Il lavoro deve essere sicuro #6. L’assicurazione obbligatoria conto gli infortuni e le malattie professionali (parte quarta)

di Maurizio Mazzetti /
12 Febbraio 2023 /

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Nel secondo articolo sull’argomento (QUI),  sommariamente delineato il funzionamento assicurazione obbligatoria gestita dall’INAIL,  tra gli aspetti critici che finalmente trattiamo ora si erano indicati 1. Efficacia, efficienza ed equità dell’assicurazione per le persone assistite; 2. Importo e modalità di calcolo dei premi per i datori di lavoro. Vediamoli ora con qualche maggior dettaglio.

L’efficacia di una assicurazione pubblica (come di qualsiasi altro servizio, e non solo pubblico – e ci sono biblioteche sull’argomento) è concetto scivoloso: lo stesso concetto di efficacia non è univoco, gli indicatori di efficacia possono conseguentemente essere diversi, e non facilmente misurabili, neppure magari indirettamente attraverso quelle che si chiamano proxies, cioè (ne dò una sommaria definizione tra quelle reperibili in rete) “Variabile che viene inserita in un modello economico (v.) qualora non sia possibile quantificare esattamente un’altra variabile fondamentale nel contesto del modello”. Se misuriamo l’efficacia in base all’estensione della assicurazione circa i rischi che copre,  i soggetti che tutela ed il contenuto delle tutele stesse, il giudizio sull’efficacia, tenuto conto della concreta operatività della stessa, che supera anche la lettera delle norme di riferimento ormai datate,  non può che essere tutto sommato positivo, pur con l’esclusione dalla tutela, a parità di rischio, delle partite IVA e di altri lavoratori formalmente autonomi come i riders; e questa è una lacuna, grave,  che può essere superata solo con una modifica normativa, radicale, tale anche da semplificare ed aggiornare il sistema, attraverso un nuovo Testo Unico. Una seconda lacuna, quella della limitata tutela di insegnanti e studenti (ricordo, limitata a “esperienze tecnico scientifiche od esercitazioni pratiche, o che svolgano esercitazioni di lavoro, con relativi effetti sull’infortunio in itinere, e con nessuna tutela a ragazze/i impegnati nei PCTO, ex Alternanza Scuola Lavoro) pare (finalmente) sul punto di essere colmata: oltre all’impegno a rivedere le tutele per i PCTO (un incontro con le parti sociali sul punto si è svolto lo scorso 26 gennaio) , la ministra ha di recente annunciato provvedimenti normativi che estendano la tutela INAIL a tutti gli eventi che accadano all’interno degli edifici scolastici (e, speriamo, universitari), indipendentemente dalle attività svolte, e con i relativi riflessi sugli infortuni in itinere …. Si vedrà; non posso non osservare che ciò accade sotto un governo di destra, forse non solo sulla spinta del clamore mediatico per le morti durante i PCTO, ma anche perché magari la ministra, già Presidente dell’Ordine Nazionale dei Consulenti del Lavoro, e già con posizioni sul Reddito di Cittadinanza non del tutto allineate, una volta tanto è persona che tecnicamente conosce ciò di cui il proprio Ministero si occupa (diversamente da quel che è accaduto ed accade troppo spesso, e ahinoi nei governi di ogni colore …. tecnica, o realtà dei fatti, versus ideologia?). Ma come da frase attribuita a Mao Zedong, non importa il colore dei gatti, basta che prendano i topi. Per quel che riguarda i rischi psicosociali (organizzazione del lavoro, stress lavoro correlato) infine, essi assumono anche una diversa valenza ed estensione vista la tendenziale crescita di tale modalità lavorativa (ma al di sotto del potenziale, almeno in Italia, si veda ad esempio quanto dice l’INAPP https://www.inapp.org/it/inapp-comunica/sala-stampa/comunicati-stampa/26012023-lavoro-inapp-lo-smart-working-non-cresce-piu).  Attività oggi limitate ai servizi, tra non molto verosimilmente anche nelle attività manifatturiere, una volta che la robotica già diffusa sia comandata a distanza, come da recenti sperimentazioni: ma qui, più che una estensione normativa, si tratta di affinare strumenti di valutazione e prevenzione di tali rischi, materie su cui gli studi si stanno approfondendo. Attendiamo, sul punto, a mero titolo di esempio, che la pur meritoria piattaforma (e relativa incorporata metodologia) on line INAIL per la valutazione di tali rischi, già da ultimo contestualizzata ai rischi del settore sanitario, si implementi ulteriormente su questo aspetto, oggettivamente complesso e peraltro inestricabilmente correlato all’organizzazione/dotazione sociale nel suo complesso, e non solo a quella del lavoro.

