La vicenda è ormai nota ai più e non riguarda direttamente il deputato, ma la sua famiglia. In particolare la suocera, Marie Therese Mukamitsindo, è indagata dalla procura di Latina per malversazione. Il fascicolo riguarda le cooperative Karibu e Consorzio Aid di cui è alla guida. All’Ispettorato del lavoro sono in corso accertamenti sulle posizioni dei dipendenti, già emersi 400mila euro (a cui si sommerebbero mancati versamenti al fisco per oltre un milione di euro), mentre sono in via di accertamento le denunce relative a lavoratori in nero a cui sarebbero state chieste fatture false.
Fin qui i fatti giudiziari che, vale la pena ripeterlo, non coinvolgono in prima persona Soumahoro. E questo è un primo elemento di cui tenere conto nella vicenda. Nell’ordinamento giuridico italiano, infatti, la responsabilità penale è individuale e non esiste una fattispecie di reato che determini una colpa nell’essere parente di una persona indagata per presunti illeciti.
Tuttavia il campo in cui le cooperative operano, l’immigrazione, è fortemente simbolico in relazione a Soumahoro stesso. Il deputato, infatti, è nero, di origine ivoriana, ma soprattutto è balzato agli onori delle cronache per le sue battaglie sindacali in difesa dei braccianti stranieri sfruttati nei campi italiani.
In realtà quelle emerse negli ultimi giorni non sono le uniche criticità attorno alla figura di Soumahoro. Alcuni fondatori, insieme all’attuale deputato, della Lega Braccianti, Sambare Soumaila e Alfa Berry, puntano il dito contro la gestione di alcuni fondi raccolti per i braccianti, ma di cui solo una parte sarebbe finita effettivamente per la causa per cui era stata avviata la raccolta. Gli stessi sono stati espulsi una volta chiesto l’accesso ai dati sui conti.
Qualcuno era già rimasto interdetto per l’uscita di Soumahoro da Usb per formare la Lega Braccianti una volta ottenuta una forte visibilità mediatica, ma anche questo non costituisce reato.
L’elezione alla Camera di Soumahoro ha avuto un forte significato simbolico, sia per il colore della sua pelle, in un Paese che mantiene ancora forti connotazioni razziste, ma soprattutto per la ragione per cui ha ottenuto la visibilità: la lotta contro lo sfruttamento e il caporalato.
Il sindacalista ha difeso gli ultimi degli ultimi, persone che anche la sinistra istituzionale sembra avere dimenticato, denunciando lo sfruttamento lavorativo e razzializzato che non è un’anomalia o un caso isolato, ma è la base stessa di una grossa fetta del sistema produttivo agroalimentare del nostro Paese.
Il suo ingresso a Montecitorio con gli stivali sporchi di fango, nel giorno dell’insediamento come parlamentare, è stato un gesto teatrale altrettanto simbolico, che al contempo però ci ha raccontato dello stile comunicativo che il deputato ha adottato da un certo momento in poi, più o meno in corrispondenza con la notorietà mediatica arrivata presenziando nel salotto del programma televisivo di Diego Bianchi, Propaganda Live.
Dagli scioperi e dai cortei, l’azione politica di Aboubakar Soumahoro si è spostata molto davanti alle videocamere e sui social e questo è un elemento di cui occorre tenere conto.
Acquisita visibilità e diventato simbolicamente il difensore degli oppressi, Soumahoro ha attirato su di sè l’attenzione della destra che, dal caso Boffo in poi, ha un preciso modus operandi nei confronti di chi denuncia i soprusi e le storture del sistema socio-economico in cui ci troviamo.
La macchina del fango è sempre pronta, ma il pantano non è quello sugli stivali dei contadini. Le rodate operazioni mediatiche di quotidiani come “La Verità”, “Libero” e “Il Giornale” hanno un armamentario ormai noto. In particolare, prendono di mira personaggi ed esponenti politici che hanno fatto dell’etica e dei diritti una bandiera, cercando appigli per dimostrare che in realtà “predicano bene e razzolano male” oppure “voglio dare lezioni” senza poterselo permettere.
Lo scopo ultimo di queste campagne mediatiche è legittimare l’esistente squalificando chi ne denuncia le problematiche.
Questo ed altri metodi della destra, però, non sono una novità. E chi fa politica dovrebbe conoscerli ed essere pronto a controbattere. Ed è qui, invece, che si è palesata una gestione a dir poco disastrosa della vicenda.
