Mezzo secolo di Moline e un caso che fa ancora discutere: il riallestimento di Freud e il caso di Dora

di Silvia Napoli /
11 Febbraio 2023 /

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Martedì 7 febbraio alle 18 e 30, in Arena del Sole si viene a scrivere quella che personalmente considero come la prima puntata di una storia teatrale tutta da considerare e che attraversa luoghi, decenni e vicende storiche della nostra città.

Si celebrano quelle che si chiamano “Le Moline”, da sempre, ovvero un piccolo spazio bohemienne, scatola teatrale eterodossa, sorpresa inaspettata all’interno di un palazzo nobiliare a ridosso della zona universitaria e prossimo ai canali che furono operosi nei tempi andati. Spazio che è ostinatamente riuscito a sopravvivere in un certo senso a se stesso, ovvero alla forzata dissoluzione della cooperativa fondatrice, grazie come scopriremo a breve, a molte volontà convergenti, come oggi si direbbe. Convergenti nell’obiettivo di salvaguardare non solo una memoria preziosa, ma come vedremo tra poco, uno scampolo di spirito d’avanguardia cosmopolita, raffinato, che guarda lungo, verso orizzonti altri e irriverenti, accessoriato di un’aura frizzante, irrituale, che sa mescolare e scompigliare, che eredita gli afflati migliori del 68 e rifiuta il tuffo verso il nichilismo, la rabbia, la rassegnazione.

Tutti sentimenti e inclinazioni estranei ai fratelli Luigi e Alberto Gozzi, docente al Dams e regista il primo, scrittore il secondo, fondatori del Teatro Nuova Edizione. Come potremmo definirli oggi? Forse illuministi critici e disincantati, di certo estremamente consapevoli, di quanto visioni, sogni, bisogni, desideri nascosti si contendano il campo dell’umano agire con domina Ragione.

In quegli anni post 68, Moline, S Leonardo, Ribalta, insieme alle case del popolo, alle sale di quartiere, ai primi gruppi, collettivi e piccole cooperative, che vantano nomi famosi tra i loro soci e mentori, sprovincializzano il panorama culturale cittadino e ritoccano in senso impegnato e innovativo il panorama culturale. La dotta finalmente, tra facoltà d’avanguardia, osterie, cantautori, spazi off, assume una connotazione creativa e sperimentale che tutt’ora attira giovani da tutta Italia sicuramente, ma certo non soltanto, se pensiamo alla massiccia affluenza recente dall’Oriente, che vogliono sperimentarsi in quanto artisti, organizzatori, curatori, critici, comunicatori, operatori a 360 gradi in buona sostanza.

In qualche modo si rende dunque onore ad una vocazione ed un destino chiacchierando di questo e molto altro insieme a Marinella Manicardi, musa del Teatro delle Moline, attrice, regista, drammaturga, teatrante esperta a tutto tondo, nonché compagna di vita di Luigi Gozzi, da cui ha imparato tutti i segreti di un teatro artigiano, in cui quello spazio è un po’ casa e li fai tutto, ricevi amici, giornalisti, intellettuali, allievi, apprendisti qualcosa, monti scenografie, metti spilli ai costumi, provi la parte e ricrei ogni volta, con grande sensibilità da designer progettista, lo spazio interno.

Una volta scatola nera e la volta seguente scatola bianca: come non commuoversi a ricordare gli strabilianti sconvolgimenti scenografici di questa boite autarchica gestita con orgoglio consapevole eppur sobrio da una piccola puntuta compagnia a geometria variabile, formidabile nella sua capacità di gestirsi lo spazio e le traiettorie attoriali e di coltivare fiducia nella rappresentabilità dell’irrappresentabile ?

E a questo proposito, viene giusto il riallestimento dell’iconico spettacolo del 79, a sei anni dall’apertura del Teatro, avvenuta nel 1973, che inaugurò una feconda fase di indagine registica, in anni in cui sia il marxismo che il femminismo cercavano un controverso e spesso conflittuale rapporto con la psicanalisi, tra quest’ultima e le forme tutte del linguaggio, cui seguiranno approcci letterari e sociologicamente diversificati in seguito.

Stiamo parlando di Freud e il caso di Dora, celebre caso di isteria, che oggi viene riallestito e vede Manicardi, già indimenticata protagonista della pièce, nelle vesti di regista, riadattatrice, coordinatrice del cast .Cast che comprende Davide Amadei assistente e collaboratore alla regia, Stefano Moretti e Alma Poli, selezionati da Marinella in quanto protagonisti, più Severino Storti Gajani alla composizione dello spazio scenico, Gabriele Partisani alle musiche, più una marea di artisti tecnici ai film, al video design, alla elaborazione fotografica, alle tecniche video, audio e luci . Non poteva poi mancare tutta la riproduzione in digitale dei suoni e naturalmente dei video affidata ad Home movies, premiata ditta di restauro, catalogazione, riscoperta di autentiche chicche cine amatoriali e non solo.