Sotto il profilo dell’efficienza, il giudizio non può che essere positivo. Il bilancio dell’INAIL (entrate da premi e investimenti) è costantemente in attivo, con ordini di grandezza di centinaia di milioni di euro e oltre. L’attivo stesso in parte è reinvestito o nelle cosiddette riserve tecniche (per lo più immobili, oggi sempre pubblici, in quanto si tratta pur sempre di una assicurazione), in parte “restituito” alla società sotto forma di finanziamenti per progetti di riabilitazione/reinserimento anche lavorativo, o di prevenzione e sicurezza, con bandi più o meno biennali a partire dal 2001 (i curiosi vedano, come esempio, l’ultimo bando ISI, per 333 milioni di euro, al link https://www.inail.it/cs/internet/attivita/prevenzione-e-sicurezza/agevolazioni-e-finanziamenti/incentivi-alle-imprese/bando-isi-2022.html). Un’altra consistente parte giace in un conto infruttifero presso la Tesoreria della Banca d’Italia, contribuendo a diminuire il fabbisogno della finanza pubblica (quindi, meno titoli di stato da piazzare), anche se ciò, come spesso lamentato dai vertici dell’Istituto, o meglio dalle parti sociali che siedono nel Consiglio di Indirizzo e Vigilanza, limita le possibilità di investimento in prevenzione e riabilitazione/reinserimento. L’INAIL possiede inoltre un 3% delle azioni della Banca d’Italia, cioè la quota massima detenibile da un singolo soggetto; le spese di funzionamento sul totale del bilancio ammontano ad un 3, 4%, percentuale vicina a quella  ottimale; e gli investimenti condotti sulla infrastruttura informatica hanno consentito non solo la totale virtualizzazione dei rapporti con le aziende (con coloro che versano, in soldoni) ed intermediari, ed in parte con l’utenza degli assistiti, ma anche di superare i periodi di lockdown senza significativi impatti negativi su quantità, tempi e qualità dei servizi resi. Tutto bene quindi?  No, come è ovvio. Come è noto, lo Stato italiano ha rinunciato da tempo a governare unitariamente l’informatizzazione della Pubblica Amministrazione, e quella che era l’AIPA (Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione) è stata depotenziata e poi soppressa. Le singole amministrazioni hanno proceduto quindi necessariamente in ordine sparso, ognuna con il proprio personale (se ne aveva …) e con propri sistemi acquisiti sul mercato, sia pure attraverso gare, spesso però non compatibili e non dialoganti tra loro (il che spiega le difficoltà di integrazione delle banche dati e la molteplicità di portali e procedure cui anche il singolo cittadino deve interfacciarsi, SPID o non SPID). L’INAIL da questo punto per qualche lustro ha mantenuto una propria autonoma capacità di progettazione, analisi, elaborazione, senza doversi legare mani a piedi a ditte esterne (che funzionano, come noto, come un oligopolio); ma la diminuzione del personale,  non sostituito (meno 40% in una ventina d’anni, o anche più a seconda dei metodi di conteggio) e l’invecchiamento del restante (l’età media si aggirava, prima delle