Il boom del gioco d’azzardo. Lo stato “biscazziere” e il controllo delle mafie

di Isaia Sales /
4 Ottobre 2023 /

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Il gioco d’azzardo in Italia ha raggiunto la cifra di 136 miliardi di euro nel 2022. Parlo del circuito legale autorizzato dallo Stato, che incassa da questa attività 11,2 miliardi l’anno, una quota significativa delle sue complessive entrate fiscali. Senza queste risorse il bilancio dello Stato italiano andrebbe in ulteriore sofferenza. Negli ultimi tempi si scommette più online che nei luoghi fisici abitualmente destinati allo scopo. Per questo canale passano ormai 67,2 miliardi di euro, cioè il 60% della raccolta complessiva, con un incremento del 36% rispetto all’anno precedente. La pandemia ha modificato le abitudini nel gioco, consegnando all’online un primato che verosimilmente si manterrà anche negli anni prossimi. E ciò dovrebbe preoccupare le autorità pubbliche perché è proprio nelle scommesse online (e nella distribuzione delle slot machine) che si concentra la presenza nel settore della criminalità mafiosa.

Il mercato italiano dei giochi d’azzardo è, dunque, in grande espansione, collocandosi alle spalle solo di Usa, Cina e Giappone. Da quando lo Stato ha liberalizzato le scommesse, con il consenso dell’intera classe dirigente del paese, c’è stato un aumento esponenziale della domanda, senza confronto alcuno con i dati riscontrabili negli anni precedenti. Nel 2019 in Italia i soldi giocati erano pari al 6% del Pil nazionale e al 5% dell’intero mercato mondiale. L’azzardo rappresenta, insomma, una parte rilevante della nostra economia e una quota consistente delle nostre entrate fiscali. In questo periodo si è ridotta enormemente la stigmatizzazione per i giocatori d’azzardo che da sempre li ha accompagnati nel corso della storia.

Il passaggio dallo Stato proibitore allo Stato “biscazziere” che guadagna sui “vizi” dei propri cittadini è al centro di una interessantissima ricerca svolta con rigore scientifico e passione civile da Rocco Sciarrone assieme a Federico Esposito e Lorenzo Picarella, in uscita in questi giorni per l’editore Donzelli, con il significativo titolo Il gioco d’azzardo, lo Stato e le mafie. Gli autori non sostengono affatto una tesi proibizionistica, né tantomeno sostengono che lo Stato possa e debba rinunciare a delle entrate così cospicue, ma pongono alcune domande che nel dibattito politico e culturale sull’argomento non dovrebbero essere taciute. Innanzitutto, queste:

  1. È vero o no che il passaggio da ciò che un tempo era vietato e illegale a ciò che oggi è permesso e legale ha prodotto l’effetto di eliminare dal settore la presenza della malavita organizzata, in particolare di quella mafiosa? La liberalizzazione, la legalizzazione e, di conseguenza, l’allargamento a dismisura del gioco d’azzardo, hanno eliminato il ricorso al circuito clandestino di questi giochi, che le mafie monopolizzavano proprio perché vietati?
  2. Nel rapporto costi e benefici, qual è la quota di risorse che lo Stato spende per curare le patologie sempre più allarmanti che si sono prodotte? La ludopatia, fenomeno in grande crescita dagli anni Novanta in poi, è un costo sociale accettabile, assieme alla rovina di intere famiglie e all’aumento del ricorso all’usura dei giocatori patologici? Si possono assumere seri provvedimenti in questo campo, riducendo il numero dei locali e delle attività consentite, collocandoli a distanza dai luoghi dove si educano e si curano le persone, come da tempo meritevolmente propone un’associazione dei Comuni come Avviso Pubblico?
  3. Il regime attuale di concessioni e di autorizzazioni può essere rivisto per evitare che si creino dei monopoli autorizzativi e si infiltrino in queste maglie larghe società dietro le quali ci sono mafiosi?
  4. Infine, la domanda più essenziale, anche se posta indirettamente dagli autori: se è vero che “il gioco legale è l’antidoto più forte al gioco illegale gestito dalla criminalità”, perché mai non si applica lo stesso modello al consumo di droghe? Come mai le forze politiche e imprenditoriali che sono liberiste sul gioco d’azzardo sono invece proibizioniste sulle droghe? Perché due pesi e due misure?

Intanto, gli autori dimostrano che non è affatto vero che i mafiosi sono stati espulsi dal mercato legale del gioco d’azzardo. Certo, si è ridotto di molto il loro peso attorno al lotto e alle scommesse clandestine, ma lo studio meticoloso di 30 indagini della magistratura certifica che la presenza di cosa nostra, ‘ndrangheta, camorra e sacra corona unita si è in parte trasferita nel campo legale grazie alle norme opache in materia e alla complicità di diversi operatori non criminali. Ancora una volta si riscontra una vulnerabilità agli interessi mafiosi in particolari settori economici favorita dalle grandi risorse finanziarie da riciclare e dal consolidarsi di una vasta zona ibrida tra legale e criminale di cui Rocco Sciarrone è uno dei massimi studiosi.

Questo articolo è stato pubblicato su Repubblica il 28 settembre 2023

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