Il lavoro deve essere sicuro #3: Infortuni con mezzi di trasporto e infortuni in itinere

di Maurizio Mazzetti /
11 Dicembre 2022 /

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Come dicevo nell’articolo del 27 novembre per le Malattie Professionali, anche questi tipi di infortunio, cioè quelli che accadono a chi lavora nella circolazione e/o nei trasporti, o nel percorso casa lavoro, ricevono meno attenzione del dovuto. In quanto legati alla viabilità ed alla circolazione, ed essendo una frazione degli incidenti totali legati alla circolazione, da un lato sono considerati, se non una fatalità, un inevitabile tributo alla società moderna e post-moderna ed alla struttura della mobilità; dall’altro un facile mezzo per sminuire la portata di certi dati infortunistici, in particolare sugli eventi mortali (“… Eh, però la metà dei mortali sono sulla strada, nel percorso casa-lavoro …”, è un refrain che udito spesso). Quasi che quel che accade fuori dai luoghi di lavoro “fissi” non conti, o, appunto, sia una specie di fatalità. Ovviamente, anche per questo tipo di eventi vale la considerazione che sono SEMPRE EVITABILI. Vediamoli.

Gli infortuni con un mezzo di trasporto comprendono quelli alla guida e a bordo del mezzo stesso, motorizzato o no, in orario di lavoro o comunque per motivi legati al lavoro. Detti rischi non trovano uno specifico riferimento nel Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro, IL D.Lgs. 81/2088, ma sono lavorativi, e quindi tutelati, se l’utilizzo del veicolo rientra nelle mansione/attività lavorativa (anche per i lavoratori autonomi), oppure è un mezzo strumentale all’attività stessa, assimilato ad una attrezzatura di lavoro (si pensi ad un manutentore).

Sono usualmente definiti stradali, perché per la stragrande maggioranza avvengono appunto sulle strade di qualsiasi tipo, assimilabili quindi a un luogo di lavoro. In questi infortuni l’occasione di lavoro, elemento essenziale al concetto di infortunio insieme alla causa violenta, non è legata ad un ambiente fisico fisso: il rischio, di cui l’infortunio è conseguenza, è quello che nasce dalla circolazione, nella pratica di solito quella stradale (molto più rari gli eventi legati a metropolitane, tram, treni, per non parlare di funivie e simili).  Come si vedrà nelle successive tabelle, vengono conteggiati anche, sia pure a parte, quelli in cui l’infortunata/o non è a bordo o alla guida di un mezzo, o comunque in cui un mezzo di trasporto non è coinvolto. Non sono considerati poi infortuni di questo tipo gli infortuni con muletti e simili, che non considerati mezzi di trasporto, e quelli con i trattori sui campi e simili. Sono ovviamente più frequenti nel trasporto e nella logistica, ma in qualsiasi settore di attività può capitare di muoversi per motivi connessi alla prestazione lavorativa.

Infortuni in itinere sono definiti, con locuzione latina, quelli (per ora semplifico) che accadono cioè nel tragitto casa lavoro e viceversa, con annesse situazioni particolari (tra due luoghi di lavoro, ad esempio). Come già accennato nel precedente articolo del 13 novembre, hanno ricevuto una tutela legislativa solo a partire dal D. Lgs. 38 del 23 febbraio 2000, con connessi effetti sulle rilevazioni statistiche storiche. Il Testo Unico sull’assicurazione obbligatoria INAIL, DPR 1124/1965, parlava infatti solo di rischi legati all’uso o presenza di macchine negli ambienti di lavoro, cui aggiungeva una serie di altre situazioni con rischi diversi, dapprima tassative, poi progressivamente allargate dalla giurisprudenza. La giurisprudenza cominciò anche ad allargare l’occasione di lavoro sulla considerazione (semplifico e banalizzo) che se il rischio della circolazione grava su chiunque si muova – cosiddetto rischio generico -, quando detto rischio è assunto necessariamente per motivi di lavoro, anche oltre l’orario di lavoro stesso, da tale rischio chi lavora va tutelato. Si consolidarono via via alcune interpretazioni estensive dell’occasione di lavoro cui già l’INAIL aveva aderito, nelle proprie norme interne (Linee guida del 1998; arrivò infine il D. Lgs. 38/2000 (tuttora la più rilevante modifica al Testo Unico originale …) con il suo articolo 12, che modifica, come sotto riportato, gli articoli 2 e 210 del Testo Unico del 1965: …

“Salvo  il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal  lavoro  o,  comunque, non necessitate, l’assicurazione comprende gli  infortuni  occorsi  alle  persone  assicurate durante il normale percorso  di  andata  e  ritorno  dal luogo di abitazione a quello di lavoro,  durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se  il  lavoratore  ha  più  rapporti  di  lavoro e, qualora non sia presente  un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di  andata  e  ritorno  dal  luogo di lavoro a quello di consumazione abituale  dei  pasti.  L’interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti. L’assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato. Restano, in questo caso, esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni; l’assicurazione, inoltre, non opera nei confronti del conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida.”

