Acque sempre più agitate e torbide intorno al governo di Pedro Sánchez. Anche in Spagna fattori dirompenti quali, prima, la pandemia e poi, dopo, la guerra Russia-Ucraina per interposta Nato hanno sconvolto gli scenari precedenti e sparso zampilli infuocati tutto intorno.
Il clamoroso voltafaccia di Sánchez rispetto al Sahara occidentale, in marzo, e, in aprile, lo scoppio del ciber-scandalo legato al programma di spionaggio israeliano Pegasus, hanno gettato ancor più benzina sul fuoco mettendo a rischio la sopravvivenza della coalizione PSOE-Podemos e del governo nonché l’impegno più volte ribadito dal premier di arrivare alla scadenza naturale della legislatura alla fine del 2023.
Non è ancora chiaro se ci sia un nesso preciso, e quale, fra il “timing” dell’esplodere di questi due casi con gli sconquassi provocati sullo scenario dei rapporti internazionali dalla crisi ucraina. Di certo il “timing” fa pensare.
Il capovolgimento secco, dopo quasi mezzo secolo, della storica posizione di Madrid sul Western Sahara, annunciato da Sánchez al re del Marocco Mohammed VI con la lettera del 14 marzo, forse era un giro di 180 gradi per ragioni di realpolitik o forse era la conclusione di un cammino intrapreso da tempo. Con tanti saluti al Fronte Polisario e al referendum sull’indipendenza sostenuto dall’ONU. Il piano proposto dal Marocco nel 2007 (una limitata autonomia della regione sahariana all’interno del regno marocchino) e via via sostenuto dagli Stati Uniti di Trump, poi da Germania e Francia, anche per Sánchez è divenuta “la base più seria, realistica e credibile” per la soluzione dell’annoso conflitto sahariano. Flussi migratori attraverso le due enclave spagnole di Ceuta e Melilla in terra nord-africana e il braccio di mare verso le Canarie (un milione di marocchini in Spagna), scambi economici (il Marocco è il maggior partner commerciale della Spagna)? Certo. E così Sánchez si è accodato. La politica è crudele. Ma lui e i socialisti si sono ritrovati soli e anche Podemos come la grande maggioranza delle Cortes: tutti contrari alla svolta.
Poi, la storiaccia di Pegasus. La scoperta che grazie a questo grazioso marchingegno israeliano, qualsiasi telefono può essere intercettato. E così i sevizi segreti hanno spiato 65 esponenti indipendentisti catalani e baschi fra il 2017 e il 2020 in piena bagarre Barcellona-Madrid. Piccolo particolare: quegli stessi indipendentisti che alle Cortes sostengono ora il governo Sánchez. Apriti cielo. Salta la testa della dirigente dei servizi segreti (CNI), gli indipendentisti si accontentano. Ma ecco che salta fuori che il curioso Pegasus ha intercettato anche i telefoni di Sánchez e dei ministri degli interni e della difesa… Nientepopodimeno. Chi spia chi? E per conto di chi?
Una brutt’aria. Lotte di potere dentro il PSOE. Contrasti sempre più profondi con Podemos sui carichi d’armi all’Ucraina, l’aumento delle spese militari imposta dalla Nato e dalla UE, il cambio di cavallo sul Sahara, l’inflazione al 10%. Contrasti che fanno passare in secondo piano anche le cose buone di questo governo. Come la riforma del lavoro.
Intanto i sondaggi dicono che il Partito Popolare ha recuperato sui socialisti, e che Podemos arranca. Le prossime elezioni autonomiche in Andalusia, fissate per il 19 giugno, assumono i contorni di un test durissimo: popolari probabilmente di nuovo vincitori in quello che per 30 anni è stato “il granaio di voti” per la sinistra, e probabilmente di nuovo al governo a Siviglia con i franco-fascisti di VOX.