Presentiamo, con un commento di Mariaenrica Giannuzzi, la voce “Aria” tratta dal testo Karen Pinkus, Carburanti. Dizionario per un pianeta in crisi, traduzione di Riccardo Donati e Caterina Ragghianti, Ombre Corte, 2021, pp. 53-59. Ringraziamo autrici ed editore
Un sogno. È il 19 settembre 1783 e ti trovi all’interno del palazzo di Versailles, in compagnia della corte. Ci sono anche Luigi xiv e Maria Antonietta. Se ti cerchi nel riflesso, qui nella Galleria degli Specchi, potresti anche riuscire a stabilire con esattezza il posto che occupi: come se fosse una mise-en-abyme (forse sto esagerando un po’con i cliché…). Magari stai pure indossando un abito d’epoca. O, piuttosto, un’anacronistica tutina aereodinamica concepita per garantire la massima comodità nei movimenti. O l’uno e l’altra, che importa, visto che i sogni consentono di farlo… Esci dal palazzo e raggiungi i giardini, proprio nel momento in cui i Montgolfier hanno terminato le manovre necessarie per il riscaldamento dell’aria. Inspiri: nessun odore di fumo residuo. Attenzione: i fratelli stanno decollando proprio ora, accompagnati da alcuni animali da fattoria. Insieme ai membri della corte – incuranti delle fasi preparatorie, pur così dispendiose da un punto di vista energetico – ti stupisci nel vedere il pallone fluttuare verso l’alto e poi ridiscendere in tutta sicurezza (nessun animale è stato maltrattato durante l’esperimento!). Può darsi invece che tu ti trovi nel cesto…. O forse no, stai simultaneamente guardando la scena dal basso e, allo stesso tempo, galleggi nel cielo…
Ecco, è ora di svegliarsi.
Col sogno della mongolfiera che fluttua liberamente in cielo ci siamo allontanati dallo sporco e difficile lavoro compiuto dalle industrie estrattive, un lavoro tanto decisivo da aver plasmato i comportamenti di massa degli abitanti del mondo intero. Siamo lontani, nel tempo e nello spazio, dallo sforzo industriale delle case automobilistiche (tanto influente da aver dato il nome a un intero paradigma socio-economico, il “fordismo”, con cui si designano non solo lo sforzo fisico richiesto dall’assemblaggio delle auto, ma anche i problemi relativi a salari e sindacati, sorveglianza e condizioni di vita, all’ideologia e persino al destino di alcune città oggi ridotte alla bancarotta o in via di rilancio), e di certo dal lavoro tout court.
Considerare l’aria come un carburante significa, nel nostro presente dominato dal carbonio, uscire dalla sfera dell’umano per entrare in un regno fantastico e utopico di carburanti ecologici e lavori green (qualunque cosa questo possa significare, dato che si tratta di impieghi svolti da una forza lavoro che ci viene presentata come multiculturale e però patriottica, cui viene chiesto di ricavare il proprio senso di appartenenza non dalla lotta contro il capitale ma dalla dedizione alla causa della Natura).
E dunque, cosa accadrebbe se potessimo sfruttare l’aria come carburante? Come l’acqua, l’aria è pulita, assolutamente rinnovabile e gratuita – quando parliamo di regolare i “diritti dell’aria” ci riferiamo in realtà a qualcosa che ha a che fare più con gli spazi urbani verticali che con un elemento fisico-chimico da imbrigliare, come si trattasse di cavalli, per produrre movimento. Nel tempo, l’aria ha alimentato vari dispositivi, incluse alcune delle macchine del mondo antico (gli automi o le statue semoventi di Erone di Alessandria) e, più tardi, gli orologi cittadini e i sistemi di frenaggio dei treni. L’aria fa sollevare i palloni – macchine volanti più leggere dell’aria – ma solo quando viene riscaldata. Nel tardo diciottesimo secolo i fratelli Montgolfier credevano di essersi impossessati di un nuovo elemento (“il gas dei Montgolfier”) conservato all’interno di una busta di carta riempita d’aria calda. In seguito, i loro compatrioti sostituirono l’aria (la quale raffreddandosi molto in fretta costringeva il pallone a scendere verso terra) con l’idrogeno (che non esiste in una forma immediatamente pronta per essere utilizzata, dovendo essere creato attraverso un processo energetico). Inoltre, non abbiamo ancora detto niente circa i carburanti utilizzati nella fabbrica di carta dei suddetti fratelli, necessaria per produrre la loro grande borsa – il ballon: una serie di ragioni per cui l’aria non può legittimamente essere considerata come “carburante primario” dei viaggi in pallone. E poi, non dimentichiamolo, una volta in volo, le mongolfiere sono guidate dal vento, cioè da qualcosa di diverso dall’aria.
