Alla fine le transenne di inizio lavori sono arrivate al parco Don Bosco di Bologna, dove da ottobre un gruppo di docenti, genitori, tecnici e liberi cittadini riunitisi nel comitato Besta, si oppone al progetto di demolizione e ricostruzione dell’omonima scuola media approvato dal Comune.
LE ATTIVISTE E GLI ATTIVISTI, dopo un corteo che ha riunito le realtà bolognesi contro il consumo di suolo, la raccolta di circa 3000 firme e il presidio permanente, lunedì scorso hanno simbolicamente incatenato i loro corpi agli alberi che con i lavori verrebbero abbattuti. Circa 42, in una zona, quella fieristica, in cui il verde è sempre più raro a causa delle numerose opere previste, quali il tram e il vicino Passante di mezzo, con l’allargamento del tratto autostradale e della tangenziale fino a 18 corsie.
«QUEL PARCO È UN POLMONE significativo in una zona fortemente interessata dai lavori e dal consumo di suolo e crediamo sia difficile monitorare la piantumazione dei 126 alberi che l’amministrazione assicura di voler compiere qui e in altre aree, ecco perché per noi un tema forte è anche quello della partecipazione» afferma Roberto Panzacchi, ex presidente del consiglio di istituto. Il parco Don Bosco è stato creato circa 20 anni fa dagli alunni stessi e dall’associazione Fani Green, che ha apposto cartelli esplicativi sulle piante di alto fusto che lo compongono e i cui benefici ecosistemici non potrebbero essere assolti dai piccoli alberi con cui saranno sostituiti se non dopo molti anni.
MA IL DANNO NON SAREBBE SOLO ambientale: il valore della scuola «Fabio Besta» che si vorrebbe abbattere infatti è anche nella sua stessa struttura. Ideato nell’ambito dell’accurato Piano di Edilizia Scolastica del 1968, l’edificio, ultimo di 6 ad assere costruito secondo le stesse caratteristiche nel Comune di Bologna, rispondeva alla spinta di rinnovamento della scuola, che vedeva fra le altre cose la recente introduzione della media come obbligatoria. Il piano, che riguardava tutta la Provincia, prese impulso dai Febbrai pedagogici, in cui pedagogisti e architetti lavoravano insieme alla progettazione degli edifici scolastici, con un occhio alle esperienze di avanguardia delle scuole del Nord Europa. Il risultato furono strutture versatili, in cui gli spazi dovevano essere mobili per rispondere alle diverse esigenze di chi li frequentava, con 40 mq per alunno, la lontananza dall’inquinamento da traffico e aree esterne ampie che potessero accogliere attività di gruppo e interclasse. Caratteristiche ribadite oggi dalle linee guida del Miur e del Pnrr, e avallate dalla ricerca promossa dallo School Education Gateway della Commissione Europea dal nome L’aula si è rotta: un libro su come cambia l’edilizia scolastica in Europa e nel mondo. «Quando sono arrivata qui, 16 anni fa, ho capito che questa era una vera scuola» ricorda Cosima Spinelli, insegnante: «Osservando il progetto della nuova struttura mi è saltato subito all’occhio che non ha una distribuzione degli spazi utile per fare una didattica avanzata» continua, elencando le caratteristiche dell’edificio attuale. Come la presenza dell’atelier, uno spazio attiguo all’aula ma separabile da pareti mobili, che permette di fare attività parallele, come quelle di sostegno, potenziamento o di gruppo, avendo la possibilità di monitorarle senza l’aggiunta di un ulteriore insegnante. O il grande giardino su cui ogni aula ha un ingresso, permettendo la didattica outdoor e lo scambio con le altre sezioni. Oltre che per il consumo di suolo, la particolare forma a quadrifoglio proposta per il nuovo edificio non ha convinto il comitato per le classi di 52 mq contro i 72 che ora compongono aula e antiaula, la frammentazione del giardino in aree piccole e non interconnesse, la mancanza di spazi versatili e dell’accesso diretto al parco delle sezioni al piano superiore.
ALLA MOTIVAZIONE DELL’ABBATTIMENTO dell’edificio, secondo cui non sarebbe adeguato dal punto di vista energetico e sismico, il gruppo ha risposto portando l’esempio della gemella scuola Guercino, in cui sono in corso lavori di efficientamento energetico e riqualificazione dell’involucro, con un’azione in due tempi per permettere alla scuola di continuare a funzionare e un costo complessivo di 3.229.763 euro a fronte dei 16.800.000 previsti per la costruzione del nuovo edificio.
ASCOLTANDO LE PAROLE di Fioretta Gualdi, architetta progettista della scuola Besta, le carenze del progetto divengono fortemente simboliche di quel modello di istruzione innovatore di cui l’Emilia Romagna si era fatta portatrice e che oggi sembra lasciare il passo alla dura concretezza di necessità che chi protesta vede più sviluppiste che finanziarie: «C’era una visione dietro la progettazione, una proiezione verso la scuola futura» afferma ricordando il fermento creativo di allora. L’architetta ha ribadito la possibilità di una ristrutturazione dell’edificio, già pensato in termini di risparmio energetico e che oggi potrebbe rivivere con migliorie a livello di coibentazione e dal punto di vista sismico. Il comitato ha anche proposto la creazione di una comunità energetica apponendo sul tetto dei pannelli solari.
«CHIEDIAMO AL COMUNE DI SOSPENDERE i lavori, e di trovare una soluzione confrontandosi con i cittadini e col mondo accademico, che chiede di ripensare questo progetto» ha dichiarato, incatenato, Gianni de Giuli, parlando a nome del gruppo e alludendo alla lunga lista di membri della comunità scientifica che pochi giorni fa hanno sottoscritto l’appello a tutela di parco e scuola. Alla fine della mattinata, terminata con l’abbattimento delle recinzioni con altri attivisti accorsi sul luogo e un breve momento di tensione con gli agenti della polizia locale che cercavano di impedirlo, il comitato ha fatto sapere che proverà a resistere, «con ricorsi, analisi tecniche e disobbedienza civile», non solo in difesa delle scuole Fabio Besta e del parco Don Bosco in cui sorgono, ma anche della visione che portano in sé.
Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 1 febbraio 2024