La storia, pur complessa e apparentemente non drammaturgica, è quella di un caso di analisi, uno dei casi clinici freudiani più noti, perché pur nell’apparente scacco del terapeuta, segna storicamente un cambio di passo e di approccio da parte del dottor Freud al trattamento della cosiddetta isteria.

Non poteva mancare una chiacchierata da parte nostra con Manicardi, praticamente murata in sala prove per questa remise en scene che naturalmente da parte sua è una esperienza totalizzante piuttosto forte. Ricordiamo che lo spettacolo è ovviamente in scena con repliche multiple e orari variabili tra il 4 e il 12 di febbraio e che il teatro contiene 60 posti a sedere, per una fruizione davvero intima e ravvicinata di ogni azione performativa cui si possa assistere. Io ricordo grandi debutti bolognesi qui per testi che in seguito hanno segnato passaggi drammaturgici importanti e compagnie di sperimentazione oggi celebratissime.

Ma questa è una emozione davvero ulteriore e ci vuole qualche domanda di prammatica.

Come vivi questo passaggio di testimone e cambio di ruolo e come ti sei ritrovata alle prese con questo copione?

Come puoi ben intuire sono emozionatissima. Intanto è ben raro che in Italia si possano riprendere in mano testi cosi datati ed anche che si possano formare repertori: Questa era ed è, una nuova drammaturgia, ma gli scarsi mezzi che si assegnano al teatro, fa si che diventi una vecchia produzione. In questo caso, sorpresa!, il testo è ancora splendido e regge benissimo lo scorrere del tempo. Chi è venuto alle prove ha detto che se non avesse saputo che era un riallestimento, lo poteva dare come opera odierna.

Potrà anche essere che un testo possa poi avere nel linguaggio una punta di vintage, ma poi questo effetto viene controbilanciato dalla lingua e dal corpo degli attori di oggi: Tu giustamente oggettivando il tema della storia, tendi a vedere la problematicità storico-epistemologica di Freud, il suo individualismo borghese, la condiscendenza tutta patriarcale verso il mondo femminile, il rinchiudersi dei grandi mostri collettivi del secolo breve tra le pieghe di abiti e tendaggi di classi privilegiate.

Ma intanto devi pensare che Luigi era molto affascinato dalla valenza creativa della potenza della scoperta freudiana del legame tra sintomo, inconscio, linguaggio, interpretazione dei sogni . Per lui tutto questo era poi traducibile nella lingua dell’ attore, nel gesto teatrale. E come sai era molto affascinato dagli errori di percorso, di interpretazione, dalle sviste, da ciò che comunemente definiamo lapsus freudiani, perché ci vedeva grandi possibilità di libertà e grandi margini di creazione artistica. Quando interpretavo io Dora, l’ho fatto per ben 15 anni in giro per tutta Italia e in generale a parte qualche episodio folclorico, riscontravo la capacità del testo di contenere aspettative, ispirazioni, immaginazioni e interrogativi del pubblico, ero interna alla macchina e non vedevo alcune cose. Adesso, dall’altra parte della conduzione, ne godo maggiormente i risvolti e devo solo frenare un poco il naturale istinto a sovrapporre la mia modalità di porgere il testo a quella dei nuovi interpreti che sono giovanissimi e molto molto bravi. È bellissima però la funzione pedagogica e quindi mi commuovo. Mi dirai che ho dovuto imparare un sacco di robe tecniche; abbiamo sempre creato tutto e risolto ogni problema in autonomia qui alle Moline, ma stavolta il cimento era complesso. Come sai lo spettacolo fece scalpore perché si entrava in sala accolti e avvolti da un grande schermo su cui venivano proiettate parti del testo. Oggi ci sono otto schermi che riproducono film e foto. Tutto materiale originale di Luigi, ma abbiamo dovuto digitalizzare tutto ed è stato difficilissimo perché i tempi di resa non sono sincroni e il suono poi non andava più d’accordo con le immagini. Un lavorone insomma, ma a tutt’oggi di grandissimo impatto. Non voglio spoilerare troppo, ma praticamente noi siamo nella scatola dell’inconscio e vediamo formarsi i pensieri, i desideri e poi i sogni di Dora dall’interno. Il caso di Dora è il primo di un nuovo modo di fare analisi da parte di Freud, in seguito abbiamo fatto uno spettacolo anche dal caso di Anna O. Ma li c’erano sintomi isterici classici e marcati: catatonia, svenimenti, convulsioni. Dora in confronto è un caso l non grave. Dora in seguito si sposerà e si dedicherà ad opere di beneficenza. Anche Anna O: addirittura lei ebbe una connotazione molto progressista operando in favore delle donne. Secondo me l’apertura mentale che avevano dimostrato nell’affidarsi all’analisi e l’attitudine poi acquisita allo scavo interiore, le resero molto protagoniste della loro vita e anche quindi diverse rispetto allo status e destino borghese. Rispetto all’edizione precedente, questo è un Freud più giovane ed estremamente infervorato dal gusto della scoperta delle mille concatenazioni logiche che gli si aprono davanti, un po’ come lo stesso Luigi era.