Già una prima, sommaria lettura indica che molte definizioni necessitano anch’esse di interpretazioni e chiarimenti.

Senza appesantire qui la trattazione, che richiederebbe un volume ad esaminare tutta la giurisprudenza, e prima le circolari e istruzioni operative dell’INAIL, osserviamo intanto che la norma non definisce cosa sia il “normale” percorso, cioè il più breve o il più rapido (nella prassi, entrambi, a seconda dei casi e del contesto – sarebbe stato forse meglio usare il termine “abituale”). Nel concetto di normalità viene fatto rientrare, mancando nella norma, dalle istruzioni INAIL come confermate dalla giurisprudenza, il tempo precedente/successivo all’inizio/fine del lavoro, relativamente all’orario contrattuale previsto nel giorno dell’evento, ritenendosi peraltro un periodo eccessivamente lungo costituisca una interruzione nel senso indicato nel primo capoverso. Per “deviazione” ed “interruzione” è evidente che più che un chiarimento del concetto prassi e giurisprudenza hanno nel tempo consolidato delle casistiche; e lo stesso dicasi per quelle deviazioni ed interruzioni “necessitate” di cui al secondo capoverso: sul punto si dice che ove ci siano deviazioni e/o interruzioni non necessitate, il nesso tra lavoro ed evento dannoso si interrompe. A mero esempio di deviazioni considerate necessitate, cito quelle per accompagnare/riprendere i figli a scuola, per assistere un parente infermo, per sottoporsi ad accertamenti medici o cure non rinviabili, per esigenze fisiologiche impellenti; sono considerate per esempio non necessitate quelle per comprarsi le sigarette, un vestito, una rivista. E si tenga presente che nel caso delle soste, anche sul percorso “normale”, della durata della sosta stessa si tiene conto come elemento che può interrompere, ancora una volta, il nesso di causalità e quindi negare il riconoscimento dell’infortunio.

Analogamente problematico è il concetto di necessità dell’uso del mezzo privato. La necessità dell’uso, per riconoscere l’evento come infortunio, si basa sulla (esatta) considerazione che il rischio della circolazione è minore se si usano mezzi pubblici; le istruzioni INAIL fanno riferimento ad un criterio di ragionevolezza, con l’uso necessitato da accertare caso per caso. Quindi l’uso del mezzo privato (motorizzato o meno, compresi, da ultimi, i monopattini elettrici) è ammesso se i percorsi a piedi superano il chilometro, oppure se non sussistono mezzi pubblici in toto, o se i mezzi pubblici presenti richiedono un eccessivo dispendio di tempo (con attese superiori ad un’ora, di massima) tra tempi di percorrenza, di attesa tra un mezzo pubblico e l’altro. E si tratta purtroppo di ipotesi frequenti, specie nelle zone periferiche e/o montane, o per chi lavora a turni; la necessità dell’uso del mezzo viene normalmente riconosciuta se il soggetto infortunato non aveva precisi vincoli di orario (ad esempio, dirigenti, quadri in molti CCNL) o se il mezzo privato viene poi utilizzato anche per lo svolgimento dell’attività lavorativa in assenza di un mezzo aziendale (addetti ad attività ispettive, di sorveglianza, commerciali ecc.). L’assenza di mezzi pubblici, in toto o compatibili con gli orari di lavoro, si fa sentire particolarmente nelle zone periferiche e/o montane, nonché per chi lavora a turni sulle 24 ore, come il personale della sanità. Peraltro, le istruzioni INAIL prescrivono che si debba tener conto anche delle condizioni di salute e dell’età di chi si è infortunato, perché è intuitivo che un chilometro a piedi non rappresenta la stessa difficoltà (e non richiede magari lo stesso tempo …) a percorrerlo per chi ha vent’anni e chi ne ha sessanta, e magari qualche problema di deambulazione. Circa il mezzo privato, se questo è una bicicletta, fino al 2015 le istruzioni INAIL ne tutelavano l’uso non solo, vedi sopra, per percorsi di almeno un chilometro, ma anzi ritenevano che in certe circostanze (percorso su strada trafficata da mezzi pesanti, ad esempio) l’uso della bicicletta aumentasse il rischio. Intervenne, nel dichiarato fine di incentivare una mobilità sostenibile, la legge 221 del 2015, cioè la legge di stabilità del 2016, (art. 5, commi 4 e 5) che dichiarò che l’uso della bicicletta – “velocipede”, anche a pedalata assistita, come da Codice della Strada -, è da considerarsi sempre necessitato, e quinditutelato quale che sia la distanza da percorrere, ferme le altre condizioni (esempio, luci accese mezzora dopo il tramonto ecc.).