ultime assunzioni tra 2022 ed il corrente anno, sui 53 anni, informatici compresi) oggi l’ha gravemente indebolita. Circa il personale, la carenza non è solo quantitativa, ma anche qualitativa: servirebbero psicologi, assistenti sociali, informatici, medici specialisti (in particolare ortopedici, medici del lavoro, fisiatri), tecnici, per supportare realmente tutte quelle funzioni non meramente assicurative di cui vertici dell’INAIL, e talvolta qualche politico, si vantano. Ma permangono da un lato i vincoli alle assunzioni di tutto il pubblico impiego, dall’altra l’oggettiva difficoltà, di carattere generale, a reperire certe figure professionali, come i medici specialisti. Un altro aspetto, se non critico, certo, dibattuto, è quella che oggi va di moda chiamare governance. Dal 1994, come in tutti gli Enti Pubblici Non Economici, vige il cosiddetto sistema duale: ci sono cioè un Presidente, un Direttore Generale, di nomina politica, un Consiglio di Amministrazione pure nominato con rappresentati dei due Ministeri “Vigilanti” sull’INAIL, cioè (passiamo sotto i continui cambi di denominazione) quello del Lavoro e quello dell’Economia e Finanze, e un Consiglio di  Indirizzo e Vigilanza composto da rappresentanti delle parti sociali (che prima del 1994 sedevano nel Consiglio di Amministrazione). Storicamente si è assistito spesso ad un dualismo tra Presidente e Direttore Generale. Vi sono stati poi lunghi periodi di commissariamento, cioè con un Commissario che riuniva in sé tutte le funzioni nelle more di una riforma tuttora da venire (anche qui, con disegni di legge poi arenatisi), a seguito, ormai una ventina di anni fa, dell’arresto, più o meno in flagrante, dell’allora Direttore generale per malversazioni e corruzioni varie, legate alla gestione del patrimonio immobiliare e non solo (circolano anche voci, o leggende, secondo le quali la di lui consorte fu arrestata mentre cercava di espatriare con consistenti cifre in contanti sotto i vestiti …). In ogni caso, se il Commissario è assimilabile a quel che era il dittatore nella Roma repubblicana (cioè un magistratura straordinaria a tempo, che in momenti di crisi assumeva tutte le funzioni delle altre e del Senato), ci sono stati commissari che, come il Quinto Fabio Massimo che combattendo Annibale senza affrontarlo mai  in battaglie campali, si procurò così l’appellativo di Cunctator, cioè Temporeggiatore, davvero ne furono emuli, nel senso che si occuparono solo dell’ordinaria amministrazione rifuggendo dall’affrontare questioni di maggior respiro, e per anni. Infine, la vigilanza dei Ministeri è stata, ancora una volta a detta dei vertici dell’INAIL, talvolta una vera e propria ingerenza, e “frenatrice”, non propulsiva. È difficile giudicare il peso di tali vicende sul servizio reso; e non è questo il luogo in cui discutere di come conciliare le contrastanti esigenze di agilità e flessibilità dell’azione con quelle del controllo sull’assolvimento delle funzioni istituzionali e relative modalità e costi.

