I progetti di produzione energetica da fonti rinnovabili trovano nell’attenzione ai dettagli la loro reale efficacia in termini di sostenibilità socio-ecologica, ma il parco eolico al largo delle Egadi rischia di prendere forma con modalità predatorie e insostenibili
Viaggiare per la Sicilia nell’estate 2021, sotto i 40 gradi che hanno caratterizzato intere settimane dei mesi di luglio e di agosto, ha portato ad assistere a scenari spesso apocalittici: tra Catania e Siracusa, il fumo degli incendi, unito al calore emanato dalle terre aride, rendevano impercettibile la presenza del mare o addirittura della maestosa cima vulcanica dell’Etna, solitamente visibile dalla maggior parte della costa orientale dell’isola. Ondate di calore e inondazioni sull’intero territorio nazionale hanno riempito le pagine dei giornali ed è così che l’alterazione del clima ha reso (più) manifesti i suoi effetti, percepibili anche ai meno sensibili al tema.
Tema, quest’ultimo, centrale nei dibattiti pubblici oramai da diverso tempo, nonché del programma eco-politico europeo e nazionale, che trova riflesso nel Recovery Plan, facendo della Transizione Ecologica suo principale baluardo. Ma come trasformare tali parole in progetti concreti che possano contenere l’emissione di sostanze climalteranti? E’ su questo quesito che il dibattito si intensifica, tirando in ballo – da un lato – riminiscenze del passato come il nucleare e – dall’altro – il grande tema delle energie rinnovabili. Tali progetti di produzione energetica da fonte solare o eolica, tuttavia, trovano nell’attenzione ai dettagli la loro reale efficacia in termini di sostenibilità socio-ecologica.
TURBINE SU MARE
Presentato in autunno 2020 dalla società Renexia S.p.A – appartenente al Gruppo Toto Holding con sede a Chieti – il parco eolico più grande d’Europa al largo delle Isole Egadi prevede un investimento di 9 miliardi di euro. Tale mega-impianto off-shore si situerebbe a 27 km dall’isola più lontana dalla costa siciliana – l’isola di Marettimo – e a 60 km dalla terraferma siciliana. In seguito alla richiesta, da parte della Società proponente, di concessione demaniale alla Capitaneria di Porto della città di Trapani, nel febbraio 2021 è stata avviata la procedura di presentazione delle cosiddette ‘osservazioni’, mediante le quali enti locali, amministrazioni e portatori di interesse sono chiamati a esprimere parere contrario o favorevole alla concessione del demanio marittimo e, di conseguenza, alla realizzazione dell’opera.
In questo caso, sono state raccolte 22 osservazioni da parte delle unità competenti del territorio e delle principali associazioni ambientaliste della zona.
A favore del parco eolico si schierano i comparti nazionali delle maggiori associazioni ambientaliste italiane: Legambiente, Greenpeace e WWF Italia le quali, in un documento congiunto, affermano di non possedere alcun «pregiudizio sull’eolico offshore galleggiante, importante per decarbonizzazione e lotta alla crisi climatica». Diverse le posizioni delle realtà ambientaliste locali della provincia di Trapani (tra cui Lipu, Amici della Terra, Man Mediterranea, WWF Oasi delle Saline di Paceco) le quali richiedono un netto respingimento dell’istanza di concessione demaniale. Ulteriori osservazioni, come quelle pervenute dall’ente locale di Italia Nostra, assumono una posizione non del tutto favorevole ma possibilista; aperta, cioè, alla mediazione per la realizzazione dell’opera, tramite la modifica di alcuni degli aspetti del progetto e mediante il rispetto di un’adeguata procedura di Valutazione degli Impatti Ambientali.
Di certo, ciò che accomuna tutte le soggettività che hanno espresso un parere contrario alla realizzazione dell’opera non è l’opposizione tout court alla produzione di energia elettrica tramite l’eolico, bensì alle modalità predatorie e insostenibili attraverso cui questa rischia di prendere forma nel concreto, alle Egadi come altrove. Come afferma il comitato No al mega-impianto Eolico Off-shore al largo delle Isole Egadi (composta da cittadini e cittadine delle isole di Favignana, Levanzo e Marettimo), che, nella primavera 2021 ha lanciato una raccolta di firme volta a richiedere il rifiuto del progetto: No all’offshore delle Egadi, sì all’eolico sostenibile. Le modalità predatorie e ecologicamente insostenibili cui gli oppositori fanno riferimento riguardano principalmente la dimensione dell’opera e la sua localizzazione, due aspetti che – presi insieme – avrebbero profonde ricadute in termini socio-economici, paesaggistici e, nondimeno, sulla tutela della biodiversità sul meraviglioso contesto mediterraneo in questione.