Per i curiosi, rinvio, sul punto, alla circolare INAIL 14/2016: (https://www.inail.it/cs/internet/docs/allegato_alla_circolare_14_del_25_marzo_2016.pdf)

Da questa sommaria trattazione sottolineo due aspetti importanti:

  1. L’istruttoria di un infortunio in itinere è molto più complessa, e quindi lunga, di quella degli altri infortuni. Non basta infatti la denuncia di infortunio; le altre condizioni previste per il riconoscimento sono controllate tramite appositi questionari, inviati al datore di lavoro e alla/al infortunata/o, richieste alle autorità sanitarie e/o di Pubblica Sicurezza per l’uso di alcool, sostanze stupefacenti, psicotrope, nonché per la verifica dell’abilitazione alla guida. Va inoltre verificata la viabilità (ed oggi i sistemi in rete non mancano; non era altrettanto agevole una ventina di anni fa …); e ancora gli orari dei mezzi pubblici nelle loro diverse fermate e tempi di percorrenza, gli orari delle scuole, le condizioni di salute delle persone che si dichiarano necessariamente da assistere, e via indagando.
  2. Per quanto istruzioni e giurisprudenza si siano ormai consolidate, esiste sempre un piccolo margine di discrezionalità nel riconoscere o meno l’infortunio in itinere; ciò lascia uno spazio al contenzioso maggiore rispetto a quello degli infortuni in occasione di lavoro, e come vedremo meglio in seguito, non solo per riconoscere che di infortunio sul lavoro si tratti, ma anche per negarlo da parte di chi lo ha subito (…). Ma su questa negazione ad un prossimo articolo.

Dopo questa lunga premessa, vediamo qualche numero

Numeri

In sintesi, i dati 2021 (fonti: INAIL e Polizia stradale), indicano numeri, sugli infortuni totali, relativamente contenuti, ma con conseguenze sono percentualmente più gravi, circa gli esiti mortali E NON SOLO.

Secondo l’INAIL, nel 2021 gli infortuni stradali denunciati sono stati 75mila, cioè circa il 13% del totale delle denunce di infortunio, con un notevole aumento rispetto al 2020, quando le misure di contenimento della pandemia hanno quasi dimezzato i casi, ma al di sotto dei dati dell’anno 2019 (93mila denunce) e precedenti. Nel 2021 le denunce di infortuni stradali con esito mortale sono state, invece, 415, ben il 30% del complesso delle denunce, in aumento rispetto al 2020 (+6%) ma in numero inferiore rispetto ai circa 500 casi denunciati negli anni precedenti. Nello stesso periodo, gli infortuni in itinere con mezzo di trasporto coinvolto sono praticamente l’80% del totale delle denunce stradali, 1 caso su 2 tra gli eventi mortali.

Scendendo dal livello nazionale a quello della regione Emilia-Romagna, territorio crocevia delle linee di comunicazione tra nord e sud, caratterizzato da una quantità di hub logistici, secondo i dati INAIL – Assessorato alla Sanità Regione Emilia-Romagna, diffusi ad Ambiente e Lavoro 2022, nel 2021 su 74.066 infortuni totali denunciati 1574 hanno visto coinvolto un mezzo di trasporto (2,13%) e 9458 sono accaduti in itinere (12,77%). Ma sulle 110 denunce totali di infortuni mortali, 23 coinvolgevano un mezzo di trasporto, e 29 sono accadute in itinere: complessivamente dunque il 47,27%, quasi la metà degli eventi mortali.