Sono indispensabili, a questo punto, due parole su come l’assicurazione INAIL si finanzia. Su qualche testo non proprio recente si può leggere che le Inabilità Temporanee Assolute, e altre spese accessorie, sono finanziate dai premi versati, mentre le rendite dalle riserve tecniche, cioè dagli investimenti, per lo più immobiliari: quindi metodo a ripartizione per le prime, a capitalizzazione le seconde. Tuttavia, si è visto come il già citato D. Lgs. 38/2000, istituì l’indennizzo del danno biologico con una erogazione una tantum fino al 15% di invalidità, restringendo la costituzione di rendita ai danni dal 16% in su, (mentre prima venivano costituite dal 10%, i danni minori in franchigia). Ciò, insieme ad un diverso sistema di calcolo delle invalidità, e ad una certa diminuzione degli infortuni gravi, ha condotto a una contrazione del numero delle rendite costituite annualmente. E ciò, sommato  alla fisiologica cessazione per età di quelle già costituite, ha condotto ad un sensibile, progressivo e irreversibile, calo del portafoglio rendite attive, con minori necessità di finanziamento. Per altro verso, che ciò fosse studiato o meno, nei primi anni di questo millennio l’INAIL, come altri enti pubblici, di fatto alienò il proprio patrimonio immobiliare abitativo (e non solo: la finanza “creativa” dell’allora Ministro Tremonti condusse anche ad alienare immobili ad usi istituzionali, in cui l’INAIL continuò a servirsi pagando però un affitto, salvo magari talvolta ricomprarseli una ventina di anni dopo ad accresciuti prezzi di mercato….). Venne meno quindi tale fonte di finanziamento; ma la diminuzione degli infortuni ha portato a minori oneri, e anche se la maggioranza delle aziende che definiamo sbrigativamente virtuose ha pagato di meno utilizzando il meccanismo bonus – malus, il sistema, pur essendo trasformatosi in uno essenzialmente a ripartizione (l’argomento andrebbe approfondito, ma è molto tecnico e richiederebbe troppo spazio), non solo è in equilibrio (i premi pagati corrispondono alla rischiosità, se cresce crescono anch’essi, se diminuisce calano) ma genera degli avanzi. Infine, nel valutare il bilancio dell’INAIL, si tenga presente che essa gestisce anche un sistema di prestazioni non assicurative, ma di fatto assistenziali e non legate al pagamento dei premi (il parallelo con l’INPS è immediato): tali sono, certo numericamente relativamente contenute,  le erogazioni della legge 248/1976 in favore di vedove e orfani di grandi invalidi sul lavoro deceduti per cause estranee all’infortunio sul lavoro o alla malattia professionale, quelle dal Fondo vittime dell’amianto, e da ultimo, la Speciale elargizione per i familiari superstiti di esercenti professioni sanitarie, assistenti sociali e operatori socio-sanitari deceduti causa Covid-19.

Ma come funziona, più in dettaglio, il sistema di bonus malus dell’assicurazione ’INAIL? Cercherò di semplificare al massimo un argomento decisamente complesso e dalle molte sfaccettature, mi perdonino statistici e dipendenti INAIL per qualche inevitabile, spero non grossolana, approssimazione. Lo strumento normativo è la cosiddetta “Tariffa” INAIL, che prende la forma di un Decreto Interministeriale; quello vigente è del 27 febbraio 2019, che sostituiva il precedente del dicembre 2000, il quale a sua volta succedeva ad uno del 1988, e via così, con rinnovi a cadenza più o meno ventennale. La Tariffa vigente, come le precedenti, classifica le lavorazioni, divise in 10 Grandi Gruppi, poi con Gruppi, Sottogruppi e Voci, cioè il livello elementare dell’attività, o meglio del relativo rischio, in qualche centinaio di voci. Esempi: “0722 Attività d’ufficio, call center, sportelli automatizzati, compreso uso di veicolo personalmente condotto per l’accesso ad altri uffici”; “6214 Produzione di coltellerie, ferri chirurgici, armi bianche, fustelle”; “2131 produzione di esplosivi da scoppio e da lancio; produzione di propellenti”; “0413 Pulizia di fognature e pozzi neri effettuata anche con autospurgo”. Dette voci sono poi ripartite in quattro settori, Industria, Artigianato, Terziario, Altre Attività, divisione sui cui ora sorvoliamo perché non