LA PERFEZIONE NON È UN DETTAGLIO
Per comprendere nel reale le criticità che il progetto di Renexia S.p.A porta con sé, occorre tornare sui dettagli: si tratta di 190 turbine galleggianti (fissate tramite cavi, ma non ancorate al fondale marino), ciascuna distante 3,5 km l’una dall’altra, per un’estensione su uno specchio d’acqua di oltre 18 milioni di metri quadrati. Ognuna delle turbine presenterebbe un’altezza di 275m (150m di altezza della base cui si sommano i 125m di raggio di ciascuna pala); per comprenderne la dimensione basti pensare che ciascuna turbina sarebbe di altezza di poco inferiore alla Tour Eiffel (300 m); per rimanere in ambito nazionale, basti pensare che la torre di Pisa misura 57m, il Pirellone 127m e il grattacielo in testa alla classifica italiana (la Torre Unicredit di Milano) per altezza ne misura 231.
Anche l’estensione di oltre 18 milioni di metri quadrati potrebbe non rendere l’idea della vastità dello specchio d’acqua ricoperto, e ciò è complicato dal fatto che il dato in questione – esposto nel progetto ufficiale della società proponente – non rappresenta la totalità del territorio marino occupato all’intero parco eolico, bensì dallo specchio d’acqua composto dalla somma delle parti occupate da ciascuna delle 190 pale eoliche. In altre parole, nella totalità dei 18 milioni di metri quadrati sbandierati nel progetto proposto da Renexia S.p.A, non viene calcolato il territorio compreso tra le turbine, le quali ricordiamo disterebbero ben 3,5km l’una dall’altra. Come si evince dall’immagine, l’estensione dell’area occupata dal parco eolico supererebbe di gran lunga l’estensione dell’intera punta occidentale della costa siciliana. Ma allora perché questo dato?
Se non volessimo passare per malpensanti, sospettando che la società abbia presentato un dato volontariamente confusionario, affermeremo – insieme a Renexia S.p.A – che tale ambiguità sia dovuta al fatto che i 3,5km di superficie marina transitante tra una pala e l’altra sia, in realtà, non compromessa dal progetto in questione e che, dunque, continui a essere praticabile e navigabile. Tra l’altro, l’ingente distanza presente tra una pala e l’altra è uno degli elementi che la società proponente considera innovativi e frutto di tecnologie sperimentali concorrenziali.
Il parco eolico più grande d’Europa non andrebbe, così, a influire sulle rotte dei pescherecci, sulle rotte navali sia industriali che commerciali e, tantomeno, sulle rotte migratorie dei volatili e sul transito dei cetacei. Imbarcazioni ittiche e commerciali, insieme alle specie non-umane, non sarebbero compromesse dal progetto in questione. Tuttavia, se si considera l’area realmente sottratta alle attività umane (sia di transito che di pesca) e quella che interferisce sullo spazio aereo, ovvero lungo la rotta migratoria faunistica più importante e vulnerabile del Paleartico occidentale, ne deriva che entrambe le superfici sarebbero decisamente più ampie di quelle indicate nell’avviso ufficiale.
È proprio su questa ostentazione che sorgono alcune domande: potranno i pescherecci e le navi commerciali transitare tra una pala e l’altra? Tali pale sarebbero ancorate, ma non fissate, al fondale marino, galleggiando sulla superficie del mare; ma tale galleggiamento prevede un’oscillazione di ciascuna turbina che può raggiungere fino ai 200m di movimento orizzontale sulla superficie dell’acqua, a seconda delle condizioni metereologiche. Che ne è, dunque, della sicurezza navale delle piccole, medie, e grandi navi in transito?