Se poi si passa ad esaminare gli infortuni riconosciuti e indennizzati, e le loro conseguenze, emerge che gli infortuni in itinere e quelli in occasione di lavoro con mezzi di trasporto (e talora senza) presentano più spesso percentuali di danni permanenti più elevate rispetto agli altri infortuni, e con la differenza che aumenta parallelamente al grado di menomazione, fino agli esiti mortali.  

Per chi avesse curiosità (e pazienza …), di verificare la precedente affermazione, e volesse anche conoscere i dati sulle conseguenze di tutti gli infortuni, non solo in itinere o legati alla circolazione, in questa tabella del sito dell INAIL troverà i dati relativi a numero eventi indennizzati e conseguenze nel quinquennio 2017 – 2021. In questa seconda tabella, detti dati, relativi agli anni 2019 (pre-pandemico, e quindi “normale”) e 2021, sono stati arricchiti con il calcolo delle percentuali.

Qualche dato più recente? Si osservino gli ultimi dati disponibili (fonte Open Data INAIL al 13 ottobre 2022), da prendere con la massima cautela perché non consolidati e spesso spurii (tale per motivi tecnici che non è possibile spiegare qui)

Cause prossime e cause sistemiche

Distrazione alla guida, mancato rispetto della precedenza e velocità troppo elevata rappresentano il 39% delle cause di incidenti stradali. Sonnolenza e stanchezza sono associate a circa 1/5 degli incidenti stradali. Gli studi evidenziano che stare svegli per 24 ore induce errori alla guida simili a quelli commessi da chi ha livelli di alcool nel sangue uguali o superiori a 1,00 g/l.

Abbiamo quindi a che fare, come in tutti gli altri infortuni, in misura larghissimamente prevalente, non con malfunzionamenti dei veicoli, ma di comportamenti errati, spesso in violazione delle norme del Codice della Strada: dolosi, oppure colposi nell’accezione di colpa del Codice penale, articolo 43, “negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline”.

Attenzione: Normalmente il comportamento colposo, o comunque errato, di chi si infortuna non fa venir meno la tutela dell’evento come infortunio sul lavoro; la tutela è esclusa solo in caso di dolo. Sull’infortunio in itinere tale regola ha invece la sua eccezione; la guida senza la “prescritta abilitazione di guida”, gli eventi “cagionati dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni” non sono considerati infortuni sul lavoro; qualche giurista parlerebbe di dolo eventuale, qualche altro, con riferimento all’assicurazione INAIL, del cosiddetto rischio elettivo, cioè quello che la persona assume volontariamente per finalità ed elementi estranei al lavoro. È evidente che questa esclusione si fonda sulla accertata maggior rischiosità di tali comportamenti; peraltro, il confine tra rischio elettivo, che esclude la tutela INAIL, e colpa che invece la mantiene, è spesso labile, ma le distinzioni si fanno in punta di diritto e caso per caso, e non è possibile qui approfondire.

Esistono peraltro anche comportamenti virtuosi che vanno oltre gli obblighi normativi: si tratta delle varie tecniche di Guida sicura, o di Guida difensiva, volte ad aumentare la preparazione degli operatori e la capacità delle aziende di trasporto di ridurre il rischio stradale. Oggi, infatti, l’abilitazione alla guida di un autoveicolo è conferita a chiunque superi un esame che verifica essenzialmente la conoscenza delle regole del Codice della Strada ed una sufficiente abilità nella conduzione del veicolo stesso.  Quest’ultima però è valutata per brevi periodi e in contesti, di solito, ordinari, comunque non rappresentativi di tutte le difficoltà, anche normali, che si possono presentare a chi guida. E ciò anche se le recenti innovazioni tecnologiche, ed una accresciuta attenzione alla sicurezza, stanno generalizzando i sistemi di guida assistita nei veicoli di nuova costruzione.

Se i comportamenti errati sono la causa prevalente dell’infortunio, numerosi sono i fattori che aumentano il rischio della circolazione, di cui gli infortuni sono la conseguenza. Intanto vi sono fattori climatici, quali il caldo, la radiazione solare, la luce eccessiva o troppo scarsa, la nebbia che riduce la visibilità, la pioggia, la neve o il ghiaccio che rendono scivolose le superfici su cui si circola. A questi si aggiungono tutti quegli elementi socio-economici, non naturali, che aumentano la circolazione delle persone, soprattutto quella stradale. Vediamoli in estrema sintesi:

Le delocalizzazioni ed esternalizzazioni produttive, le imprese reticolari con filiere sempre più lunghe e transnazionali (è presto per dire se le conseguenze del conflitto in Ucraina accorceranno realmente dette filiere), implicano un sempre maggior flusso di traffico merci, sulle vie di circolazione; e quanto più la struttura produttiva è dispersa, tanto maggiore è il traffico stradale (e non solo in Italia).