essenziale, anche se comporta variazioni numeriche sul numero delle voci e i tassi medi della stessa attività se svolta in settori. Per ciascuna di queste attività, e quindi voci, svolte con lavoratori dipendenti, o autonomi, o entrambi (l’artigiano può avere propri dipendenti), è stabilito un tasso medio di premio da pagare, quantificato in millesimi rispetto alle retribuzioni, ed oggi variabile da un minimo del 3,63 per mille per le attività di oreficeria, argenteria, bigiotteria, produzione di timbri, della voce 6250 nel settore terziario, e il 110 per mille, ad esempio dei Lavori di costruzione nel settore Industria, voce 3110. Questi tassi medi riflettono la sinistrosità  della relativa attività, rilevata dall’INAIL su un determinato periodo di osservazione; fino al 2019, nelle precedenti Tariffe,  si confrontavano per ogni voce (e settore) le retribuzioni erogate con le erogazioni indennitarie per ogni tipo di attività; oggi, più correttamente, il confronto viene fatto tra il numero delle giornate lavorate (ricostruite in parte convenzionalmente a partire da retribuzioni annue e retribuzioni medie giornaliere) e le giornate perdute per infortuni e malattie professionali, anche qui attribuendo un valore numerico convenzionale ai danni permanenti (ogni grado di inabilità equivale a 75 giornate perdute; ogni caso mortale equivale a 7500 giornate perdute, come se ci fosse un 100% di invalidità permanente). E possiamo già osservare che la diminuzione degli eventi indennizzati, negli ultimi decenni, ha condotto ad una diminuzione dei tassi massimi, che erano il 160 per mille nella Tariffa 1988 e 130 per mille in quella del 2000.

Quando si inizia una attività, l’impresa fa la sua denuncia all’INAIL, questa analizza le attività svolte, assegna una o più voci di tariffa a quelle svolte nella singola Unità Produttiva (che nel gergo INAIL è detta PAT, cioè Posizione Assicurativa Territoriale), e per i primi due anni di attività l’impresa paga il detto tasso medio. Dal terzo anno in poi, si calcola il rapporto tra giornate lavorate e perse; chi si avventurasse nella lettura della Tariffa, o meglio delle sue Modalità di applicazione, si imbatterà in termini vagamente esoterici, quali GLE = Giornate Lavorative Equivalenti, ISM = Indice di Sinistrosità Medio per voce e gestione, ISA= Indice di Sinistrosità Aziendale della PAT, e via così. Il rapporto tra giornate lavorate e perse della singole PAT e relative voci viene confrontato con quello delle voci di Tariffa, cioè con il loro tasso medio: se è maggiore, l’azienda pagherà, in una certa percentuale, di più; se è minore le verrà scontata una certa quota del premio. Il calcolo, con tutta una serie di correzioni statistiche (ponderazioni, ri-proporzionamenti, limiti di significatività statistica … per fortuna i conteggi li fa automaticamente il sistema informatico dell’INAIL!) viene rinnovato ogni anno su un triennio mobile: in questo 2023 si paga cioè in base al triennio di osservazione 2021, 2020, 2019, il 2022 è escluso in quanto potrebbero esserci casi di infortunio o malattia professionali non ancora chiusi e quindi con giornate perdute ancora non calcolabili definitivamente. Quanti meno infortuni e malattie professionali ci sono, quindi, tanto meno si paga; quindi, di per sé il meccanismo rende economicamente più conveniente la sicurezza in azienda. E dove non ci sono delle retribuzioni da lavoro dipendente, chiederà qualche lettore ancora lucido e senza troppo mal di testa dopo il precedente profluvio di dati? Si applicano altri parametri di rischiosità:  gli artigiani ad esempio vedono le voci raggruppate per classi di rischio e possono avere sconti in percentuale in assenza di infortuni, pagando i cosiddetti Premi Speciali Unitari – PSU; per i medici radiologi si paga in proporzione a numero e tipo di apparecchi radiologici, per i frantoi (altro reperto archeologico …) si pagava ancora per grandezza e numero degli impianti, nel settore della Navigazione in base al tipo di natante e relative Tabelle di equipaggio (ma pescatori autonomi della piccola pesca marittima e delle acque interne con dei PSU …). Nella gestione cosiddetta per