Contraddizioni fra grandezze e cadute. Sul nuovo film di Giovanni Piperno

di Vincenzo Vita /
3 Dicembre 2023 /

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Il film presentato ieri al Tff diretto da Giovanni Piperno su e con Luciana Castellina ha un valore particolare. 16 millimetri alla rivoluzione è un’opera semplice e insieme raffinata costruita sul dialogo tra l’autore e una personalità creativamente rappresentativa della storia del comunismo italiano. Tuttavia, proprio Luciana Castellina interpreta le contraddizioni di un percorso pieno di grandezze e di cadute: la radiazione del gruppo de il manifesto ne è una dimostrazione. Il non essere una versione dal sapore propagandistico del recente centenario della nascita del partito dà forza ad una vicenda che oggi in tante e tanti – militanti o avversari che siano stati – rimpiangono. Perché da lì è passata la storia italiana, ivi compresa l’alleanza tra certi popolari e borghesia illuminata che oggi appare un miraggio.

Eppure, quella magia si è realizzata davvero. Il film, in fondo, ci lancia questo messaggio: non è detto che qualcosa di simile non possa accadere di nuovo. Naturalmente, con apparati teorici e soggetti sociali solo parzialmente imparentati con le vulgate dell’epoca. Il racconto consegnato alla rassegna torinese, è un materiale utilissimo per riannodare le fila della memoria per le generazioni adulte o anziane, e per introdurre il dubbio tra giovani e giovanissimi che la politica con qualche ideale può essere bellissima.

PIPERNO E CASTELLINA dialogano dentro simile immaginario, utilizzando molti contributi di repertorio e testimonianze vivissime.Era un partito di popolo e tuttavia non populista, legato ai sacrali testi marxiani ma capace di aggiornarsi e di dare voce a culture diverse. E non per caso il segretario eletto dopo la morte di Berlinguer – Alessandro Natta – chiese scusa per ciò che era successo nel ‘69 quando il Pdup alla fine del 1984 rientrò nel Pci. In fondo, come ricorda spesso Luciana Castellina, il partito fu per lunghi tratti l’Italia, secondo. Lo osservò stupito Jean-Paul Sartre che con lei, Lucio Magri e Rossana Rossanda ebbe un rapporto intenso. Il genere scelto dalle sapienti mani della regia e dei suoi validissimi collaboratori (il montaggio di Paolo Petrucci è uno dei segreti della felice miscela tra ricordi e relazioni con l’attualità) assomiglia alla cosiddetta autofiction, ma se ne distacca per il chiaro desiderio di parlarci della crisi di oggi. In fondo, i millimetri che ci mancano alla rivoluzione non sono poi così numerosi. E sì, visto che la rivoluzione non sarà magari proletaria o tinta di rosso, ma certamente necessaria, vista l’esplosione di guerre e la clamorosa ecatombe ambientale. A ciò va aggiunta la rivoluzione fredda degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale. Il film raccoglie il meglio della fertile tradizione della commedia all’italiana.

RIUNIONI, discussioni durissime come quelle della svolta del 1989, con la chiusura di un lungo ciclo e le successive scissioni con il cambio dell’ arredamento fotografico delle sezioni. Insomma, si fa capire con ruvida leggerezza che una vita intensa di una grande compagna porta con sé significativa parte della nostra storia. Nel film ci sono svariate chicche per il pubblico e pure per i cinefili: come la sequenza straordinaria di una giovane Castellina – giornalista allora di Paese Sera – ad una tribuna politica del 1964. Unica donna in un contesto maschile, con voce gentile ma ferma di lottatrice instancabile, metteva in luce la contraddizione di genere, quando il movimento femminista era agli albori. 16 millimetri alla rivoluzione è stato prodotto dall’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, presente in sala con Luca Ricciardi (direttamente implicato nella fattura), Aurora Palandrani e Paola Scarnati. Il finale rievoca in un passaggio memorabile il fondatore dell’Archivio Cesare Zavattini. Ma è bene non spoilerare un colpo di genio che provoca la liberatoria ovazione finale.

Questo articolo è stato pubblicato su il manifesto il 1 dicembre 2023

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