Rimanendo ai contenuti, alle polemiche femministe e non solo sul pensiero freudiano, del resto in qualche modo sorte di tutti i grandi pilastri di pensiero fra otto e novecento, che cosa mi potresti dire in più?

Intanto, non per caso, Luigi scelse uno dei casi fallimentari di Freud. Non tanto dal punto di vista patologico, perché poi come abbiamo visto tutto sommato Dora ebbe una vita soddisfacente, ma quanto dal punto di vista clinico. Perché Dora dette a Freud il benservito a un certo punto, non si riconobbe nelle spiegazioni che il grande clinico viennese dava della sua storia biografica e con atto di ribellione diciamo metaforico al padre, interruppe l’analisi. Quindi un caso nello spirito dei tempi attuali. A un certo punto nello spettacolo Freud dice che chissà perché vengono da lui solo signore ed è un po’ qui la chiave della storia. Certamente siamo in un contesto preciso, una certa Vienna, dotata di una certa cultura d’avanguardia e di una borghesia più che abbiente che va a curarsi le nevrosi nel suo studio o meglio lettino. Ma non è solo questo, è il fatto che lui si rende conto a un certo punto che al transfert di Dora oppone un suo controtransfert e un suo desiderio . Insomma proietta anche lui nel complicato triangolo tra il padre di lei, il signore e la signora K. Prima incita Dora a liberarsi di inibizioni e sensi di colpa e accettare la situazione per come è, visto che sono tutti concordi, poi addirittura ipotizza che Dora voglia un figlio dal signor K. Ma viene platealmente smentito, con una scena che è un po’ una rivelazione catartica e che fa sempre un certo effetto sul pubblico. Io tuttavia, voglio lanciare una lancia in favore della psicanalisi, nonostante forse se ne sia fatto un feticcio e nonostante alcuni limiti palesi nella sua epistemologia. Comunque è stata una disciplina a valenza liberatoria, il disvelarsi di certe pulsioni fece scandalo ed io trovo importante, poter razionalizzare in qualche modo le proprie paure e acquisire almeno consapevolezza del proprio mondo interiore. Ecco se dovessi trovarci un messaggio per questi tempi difficili e sfiduciati sarebbe proprio quello, cosa che vale anche per la pratica teatrale, di non fermarsi alle apparenze e alla contingenza più terra terra, ma cercare sempre senso e controsenso in ogni cosa che si fa.

Cosa mi dici, a parte la ripresa dello spettacolo, della storia passata e attuale di Moline?

Intanto, sono felice di avere amici come Marino, Manzella, Corsini e tanti altri a chiacchierare e festeggiare con me in Arena con un brindisi, poi che ora che tutto il materiale delle Moline e di Luigi è depositato come archivio all’Università, è un ricco patrimonio attingibile che spero fruttifichi in tesi e ispirazioni. Prima o poi devo scrivere un libro. Lo sai che questo luogo non ha mai chiuso, a parte la pandemia di questi ultimi tempi, neppure quando nel 77 svaligiarono la vicina armeria e avevamo i blindati a poche decine di metri? Qui la gente passava, bussava e ci chiedeva di entrare perché aveva paura per ciò che stava succedendo e voleva parlare con qualcuno dei fatti. Sono felice che le Moline esistano ancora e che siano gestite da Ert. Lo devo alla testardaggine di Luigi prima, che quando io dicevo che avremmo potuto avere uno spazio più grande, fare coproduzioni con altri, si rifiutava eppoi alla mia. A un certo punto Luigi si accorse di stare troppo male per poter tirare avanti l’impresa, poi la proprietà ci aumento spropositatamente l’affitto, ma io decisi di tener duro anziché liquidare tutto. Altri teatranti, l’amministrazione comunale ci vennero in aiuto, si stipulò una convenzione eppoi alla morte di Luigi si ebbe il passaggio di consegne. esistono spazi così solo nelle grandi capitali europee. Se pensi anche alle cantine romane non esiste più niente. Moline è un esempio nazionale e sta persino in qualche guida estera. Qui, a Bologna, è accaduto l’inverso di ciò che abitualmente accade ed è stato reso spazio pubblico mantenendone le funzioni un piccolo spazio indipendente privato, quando normalmente si privatizza tutto. Altrove in Italia forse saremmo diventati l’ennesimo pub seriale della zona universitaria. Saluto Marinella presissima dagli ultimi ritocchi alle scene, ricordandovi di prenotare e buona isteria a tutte.

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