Conto dello Stato, che comprende i dipendenti pubblici (ma comuni ed ASL pagano come fossero aziende …), ma anche gli insegnanti e gli studenti delle scuole ed Università pubbliche, l’INAIL indennizza solo i danni permanenti ed i casi mortali: poiché o non c’è retribuzione, come per gli studenti, oppure è percepita integralmente per gli altri anche durante l’assenza per infortunio. Qui le Amministrazioni pubbliche versano, direttamente sul bilancio dell’INAIL centrale, un cifra forfettaria per la mera gestione di ogni singolo caso, mi pare trecento euro,  anche se poi non riconosciuto come infortunio sul lavoro o malattia professionale (e dovrebbero esercitare essi stessi l’azione di surroga verso eventuali terzi responsabili, solo avviata dall’INAIL). Fino all’anno scorso, infine, i facchini pagavano attraverso un complicato ed inefficiente sistema di denunce nominative trimestrali e importi orari; finalmente, a partire dal corrente anno, sono stati assoggettati al regime assicurativo ordinario, facchini, barrocciai (!?), vetturini, ippotrasportatori (??!!), pescatori della piccola pesca soci di cooperative, addetti ai frantoi. Il che è certo apprezzabile, e se mai ce ne fosse ancora bisogno, dà l’idea di quanto sia necessaria, e forse urgente, una riforma dell’intero sistema, che assomiglia a quegli edifici costruiti ora aggiungendo, ora togliendo stanze/muri a quanto costruito in base al progetto originario (ammesso che progetto ci fosse stato).

Passando infine a parlare dell’equità, per quel che riguarda datori di lavoro e i lavoratori autonomi nella loro veste di chi versa il premio, l’assicurazione INAIL è equa, nel senso etimologico del termine, perché non solo le Tariffe riflettono sostanzialmente il rischio, ma perché l’universale platea degli assicurati non solo ripartisce meglio il rischio, ma consente una solidarietà tra le voci: per esemplificare in soldoni, anzi in euro,  senza detta solidarietà forse le attività di ufficio (prendiamone una diffusa),  voce 0722, pagherebbero qualcosa di meno della già irrisoria percentuale del 4 o 5 per mille a seconda dei settori; ma probabilmente )conteggi e meccanismi non sono pubblici, anche per l’oggettiva complessità) le costruzioni edilizie inquadrate nella voce 3110 del settore Industria più del già consistente 110 per mille. Peraltro, talvolta alcune Leggi di finanziarie/di stabilità hanno abbassato i premi di qualche punto percentuale, per il solo anno di riferimento, rifondendo il bilancio INAIL a carico dell’Erario; ed oltre ai vari bandi di finanziamento cui si accennava sopra, esiste una ulteriore oscillazione del premio per prevenzione fruibile dalle aziende “virtuose” in materia, di cui si tratterà quando si parlerà di politiche e strumenti di incentivazione alla prevenzione stessa.

Dal punto di vista delle persone assistite, il discorso è più complesso. Le Indennità per Inabilità Temporanea Assoluta – ITA – durante l’assenza forzata dal lavoro per i lavoratori dipendenti riflettono il livello delle retribuzioni presenti sul mercato del lavoro, quindi con tutte le sue eventuali storture e sperequazioni settoriali e territoriali; e grosso modo anche quelle fissate convenzionalmente o normativamente vi si adeguano. Non può però dimenticarsi che taluni contratti collettivi, e non necessariamente solo quelli “pirata” stipulati da sindacati di dubbia o irrisoria rappresentatività (il che incidentalmente conferma la necessità di una legge sulla rappresentatività sindacale …), non solo non integrano la ITA INAIL fino alla normale retribuzione, ma assimilano le assenze per infortunio a quelle per malattia ai fini dei periodi di comporto, cioè del periodo massimo di assenza dal lavoro trascorso il quale il licenziamento diventa possibile e legittimo (l’uso dell’aggettivo qui potrebbe dar luogo a filosofiche riflessioni sui rapporti tra diritto e giustizia …) E tutto ciò senza entrare nel merito dei minimi salariali praticati, che, mi permetto, andrebbero a mio parere fissati per legge anche nei settori coperti dalla contrattazione collettiva, e ben più agevolmente di oggi si potrebbero trasporre a lavoratori autonomi e simili.

