eppure, nonostante tutte le vulnerabilità implicite o dichiarate del suo vissuto e delle situazioni cui va incontro, dei coprotagonisti locali del racconto stesso, mi pare ce ne sia uno che non ha asilo ed è un fatto, se ci pensiamo : la paura, stato d’animo invece con cui combattiamo una logorante guerra di posizione metaforica e non, da queste parti ogni giorno e che lascia moltissime vittime lungo il percorso . La paura che ci rende fragili ed aggressivi e che è fatto individuale e collettivo conclamato, anche nelle relazioni tra stati. La paura sentire paralizzante che sempre muove da non elaborazione del passato e da incapacità di immaginare il futuro: la nostra novella Alice attraverso le specchio misurandosi con distanza fisica e diversità, ma anche con i processi di omologazione globale resi plasticamente evidenti dai cinesi che poi vede nella sua Bologna, si immerge nell’alterità, abbandona la presunzione di giudizio e sente di acquisire consistenza e vitalità da questo approccio, riuscendo a leggere finalmente anche se stessa. Il mix di pianificazione, precetti antichi, caos organizzato, gentilezza formale, avvenirismo tecnologico oggi rende intrigante questo gigante mondiale, molto più polifonico e prismatico anche nelle sue forme espressive di quanto non si creda. Lo dimostra la grande esposizione di arti visive cinesi contemporanee a Palazzo Strozzi dello scorso anno e l’imminente appuntamento con la poesia proletaria al festival della letteratura working class previsto in Campi Bisenzio presso fabbrica GKN  

Forse sarà vero secondo l’adagio manzoniano che il coraggio uno non se lo può dare, ma certamente il confronto aperto con le nostre idee residuali e pregiudiziali ci aiuta ad aumentare la nostra piccola dose morale e intellettuale. Leggendo questi raccontini che stanno in fila come capitoli di un romanzo ancora da farsi, avvertiamo che sono nati da una passione, seppure non proprio di getto. Difatti dobbiamo dirlo che in principio era stata l’idea di un divertente podcast, ancora rintracciabile su Spotify per Storie libere, titolato Nihao, scritto, diretto e interpretato insieme all’attore umoristico Pantani dalla nostra autrice.  

Un prodotto brioso, senza velleità polito-sociologiche di sorta, ma che aveva comunque la fondata ambizione di contribuire all’abbattimento di radicati pregiudizi e luoghi comuni sul popolo cinese e piuttosto di evidenziare tratti possibili di consimilitudine. Il podcast venne presentato persino al Salone del Libro di Torino e fu un esempio da portare ad una lezione di Scuola Holden e tuttavia, come spesso succede da noi, queste circostanze accompagnarono invece la chiusura di quella avventura.  

Oggi, dopo la pandemia e in un clima di tensioni ed emergenze belliche, energetiche, economiche ambientali, in un clima di chiusura e diffidenza che torna a permearci tutti, tornare in Cina è diventato molto difficile per tante e tante ragioni e comunque sicuramente molto oneroso economicamente e più complesso burocraticamente. I cinesi stessi, mi confidava in una delle sue ultime conversazioni la compianta Flavia Franzoni, che indirettamente un po’ se ne intendeva per i noti motivi di stretta parentela con uno dei maggiori fautori della tessitura economica e formativa con la Cina, ormai sanno che son loro casomai a doverci insegnare qualcosa.- E, forse, aggiungo io, è un po’ al tramonto il momento di quella zingaresca bohème alcolista di expat “English teacher” così ben descritta da Gabriele Battaglia nei suoi reportage. 

Ad oggi sono rimasti ben pochi inviati speciali, osservatori e soprattutto antenne curiose su territorio cinese, almeno da parte italiana, il mondo preferisce farsi guardare dal buco della serratura, in questa fase storica, almeno. Sentiamo tutto il peso di transizioni epocali che ci illudiamo un po’ ovunque di governare con la potenza dei dispositivi tecnologici e militari che poi storicamente sono stati spesso coincidenti, abbiamo dimenticato tante cose e linee politiche recenti, per tornare a ragionamenti sull’amico del mio nemico. 

Ecco io credo sarebbe ben triste e fallimentare in un qualche prossimo distopico futuro dover rinunciare alla freschezza e alla testardaggine di giovani donne che vogliono esplorare, per citare un recente noto lavoro cinematografico, ripensarci tutti dietro muri e muraglie e riattivare meccanismi di difesa culturale ad oltranza. Promuoviamo invece momenti di scambio ad ogni livello, perché è sempre possibile che da Tien Amen, passando per Hong Kong, fino a tutti i momenti di lotta, repressione fallimento, inciampo, che conosciamo sia di la, che da noi, mai così gravi come ora, poi cento fiori tornino a fiorire, almeno se lasceremo spazio al racconto dei giovani, questi ragazzi che comunque nelle loro peregrinazioni si sono collocati oltre il turismo e a cui casomai dovrebbero essere offerte occasioni e facilitazioni per approfondire e continuare a fare la loro tessitura culturale dal basso. Intanto se vorrete familiarizzarvi con Ken, Llily e le altre figure da questo album di schizzi cinesi, ricordiamo la presentazione di Fiocchi Rossi, cronache di vita cinese alla Libreria Modo Infoshop di via Mascarella, giovedì 28 marzo alle ore 18e30. Discuteranno con Ginevra Barducci, Il professor Valerio Romitelli storico e filosofo del pensiero politico, giusto ai nastri di partenza con un densissimo ciclo seminariale, la giornalista e curatrice Luciana Apicella e si avrà come special guest la pittrice Xia Shafei. 

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