Sul piano politico le colpe vanno divise a metà tra il deputato stesso e i suoi partiti di riferimento.
In particolare, Soumahoro ha trascurato un dettaglio non irrilevante: se scegli di fare politica e imposti il tuo operato sul piano ideale (per i diritti, contro l’oppressione, ecc…) devi assicurarti che tu e la tua cerchia siate puliti. Qualora così non fosse, la migliore arma è la trasparenza, perché nella politica di oggi anche solo un dubbio equivale a una condanna.
Ed è proprio una risposta pronta e trasparente che è mancata da parte di Soumahoro nel momento in cui sono emerse le questioni giudiziarie che investivano le società della suocera. I temporeggiamenti e le omissioni hanno alimentato il dubbio che ci fosse qualcosa di vero, ma soprattutto che il deputato ne fosse in qualche modo a conoscenza e abbia taciuto. In casi come questi, se si agisce in buonafede, è invece necessario prendere pubblicamente le distanze e mostrarsi inflessibile con i propri parenti così come lo si è fatto contro gli sfruttatori.
Anche i partiti che hanno candidato Soumahoro hanno una grossa fetta di responsabilità nella gestione del caso. Innanzitutto è apparso evidente che la sua candidatura alle ultime elezioni politiche sia avvenuta proprio per la notorietà e la visibilità mediatica che aveva e per il forte carattere simbolico che il sindacalista incarnava.
Ciò rappresenta un primo cedimento all’egemonia culturale della destra, perché la politica impostata sui personaggi più che sulle cause, in Italia, è stata inaugurata dal berlusconismo ed è stata intepretata in diverso modo nei decenni successivi.
Si prendano in esame i personaggi mediatici che sono balzati sotto i riflettori della politica attraverso una forte personalizzazione, come Matteo Renzi, Matteo Salvini o Carlo Calenda: si può dire che qualcuno di questi rappresenti minimamente un’alternativa?
Una volta scoppiato il bubbone, però, i leader di Sinistra Italiana e Verdi, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, hanno fatto pure di peggio. Prima hanno temporeggiato e successivamente hanno fatto la voce grossa contro Soumahoro stesso, ventilando una possibile espulsione o sospensione da un partito a cui il deputato non risulta nemmeno iscritto. Così facendo, però, si sono confermati implicitamente i sospetti e si è avallata la macchina del fango della destra.
In altre parole, Fratoianni e Bonelli hanno dimostrato di aver utilizzato Soumahoro come specchietto per le allodole per rendere più digeribile al proprio elettorato l’alleanza con il Partito Democratico, salvo poi mostrare imbarazzo ed essere tentati di scaricarlo una volta scoppiato il caso. In altre parole, non vi è stata un’accurata selezione nelle candidature, la posizione del sindacalista non è stata passata al setaccio. Perché altrimenti sarebbero emerse le ombre precedenti di cui abbiamo accennato.
C’è però un ulteriore livello su cui si può riflettere, che è quello mediatico. Da un certo punto in poi, come si accennava, la comunicazione e la condotta politica di Soumahoro sono cambiate. Più precisamente quando da sindacalista che organizzava scioperi e proteste dei braccianti africani, è diventato un personaggio televisivo.
La scelta, perché di questo si tratta, di personalizzare una battaglia, anteponendo una singola persona alla collettività per cui si batte, così come la scelta di abbandonare il mondo dei movimenti nello stesso momento in cui si mette piede in un salotto televisivo, dovrebbe comportare la consapevolezza di stare giocando sul terreno dell’avversario e che si è rinunciato a lavorare per un’alternativa sul terreno della comunicazione politica.
Una volta esploso il caso della suocera, la risposta mediatica di Soumahoro non è arrivata davanti a giornalisti, a cittadini o agli elettori del suo partito, ma attraverso un video altrettanto teatrale pubblicato sui social.
In questo video Soumahoro ha mostrato se stesso in un pianto isterico a favore di telecamera e per lunghi minuti si è speso in un fiume di parole che non ha contribuito il alcun modo a chiarire la vicenda delle società della suocera, né a prenderne le distanze.
Sul piano della comunicazione, anche questa modalità segna una vittoria culturale della destra. Il linguaggio votato ad un’amplificazione artefatta delle emozioni, la disintermediazione dai luoghi in cui rendere conto, fanno parte del lessico della destra, ben incarnato dai programmi televisivi di Barbara D’Urso. Ancora una volta, però, non rappresentano l’alternativa.
questo articolo è stato pubblicato su Radio Città Fujiko il 24/11/22