L’indennizzo del danno biologico (dal 06% al 15% di danno permanente) segue delle Tabelle periodicamente rivalutate, anche se non sempre con la periodicità automatica prevista dal D.lgs. 38/2000. La congruità economica è sempre relativa, dipendendo dal valore monetario reale in termini di potere d’acquisto, dall’equilibrio finanziario complessivo dell’assicurazione, e dal diverso peso che il medesimo danno biologico ha a seconda dell’attività lavorativa svolta: pensiamo, per esempio, a quanto diversamente influisce un danno, apparentemente banale, che impedisca di restare in piedi a lungo se si svolge un lavoro manuale.

Per quel che riguarda le rendite, anche il loro importo è calcolato sulla base dell’ultima retribuzione annua, percepita o convenzionale, e quindi valgono in parte le stesse considerazioni svolte per le ITA; vi sono minimi e massimi, ma la fissazione di tali minimi e massimi è operazioni politica discrezionale più che tecnica, pur non potendosi discostare significativamente dalle retribuzioni pagate sul mercato del lavoro. Anche qui la possibilità di continuare a svolgere un’attività lavorativa è funzione dell’attività stessa e del tipo, localizzazione e misura del danno, quindi molto variabile; e un ruolo spesso decisivo lo svolgono le capacità/competenze della persona, l’età, la cultura, e infine, la sua eventuale volontà di riciclarsi, eventuali percorsi privilegiati, quali il collocamento obbligatorio, a parte, o i percorsi di reinserimento sociale e lavorativo che la stessa INAIL offre. Ma qui entriamo nel più ampio campo delle tutele sociali e del diritto al lavoro di chi soffre di una qualche forma di disabilità, quale che ne sia l’origine, e mi fermo. Le rendite sono peraltro, come si è visto, oltre che periodicamente rivalutate, integrabili in dipendenza della composizione del nucleo familiare, e non sono soggette ad IRPEF; e sono soprattutto i titolari di rendita, a usufruire delle prestazioni di assistenza protesica, diagnosi, riabilitazione, soggiorni e cure termali, percorsi di reinserimento sociale e lavorativo, cioè un sistema che viene definito, magari presuntuosamente, di tutela globale, ma che fa bella figura anche all’estero. Sotto il profilo puramente finanziario, la mia impressione, si badi personale, è che sui livelli di danno più bassi, o anche medi, le rendite siano oggettivamente piuttosto magre almeno in Italia (diverso per chi rientra nel proprio paese d’origine, in Africa o Europa dell’Est): un artigiano cui si applichi il salario convenzionale, e che abbia subito il danno minimo per una rendita del 16%, percepisce un rateo mensile di 106 euro. Più congrue, al punto di consentire una vita dignitosa, per i gradi più elevati.  Non risultano però disponibili statistiche sugli importi medi di una rendita, o, meglio ancora, elaborazioni che conteggino i numeri delle rendite per classi di importi, o gli importi medi per ciascuna percentuale di invalidità, o ancora una volta per fasce. Quel che è certo, però, è che gli avanzi del bilancio INAIL potrebbero avere anche altri usi rispetto a quelli attuali: ma la scelta tra finanziare interventi di prevenzione, mantenere le disponibilità (riserve) nel bilancio pubblico, aumentare gli indennizzi, erogare prestazioni di altro tipo, è esclusivamente politica, in funzione di quali esigenze, o interessi (tutti legittimi, eh …), si intendano privilegiare.

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