L’autoritarismo e il bellicismo della destra si battono solo con il loro contrario

di Loris Campetti /
8 Giugno 2023 /

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Citando Shakespeare, Marco Revelli ci ricorda saggiamente che «è la piaga dei tempi, quando i pazzi guidano i ciechi» (https://volerelaluna.it/commenti/2023/05/31/questa-destra-di-guerra/). A me viene in mente un’altra citazione: «Ci sono stagioni in cui la tendenza alla guerra prevale sulla tendenza alla rivoluzione». Mai come oggi il vecchio adagio orientale si attaglia allo stato delle cose esistente, e mai come oggi a guidare la controrivoluzione autoritaria e bellicista sono le destre. In Europa, innanzitutto, dalla Grecia alla Spagna all’Italia, e ai suoi confini, in Turchia. Il vecchio modello sociale europeo traballa paurosamente, a partire dai paesi scandinavi, il welfare di keynesiana memoria è più probabile rintracciarlo nei libri di storia che nelle politiche statali persino nei paesi, sempre meno, governati dal centrosinistra dove però il neoliberismo ha messo solide radici. D’altro canto, la crisi delle socialdemocrazie non apre certo le porte alle forze di sinistra-sinistra: Podemos e Syriza battono in testa, la Linke arranca, in Italia ci vuole il rabdomante per trovare le tracce lasciate dai numerosi eredi di quella che fu Rifondazione comunista. E persino dove il centrosinistra fa il suo dovere riscoprendo i bistrattati diritti del lavoro come in Spagna, la destra ultranazionalista è in crescita e minaccia di rovesciare il tavolo del riformismo e della democrazia. Gli Usa, con la vecchia Europa come ruota di scorta, hanno perso la guerra del liberismo con la Cina (grazie anche alla spregiudicatezza del modello postmaoista nello sfruttamento della manodopera) e con la Nato rispolverano la guerra guerreggiata, oggi contro la Russia per esercitarsi a quella prossima contro la Cina. Nella crisi economica globale che accentua le diseguaglianze sociali, l’industria che invece tira è quella bellica.

In Italia Giorgia Meloni vive la sua luna di miele grazie alle divisioni delle opposizioni, al continuo crollo della percentuale di votanti e all’assenza di qualsivoglia progetto alternativo. Pd e M5S si contendono i voti in calo tra minacce di Aventino e compromessi con le destre; nel sedicente terzo polo Renzi e Calenda se le danno di santa ragione poi votano con la maggioranza; Sinistra Italiana, Verdi, Prc e Potere al Popolo sono ininfluenti. Le opposizioni hanno smarrito ormai da tempo le tematiche del lavoro, i sindacati sono divisi grazie alle scelte governiste (quasi meloniane) della Cisl, i lavoratori che pagano i prezzi della crisi e delle politiche classiste sono soli, senza sponde e rappresentanza politica e, almeno per ora, il rancore prevale sulla rabbia. I lavoratori, privati di un progetto collettivo di cambiamento non agiscono come classe e gli interessi privati – l’individualismo proprietario di chi è proprietario di nulla – rischiano di prevalere dentro una spinta alla corporativizzazione e il conflitto da verticale si trasforma in orizzontale (la guerra tra poveri, il penultimo contro l’ultimo). Ciò spiega in gran parte la crescita dell’astensionismo che riguarda soprattutto i ceti più sofferenti e, alla fine, premia la destra. Ricostruire una connessione sentimentale con il mondo del lavoro e con le fasce più fragili della popolazione è una conditio sine qua non per non soccombere passivamente sotto l’incalzare dell’assalto nemico. Perché – per citare un altro adagio orientale – non sempre i lavoratori hanno ragione, ma non c’è ragione rivoluzionaria che non passi attraverso i lavoratori.

Nel Pd, dopo il devastante voto amministrativo gli osanna per l’arrivo del “corpo estraneo” Elly Schlein rischiano di trasformarsi in crucifige, per usare le parole di Tomaso Montanari. Si possono vincere le primarie contro il corpaccione del partito che voleva l’usato sicuro Bonaccini, ma costruire un percorso nuovo presuppone una rifondazione resa impraticabile dai capibastone delle correnti e dall’assenza di un progetto realmente alternativo a quello delle destre. Così la Schlein si barcamena e il Pd si spacca persino su pace e guerra: la neosegretaria dice che bisogna opporsi al piano Ue di prendere dal Pnrr, nato con la pandemia per salvare vite umane, i soldi per le armi sempre più letali da inviare a Kiev, “fino alla vittoria finale” come grida Zelesky. Rovesciando la parola d’ordine del compianto presidente Sandro Pertini: “Riempire gli arsenali, vuotare i granai”. Ebbene, il gruppo parlamentare Pd si è diviso in tre all’Europarlamento, 10 voti favorevoli a spostare i soldi della sanità sui missili, 4 astenuti e uno (1) contrario. Su un solo punto al Nazareno – e al Partito socialista europeo – sono tutti d’accordo: comunque le armi a Zelesky bisogna mandarle, non si può mica uscire dal cerchio magico del pensiero unico. I popolari e l’estrema destra incassano, la guerra non è più parola tabù e aggredisce vite e culture, cambia i linguaggi, condiziona il futuro con il rischio di cancellarlo. La guerra è lo sbocco naturale del liberismo ma non è più, come diceva von Clausevitz e amano ripetere fini strateghi della geopolitica, la continuazione della politica con altri mezzi, è invece la continuazione dell’economia. La politica segue, organizza le retrovie, smantella i controlli e svilisce i Parlamenti sterilizzando la democrazia. Una democrazia, come scrive Revelli, senza popolo.

E intanto la destra meloniana occupa tutte le caselle liberate dal nemico, com’era prevedibile non fa prigionieri, dalla Rai all’Inail (https://volerelaluna.it/controcanto/2023/05/29/la-destra-al-potere-non-facciamo-prigionieri/). Alla Rai il nuovo Dg Rossi fa sapere di voler sostituire il cartone “filoputianiano” Masha e Orso con un cartone animato sul vate fascista d’Italia Gabriele D’Annunzio, quello dell’“epopea” di Fiume. All’Inail (Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro) vogliono mettere Paolo Capone, segretario generale dell’Ugl, erede del sindacato fascista Cisnal, perché la premier non si accontenta neanche della non ostilità della Cisl. Meloni e il suo circo, vincenti per grazia ricevuta, percorrono con più arrogante protervia tutte le strade già aperte dal centrosinistra, dall’attacco ai diritti dei lavoratori alla lottizzazione.

Sono tre, a mio avviso, i punti di resistenza e ripartenza obbligati per ricostruire un pensiero critico alternativo a quello di una destra oggi egemonizzata dai neofascisti: la pace, come scrive Revelli; la democrazia; il lavoro.

Questo articolo è stato pubblicato su Volere la luna il 7 giugno 2023

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