Nell’elenco dei provvedimenti collegati alla legge di bilancio contenuto nella Nota Aggiuntiva al Documento di Economia e Finanza 2021, approvata dal Governo il 29 settembre 2021, è inopinatamente comparso, introdotto in ultimo dalla solita manina, il disegno di legge contenente “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’articolo 116, comma 3, Costituzione”.
Come tutte/i sanno, l’art. 116, comma 3, Costituzione prevede, tra le ben 23 materie sulle quali alle regioni ordinarie «possono (non debbono!) essere attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia», anche «la tutela della salute». Con l’autonomia differenziata, si conferirebbe alle Regioni potestà legislativa esclusiva sulla tutela della salute (e sulle altre materie) sottraendola alla potestà concorrente del Parlamento, oggi competente per la determinazione dei principi fondamentali. In altre parole, si sancirebbe nella legislazione la suddivisione del Servizio sanitario nazionale in 19+2 Servizi sanitari regionali diversi, con caratteristiche di accesso diseguali per i cittadini, con “contrattualistiche” diseguali per i dipendenti e non coerenti neppure sui principi fondamentali. Sarebbe nei fatti espunta dall’ordinamento sanitario la legge n. 833/1978, a partire dai principi fondamentali come fissati nel suo art. 1: «Il servizio sanitario nazionale è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio. L’attuazione del Servizio sanitario nazionale compete allo Stato, alle regioni e agli enti locali territoriali, garantendo la partecipazione dei cittadini».
Tali principi fondamentali, sanciti dalla Costituzione, sono perseguibili solo con il Servizio sanitario nazionale pubblico, e solo se la potestà legislativa sulla tutela della salute rimane al Parlamento e il decentramento alle Regioni e agli Enti Locali Territoriali (cioè a Provincie, Comuni e Città Metropolitane) si attua non sul piano legislativo ma su quello amministrativo, di pari passo con la partecipazione dei cittadini. È dal decentramento amministrativo, spesso virtuoso e partecipato, e richiamato anche dall’art. 118, comma 1, Costituzione («Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza», che realizzano il classico criterio di ogni assetto organizzativo sanitario efficace: «decentra quando possibile, accentra quando indispensabile»), che non si può né deve tornare indietro.
Non procedo oltre ad argomentare con il richiamo ad altri articoli della Costituzione, dai primi 12, all’art.117, all’art. 119, importantissimo sul piano finanziario e per la sanità pubblica. Mi limito a osservare che l’azione politica del Governo Draghi e del ministro Speranza, nonostante l’ipocrisia delle continue dichiarazioni in senso contrario, comporta la demolizione del Servizio sanitario nazionale pubblico come si conferma nel fatto che, oltre al predetto disegno di legge sull’autonomia differenziata, con la stessa Nota aggiuntiva 2021, si anticipa/prevede una scandalosa riduzione di finanziamenti del SSN tra il 2021 e il 2024, addirittura in cifra assoluta e non solo in termini di incidenza su un PIL, comunque previsto in crescita (vedi tabella che segue).
Tale riduzione sarà resa ancor più devastante dalle previsioni/tendenze inflazionistiche che caratterizzano, secondo le autorità finanziarie e gli osservatori, la ripresa economica post Covid-19: quindi incremento dei costi di produzione dei servizi sanitari!
Nessun Servizio sanitario regionale pubblico, neppure quelli delle tre regioni forti che già hanno richiesto l’autonomia regionale (Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna), sarà in grado di finanziare il suo potenziamento come evidenziato necessario da Covid-19 e vagheggiato addirittura dal PNRR, e ci si troverà di fronte a un bivio: aumentare la pressione fiscale regionale, con l’inevitabile corteo di diseguaglianze, o lasciare via libera all’imprenditoria assicurativa e privata nella “copertura assistenziale” della salute, con l’altrettanto inevitabile corteo di diseguaglianze, che in sanità significano diversità di diritto alla vita in salute. La vicenda poli-decennale della sanità Lombarda e il vissuto quotidiano in tutte le regioni d’Italia ci dice già quale sarà la scelta!
È stato programmato e si persegue così il colpo finale al Servizio sanitario nazionale pubblico universalistico. Altro che “indizi” di privatizzazione! Lucido disegno di demolizione del SSN, strumento di tutela della salute uguale su tutto il territorio nazionale e “per tutte le tasche”, e sua sostituzione con un sistema in mano a oligarchie private e amministrazioni regionali compiacenti. È un disegno cinico, velleitario e fallimentare, se l’obiettivo è una sanità di qualità per tutti i cittadini, come la sindemia Covid-19 ha ampiamente dimostrato. Il mondo della Sanità pubblica italiana non lo può accettare. Ogni aspetto della sua articolatissima e sterminata organizzazione scientifica, culturale, professionale ne sarebbe travolta. Va fermato con una vasta mobilitazione dell’opinione pubblica e delle professioni sanitarie, nelle mille forme della loro vita organizzata. Quanti già in passato si sono battuti per il potenziamento del Servizio sanitario nazionale pubblico e contro l’autonomia differenziata è ora che si pronuncino.
Questo articolo è stato pubblicato su Volerelaluna il 7 ottobre 2021