L’ipotesi più plausibile rimane quella del totale cambio di rotta delle imbarcazioni, ovvero della circumnavigazione dell’intera area occupata dalle 190 pale eoliche. Una semplice ipotesi che, tuttavia, porta con sé importanti implicazioni: in termini socio-economici, significherebbe una drastica riduzione dell’area di pesca per l’attività ittica locale e un importante danno economico e sociale per l’intero settore della filiera ittica, quindi per le comunità isolane e costiere strettamente dipendenti da questa attività. Dal punto di vista del traffico marittimo, la circumnavigazione dell’area porterebbe a una deviazione della rotta navale commerciale nel tratto compreso tra l’inizio del parco eolico e l’isola di Marettimo – ovvero nei 27km di distanza che li separano, con pesanti ripercussioni sull’inquinamento delle acque, sull’inquinamento acustico e sull’impatto paesaggistico.
Il meraviglioso panorama visibile dal Castello di Punta Troia (estremità dell’isola di Marettimo) sarebbe invaso da piccole e grandi navi in transito, immancabilmente incorniciate dalla presenza delle turbine sullo sfondo.
Inoltre, che ne sarebbe della tutela della biodiversità e degli ecosistemi, che dovrebbe accompagnare la realizzazione di opere volte al ridimensionamento dell’alterazione climatica e del funzionamento ecosistemico? L’era post-2020 è divenuta lo scenario del nuovo Quadro Globale sulla Biodiversità che, in linea con il Green Deal e in occasione della quindicesima Conferenza delle Parti (CDBCOP15) si impegna per proporre azioni e impegni ambiziosi per arrestare la perdita di biodiversità in Europa e nel mondo.
Il parco eolico più grande d’Europa si situerebbe sulla traiettoria di importanti rotte migratorie faunistiche che collegano il continente africano e quello europeo. Il canale di Sicilia è, infatti, tra gli attraversamenti di superficie marina più ampi al mondo, affrontati da milioni di uccelli migratori terrestri. Questi ultimi si confrontano annualmente con il superamento della barriera ecologica rappresentata dal bacino del Mediterraneo, nella stagione primaverile e in quella autunnale. Inoltre, sia sul versante siciliano che su quello tunisino sono presenti ambienti umidi costieri salmastri (rari e localizzati) che per molte specie faunistiche formano un habitat unico per la riproduzione, sosta e svernamento delle specie. Nel 1989 l’area dello Stagnone di Marsala e le saline di Trapani è stata inserita nell’elenco delle aree di particolare importanza ornitologica in Europa1.
Alcuni studi permettono di stabilire che ammontano a 195 le specie di uccelli che, più o meno regolarmente, frequentano il tratto di mare compreso tra Capo Bon, Pantelleria e Trapani: esattamente l’area predisposta per l’off-shore di Renexia S.p.A. Tra queste, numerose specie sono in via di estinzione, come il Capovaccaio (Neophron Percnopteriss), soggetto per altro ad un piano di azione specifico redatto da Ispra e dallo stesso Ministero dell’Ambiente italiano2. Insieme al Capovaccaio, come si evince dalle osservazioni prodotte congiuntamente dalle associazioni Altura (Associazione per la tutela degli uccelli rapaci e dei loro ambienti), Lipu (Lega Italiana Protezione Uccelli) e A.M.N (Associazione Mediterranea per la Natura), diverse delle specie di avifauna che potrebbero subire conseguenze negative dalla realizzazione della centrale eolica sono particolarmente tutelate dalle Direttive nazionali sulla protezione degli animali selvatici3, le quali prescrivono che gli Stati membri tutelino adeguatamente le specie da esse protette e che ne proteggano gli ambienti di vita.
Inoltre, a livello di redistribuzione dell’energia prodotta, nel progetto sembra nascondersi una “piccola-grande beffa”. Come si legge dalla campagna di raccolta firme del comitato locale delle isole Egadi, «neanche un watt di energia prodotta sul nostro mare sarà erogato alle isole Egadi e alla Sicilia: un cavidotto porterà l’energia direttamente in Campania, laddove verrà immessa nella rete nazionale.