L’isola misteriosa di Verne inizia con Cyrus Smith e i suoi che fanno un balzo dentro il cesto di una mongolfiera piena d’aria ormeggiata in una piazza di Richmond, in Virginia (città che fu, durante la Guerra Civile Americana, di orientamento abolizionista). Per partire gli eroi di Verne non hanno neppure bisogno della combustione: la sola cosa che devono fare è allentare le corde che impediscono al pallone di galleggiare nell’aria; del resto poi si occupano i venti eccezionalmente forti che soffiano in quel momento… Non c’è che dire, proprio una tempesta coi fiocchi…
ATTENZIONE! INTERROMPIAMO QUESTO DIZIONARIO CON UN’EDIZIONE STRAORDINARIA DEL NOTIZIARIO METEOROLOGICO. ALLERTA METEO PER IL 23 MARZO 1865:
Nessuno può aver dimenticato il terribile uragano di nord-est che si scatenò durante l’equinozio di quell’anno, nel corso del quale il barometro precipitò a settecentodieci millimetri. Durò ininterrottamente dal 18 al 26 marzo. Provocò distruzioni immani in America, Europa e Asia […] Città distrutte, foreste sradicate, coste devastate da onde grandi come montagne d’acqua, imbarcazioni rigettate a riva a centinaia […] Fu più micidiale di quelli che devastarono in modo così spaventoso l’Avana e la Guadalupa, uno il 25 ottobre 1810 e l’altro il 26 luglio 1825 (Verne 1999, pp. 35-36).
A parte il design futuribile, però, come accade per gli orologi, i freni o i fucili, l’aria necessaria a far muovere un veicolo deve prima essere compressa dalla forza umana, dal vapore, dal legno o dall’elettricità.
In Parigi nel xx secolo, Jules Verne immagina un parigino del 1960 che a sua volta immagina un parigino del 1880 il quale, viaggiando nel futuro, scrive un reportage, destinato a un lettore immaginario, sulla rete ferroviaria sotterranea della città, alimentata ad aria compressa, regolata da valvole e guidata da un elettro-magnete. Niente fumo. Niente fuoco. Nessuna collisione. Ma anche la Parigi del ventesimo secolo è ben lontana dal funzionare grazie a un unico carburante. Le luci sono alimentate dall’elettricità, che giunge attraverso cavi sotterranei, sebbene “qualche bottega più retrograda restasse tuttavia fedele al vecchio gas di idrocarburi” (Verne 2012, p. 24). La scoperta di nuove miniere di carbone fossile ha reso questo combustibile estremamente economico ma… niente paura! La compagnia del gas ancora riesce a far profitti niente male vendendo le sue valvole ad aria dilatata come “agenti meccanici” (Ibidem).
Le vetture a cavallo ancora esistono, sia pure in numero ridotto, e dividono la strada con gaz-cabs equipaggiati con motori a combustione interna (“nessuna caldaia, fornace o carburante”) del tipo inventato in un lontano passato da Lenoir. L’idrogeno, disponibile nelle stazioni di servizio, procura la scintilla propulsiva.
La Parigi del futuro, dove le discipline tecnologiche – le cosiddette STEM: Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica – hanno ormai cancellato quasi del tutto le scienze umane dal curriculum universitario, è tutt’altro che un luogo perfetto. La città è assediata da un freddo tremendo e il protagonista, ridicolizzato dalla sua famiglia (e non solo perché interessato alle lingue antiche), si trova costretto a ingurgitare cibo sintetico derivato dal carbone.
L’ingegnere francese Cyril Guy Nègre ha di recente sviluppato delle automobili ad aria compressa da usare in città. Il cosiddetto Airpod è una panciuta due posti che sembra uscita direttamente dal taccuino di uno scenografo di fantascienza, e allo stesso tempo richiama certe microvetture (bubble cars, in inglese) del secolo scorso. L’Airpod può essere costruito utilizzando fibra di vetro e resina di poliestere, oppure anche polistirolo, in modo da ottenere la massima efficienza; nonostante un design futuristico e moderno, è pensato per una mobilità autonoma e immediata (ancorché limitata). Pertanto si colloca, nell’ottica del presente dizionario, in sostanziale continuità con il mondo attuale.
