I fatti emersi in questi ultimi giorni sulle atlete azzurre di ritmica sportiva definite da qualche tempo “le farfalle” ci raccontano tanto; è solo un puntina di un iceberg che dovrebbe essere maggiormente indagato, ma soprattutto più controllato. Probabilmente fra qualche giorno si dimenticherà.
Tanti sono i settori implicati in questa triste vicenda.
Certamente la condanna per un sistema sportivo ancora troppo autoreferenziale che ha sempre voluto mantenere e vuole tuttora mantenere la sua autonomia, di formazione, di controllo ante e post eventi, di giudizio: mi riferisco al poco controllo sulle competenze tecniche e sull’etica professionale dei lavoratori sportivi; agli organi di giustizia che spesso avvallano situazioni ritenute reati dall’ordinamento giuridico ordinario.
C’è poi la riflessione da fare sul sistema comunicativo che, come ormai succede in tutti i settori delle nostre società, esalta gli eventi sportivi, soprattutto di alto livello e spesso nasconde o dà un minor spazio alle notizie negative emergenti dallo sport.
Si crea così un immaginario sociale particolare, composto di luci, di lauti compensi, di medaglie, insomma di eroi sportivi portati per un brevissimo periodo alla ribalta mediatica. Del resto, lo sport si è sviluppato come divertimento, loisir o leisure, tempo libero…e si comunica questa bellezza e gli aspetti positivi, lo sport: fa bene alla salute; educa; socializza; è divertente. Però è costituito anche da altre immagini: lo sport è sacrificio; solo l’applicazione quotidiana ti può portare al vertice; devi seguire ciò che ti dice l’allenatore (anzi il coach, il Mister…), il suo è il Verbo; non sei adatto per continuare in questa squadra, ci sono altri migliori di te…
In questo circo poi ci sono i genitori, accompagnatori ormai abituali nella nostra società agli allenamenti e alle partite (diventano spesso genitori tesserati-accompagnatori) che, anche se non credono in fondo alle possibilità di avere nella figlia una futura campionessa o nel figlio un futuro campione, lo assecondano dopo la stessa scelta di disciplina sportiva, magari derivante da un loro adolescenziale sogno nel cassetto.
Sono e, per esperienze personali anche di cinquant’anni fa, erano i primi ad infondere nei figli l’idea di aver bisogno di “integratori” (allora c’erano barrette di Ovomaltina o prodotti simili; oggi c’è ben altro!). Da qui il passaggio all’idea e poi all’uso di doping per emergere è brevissimo.
Gli stessi genitori che acconsentono che l’allenatore sottoponga adolescenti a turni di allenamento settimanali più alti delle 36 o 40 ore svolte da un comune lavoratore. Così lessi il programma settimanale e calcolai qualche anno fa i tempi dell’impegno (tra allenamenti e scuola) di una ragazza di prima superiore. Tutti i giorni si allenava ad intensità diverse, con un impegno di almeno due-tre ore. In primavera, momento in cui le fragilità possono venire alla luce più facilmente, si fece male durante le ore di palestra per un salto con la funicella. Dalla madre mi presi improperi notevoli, perché avevo danneggiato la figlia che doveva gareggiare ai campionati italiani, non avrei dovuto valutarla su ciò!
Con questo esempio posso chiarire bene il riconoscimento che oggi c’è per il professionista di educazione fisica scolastico rispetto alla figura dell’allenatore; conoscendo e vedendo i problemi scolastici avevo chiesto un prospetto settimanali degli allenamenti; l’allieva era stressata, era molto disattenta più interessata a scambiare con le amiche altri interessi e meno a studiare e a fare attenzione e così organizzarsi meglio, visti gli impegni sportivi. La madre mi rimproverò anche di avere chiesto il programma settimanale degli allenamenti che la ragazza faceva.
L’ignoranza culturale porta a questi eccessi; infatti, spesso nessuno nel mondo sportivo si chiede come mai succede un infortunio. Le cause possono essere fortuite, ma derivano nella maggioranza dei casi da situazioni di stress. Per lo sport lo stress non ha rilevanza soltanto psichica, ma soprattutto fisica. Il rapporto fra mente e corpo si vede invece bene in questi casi; la mente dev’essere intesa nelle due sue componenti, intellettiva e psichica o, se si vuole razionale ed irrazionale. Spesso gli infortuni sportivi succedono alla fine di allenamenti molto intensi o di gare faticose. Sono i momenti in cui l’atleta, sfinito si sta per rilassare, perché sa che l’attività finisce. Questi momenti di “fragilità” spesso vengono sommati in una programmazione sbagliata che non tiene in poco conto delle fasi di recupero; per gli adolescenti devono essere conteggiate anche le ore degli impegni scolastici. Diverse erano le mie attenzioni per giovani cestiti che allenavo, come lo sono quelle di molti allenatori. Quarant’anni fa facevamo solo tre allenamenti alla settimana e poteva capitare anche la partita! Era così ed atleti anche di alto livello esistevano. Chi poi faceva un altro sport lo esentavo da un allenamento; mi ha sempre interessato formare la persona che è anche atleta, per me c’era prima di tutto la scuola.
Oggi i giovani che fanno sport sono alla mercé di due situazioni: i corsi sportivi di due lezioni a settimana, che allenano ed insegnano per la verità poco con istruttori spesso giovani ex atleti; aiutano a scegliere atleti per quello sport, allora si chiede fin da piccoli di impegnarsi con allenamenti più frequenti. Da qui poi i giovani sono sottoposti ad allenamenti esasperati per essere pronti nelle gare delle diverse categorie giovanili. Ciò produce una corsa verso la specializzazione e la rincorsa verso risultati che spesso sono dovuti soltanto ad una maturazione fisiologica precoce rispetto ai pari età. In questo momento un ruolo importante lo giocano anche i genitori sugli spalti e a casa. Rispetto alle denunce di questi giorni che differenza c’è fra dire: “attento mettilo a terra sta andando verso la porta…”, oppure: “ha ragione il tuo allenatore, devi calare di peso se vuoi vincere…”? Rilevo sempre la stessa mancanza educativa da parte del genitore e di molta parte dell’ambiente sportivo. Sentire da un giurista che può diventare penalmente inquisito anche l’adulto, mi fa solo piacere, se serve poi ad invertire questa situazione.
Quindi il tema emerso in questi ultimi giorni nei confronti di ragazzine portate verso modelli anoressici costituisce soltanto la punta di un iceberg,
C’è molto da indagare nello sport italiano che non si preoccupa della specializzazione precoce causata dal sistema stesso, ma si preoccupa invece dell’abbandono dello sport, senza appunto autovalutarsi pienamente. Una sociologa spagnola, ex nazionale di sci, ricordava che in adolescenza l’abbandono sportivo non deve costituire un problema, perché è un elemento di maturità da parte di un giovane che sta cercando altri interessi nella società.
Guardando le statistiche italiane, non quelle CONI, questi abbandoni sono spesso solo temporanei, perché coloro che sono stati educati bene allo sport qualche anno dopo riprendono a fare attività per divertimento e salute. Per essere educati bene finora c’è stata la scuola. Non so se in futuro esisterà ancora.