Le Egadi regaleranno il loro mare senza alcun beneficio sul territorio»3. Ancora una volta, tornano i dettagli: tale cavidotto sottomarino si presenta di lunghezza complessiva di ben 700 km, composto di due parti: il primo, lungo 200km, congiungerebbe la centrale energetica off-shore a Termini Imerese (in provincia di Palermo) e altri 500km di cavidotto trasmetterebbero l’energia prodotta alla Stazione di Montecorvino, in provincia di Salerno, per essere poi immessa nella rete energetica nazionale. Senza contare i problemi legati alla dispersione energetica che tale distanza presumerebbe, tale dettaglio apre questioni che in determinati contesti prenderebbero il nome di vere e proprie azioni di ‘colonialismo energetico’, ovvero progetti di natura estrattiva e predatoria senza che i benefici ricadano sui territori e sulle popolazioni coinvolte dalla realizzazione dell’opera.
UNA VIA FACILE PER IL DESTINO DELLE EGADI?
A oggi, non è ancora chiara la procedura di valutazione di impatto ambientale cui tale progetto sarebbe sottoposto per la conclusiva realizzazione dell’opera. Indiscrezioni parlano di procedure già avviate, nonostante non vi siano avvisi ufficiali nelle sedi predisposte alle comunicazioni pubbliche e/o istituzionali. Resta da chiedersi, dunque, come si concluderà questa travagliata faccenda, e la risposta a questo quesito sembra risiedere nel funzionamento della procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (Via) che tali progetti, per legge, richiedono.
Preme sottolineare quanto, tra le riforme all’attenzione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), risieda la discussione riguardo la semplificazione delle Valutazioni di Impatto Ambientale di opere da realizzare nella fase post-pandemica, in modo da accelerare l’attuazione dei progetti inseriti nel Recovery Plan. La semplificazione di tale procedura, tuttavia, rischierebbe di indebolirne la funzione, nel caso dell’off-shore eolico di Renexia S.p.A come altrove.
Tale spinta all’accelerazione e alla semplificazione si troverebbe a fare i conti con il rischio concreto e tangibile dell’indebolimento di una procedura fondamentale dal punto di vista della tutela ambientale ed ecosistemica, con la plausibile conseguenza dell’autorizzazione di impianti e interventi dall’impatto ambientale significativo.
La posta in palio per la realizzazione dell’opera è alta e risiede nella risonanza internazionale che tale progetto porterebbe con sé nel presentarsi quale il più grande progetto di energia rinnovabile a livello europeo. Non di inferiore importanza gioca il ruolo della corsa ai finanziamenti europei per la cosiddetta rivoluzione green. Infatti, sebbene il Ministro della Transizione Ecologica non abbia mai smesso di attaccare le rinnovabili dipingendole come insufficienti a soddisfare i bisogni energetici del paese, è lo stesso Cingolani a “soffiare sul vento” degli investimenti green su infrastrutture e mega-progetti eolici e fotovoltaici nell’intero territorio nazionale.
Eppure, ci si chiede se questi investimenti non debbano fare i conti le caratteristiche delle popolazioni soggette agli impatti, coinvolgere i portatori di interesse ben oltre la più semplice e formale richiesta di presentazione di “osservazioni” locali, magari attraverso procedure che prendano in considerazione il dibattito pubblico e la partecipazione cittadina. Il soluzionismo tecnoctratico e le sperimentazioni innovative in chiave green tanto care al Ministro Cingolani e al suo team – composto perlopiù da tecnici che da ecologi conoscitori degli ecosistemi dei territori – rischia dunque di portare a vere e proprie scorciatoie, rapide via di fuga per l’attuazione di mega-progetti che rispondano più a riconoscimenti nazionali o internazionali che ai reali bisogni dei territori, di chi li abita, e delle specie più-che-umane che le attraversano.
1 Grimmett R.F.A & Jones T.A (1989). Important Bird Areas in Europe. «International council for bird preservation Cambridge, technical publication» n. 9, 888p.
2 Andreotti A. e Leonardi G. (a cura di), 2009 – Piano d’azione nazionale per il Capovaccaio (Neophron percnopterus). «Quaderni di Conservazione della Natura», 30, Min. Ambiente – ISPRA.
3 In particolare dalla Direttiva comunitaria 2009/147/CE sulla protezione degli uccelli selvatici, recepita dall’Italia con la Legge n. 157 dell’11 febbraio 1992, e dalla Direttiva comunitaria del 21 maggio 1992 sulla conservazione degli Habitat naturali e semi naturali e della flora e della fauna selvatiche, recepita dall’Italia con il Regolamento D.P.R dell’8 settembre 1997 n. 357.
Questo articolo è stato pubblicato su Dinamo Press il 7 ottobre 2021