Riassumendo: l’aria può dunque, qui e adesso, funzionare come carburante, ma solo in seconda battuta, solo attraverso l’impiego di un altro carburante. Dietro il guscio pulito ed ecologico delle vetture ad aria compressa (o quelle a idrogeno, o le elettriche) si nascondono oscuri segreti. Il fatto è che in tutti questi casi la fonte delle emissioni è stata soltanto spostata da un luogo a un altro: dal tubo di scappamento – si pensi alla grafica dei pennacchi di fumo che a lungo hanno significato velocità e potenza – verso, poniamo, una centrale elettrica; esattamente allo stesso modo in cui, nei congegni a moto perpetuo, l’inizio del movimento è spostato nel tempo in modo che la macchina sembri funzionare da sola. Anche i raffinati automi, del resto, eseguivano i loro rituali meravigliosi dopo esser stati caricati fuori scena. Piano piano, perdevano la loro vitalità e restavano così, moribondi, a fissare il principe di turno (a meno che non venissero portati via in tempo).
Se con “carburante” intendiamo designare una “materia prima” o un “primo mobile”, allora l’aria può essere considerata un carburante – almeno al giorno d’oggi, nel nostro presente al carbonio – soltanto nelle nostre fantasie.
In vari testi premoderni, piuttosto che avere un significato forte di per sé, la parola “aria” è stata modificata dal termine “ambiente”. In un saggio intitolato Milieu and Ambience, Leo Spitzer ricorda come con il termine “aria” si designasse tutto ciò che ci circonda o circola intorno a noi. Per alcuni pensatori, dunque, l’aria non aveva tanto a che fare col “clima” quanto con lo spazio fisico, e percettivo, dove si collocano gli atomi (cfr. Spitzer 1968, p. 181). L’aria insomma come qualcosa che avvolge (sebbene in latino questa concezione comporti meno risonanze che in greco). Per i sostenitori del vitalismo materialistico, l’aria è probabilmente qualche cosa di significativo. Possiede uno spessore, vibra, racchiude o abbraccia l’essere umano avendo anche le proprietà necessarie alla vita.
Alcuni testi poetici per musica – alquanto inconsistenti – sono chiamati “arie”. Può un testo poetico servire da carburante? Certo, le parole hanno trasformato la materia inerte in materia vitale, hanno trasmutato metalli sterili in grembi fertili che emanano energia, come Blaise de Vigenère riconosce nel suo trattato secentesco sul fuoco e il sale, un testo ibrido che è a un tempo prosa filosofica, libro di ricette, manuale di istruzioni per esperimenti fisici e chimici. De Vigenère riconosce la natura moribonda dei metalli. Di sicuro, per molti scrittori della prima modernità la differenza tra “metalli” ed elementi successivamente impiegati come carburanti è minima, o inesistente. Entrambi possono essere classificati come materia morta, “ma i poeti d’altro canto se ne sono serviti per vari tipi di metafore e figure retoriche”. (De Vigenère 1976, p. 123). È il caso di dire che il parlare figurato ha delle proprietà in comune col carburante? E se sì, saremmo allora autorizzati a formulare l’analogia che segue: l’energia è un discorso (langue) punteggiato di carburanti metaforici? In quest’ottica, l’energia potrebbe essere concepita come una struttura scientifica che lavora per la comunicabilità assoluta. Il discorso scientifico (che stiamo considerando come equivalente dell’energia) mira invece ad eliminare dal suo vocabolario e dalla sua sintassi tutto ciò che si qualifica come figura retorica.
Ma sfortunatamente (se vediamo la cosa dal punto di vista dominante), l’energia è costretta a dipendere dai carburanti per correre e mettersi in moto. “Però un giorno” – questo, immaginiamo, è il sogno dell’energia stessa – “la farò finita una buona volta, e per sempre, con le figure retoriche. E quel giorno… Il mio potere sarà illimitato”.
Questo articolo è stato pubblicato su Effimera il 2 agosto 2021