La produzione snella, just in time, ha eliminato il magazzino nelle aziende: il magazzino oggi viaggia sui camion che collegano fornitori e subfornitori, e con esigenze di celerità accresciute, il che significa più velocità, turni di guida più lunghi, maggiore usura dei mezzi, maggior logorio di chi li conduce. Si tenga anche presente che, come lamentato spesso dai sindacati e dalle organizzazioni datoriali del settore, la normativa UE consente l’attività in Italia di imprese di trasporto straniere, di fatto dell’Europa dell’Est, le cui condizioni contrattuali, (si applicano quelle del paese sede dell’azienda) sono diverse e peggiori, specie con riguardo a orari e turni; e questo senza ricorrere a comportamenti illeciti, che pure esistono, e nonostante la vigilanza della polizia Stradale e delle altre Forze dell’Ordine.

È noto lo sviluppo degli acquisti on line con relative consegne a domicilio, spesso con tempi ridotti e a cottimo; ciò non solo aumenta quantitativamente il rischio della circolazione, ma vi aggiunge un nuovo elemento, cioè la necessità di una continua consultazione di un tablet, e non solo dell’uso di un telefono cellulare, necessità che è fonte di distrazione e comunque di maggior intensità e fatica della prestazione. I lunghi viaggi, quando la solitudine si fa sentire, oggettivamente spingono ad un uso del cellulare, che comunque è sempre un fattore di distrazione anche per percorsi più brevi; sul punto rinvio a https://www.sicurauto.it/news/codice-della-strada/distrazioni-alla-guida-46-mila-multe-in-ue-per-cellulare-in-7-giorni/, ed alle indagini ivi richiamate.

Per quel riguarda gli infortuni in itinere, le persone si spostano sempre di più, e di solito con un mezzo privato, almeno qui in Italia, sia per la delocalizzazione produttiva e la dispersione dei luoghi di lavoro sul territorio (luoghi in cui magari anche la durata della giornata lavorativa si dilata …), ma anche perché anche i luoghi dell’abitare si disseminano disordinatamente sul territorio (il cosiddetto sprawl urbano), e sono diversi e lontani da quelli in cui si lavora, si studia, si va a far compere: e sono note le statistiche su quante ore chi usa l’auto per andare al lavoro passa alla guida, specie nelle grandi città. Per questo tipo di infortuni, il rischio è funzione certo della natura, montuosa o collinare o di pianura, del territorio: ma contano le scelte urbanistiche, il governo del territorio stesso, la politica dei trasporti; meno si circola e meno grave è il rischio, come gli anni della pandemia hanno dimostrato, qualche che sia lo stato (ottimale o meno) dei sistemi di trasporto, della viabilità su strada e delle condizioni di sicurezza dei mezzi. E sarà interessante verificare l’impatto che le crescenti forme di smart working, o lavoro agile, avranno nel ridurre il rischio da circolazione.

Quella dello smart working è tematica che richiederebbe un approfondimento a parte, e non solo circa gli infortuni in itinere: ma è fattispecie recente sulla quale non mi risultano esistenti statistiche ed approfondimenti. Mi limito quindi a ricordare che la tutela INAIL è assicurata, in linea generale, dalla legge 81 del 2017, all’art. 23, cui è seguita la specifica circolare INAIL 48/2017. Per l’infortunio in itinere, in particolare, il comma 3 del suddetto articolo recita:

“Il lavoratore ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, nei limiti e alle condizioni di cui al terzo comma dell’articolo 2 del testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro  gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, e successive modificazioni, quando la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza”.

Da un lato si confermano le regole preesistenti, dall’altro si introducono i concetti di esigenze connesse alla prestazione, e quello della conciliazione di esigenze di vita e lavorative. Ma questa è un’altra storia …

Maurizio Mazzetti, laureato in giurisprudenza e specializzato in Relazioni Industriali e del Lavoro, è stato dirigente INAIL dall 1999 al 2021. Con Costantino Cipolla e Lamberto Veneri ha curato il volume “Sicurezza e salute sul lavoro. Quale cultura e quale prassi?” (Franco Angeli, 2015).

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