Transizioni pericolose

di Riccardo Lenzi /
11 Marzo 2021 /

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Premesso che chi parla a sproposito di “cancro” ha sempre torto e si dovrebbe vergognare, l’effervescenza post traumatica dentro e fuori il Pd sta producendo anche considerazioni interessanti e movimenti tellurici potenzialmente fecondi. Ci vuole “un’operazione pirata”, è l’auspicio lanciato ieri sera da Elly Schlein in diretta Facebook. Non è la prima volta che l’aggettivo compare sulla scena politica italiana ed europea: da una decina d’anni l’inifluente Partito Pirata si aggira per l’Europa, alle ultime europee ha preso lo 0,23%. Beninteso, non voglio portare sfiga a nessun*: è solo una coincidenza. Non è certo questo l’orizzonte di cui, forse, si inizia a discutere nei dintorni della sinistra. Nelle stesse ore Rosy Bindi, che nel neonato Pd guidò con determinazione la più seria e consistente “minoranza organizzata”, ha ammesso con amarissima onestà intellettuale che «il Pd non è mai nato». Chissà se anche Prodi e Veltroni, tuttora affezionati alla fallita suggestione bipartitica, se ne faranno una ragione prima o poi: il 50,1%, in Italia, non lo ha avuto la Dc e non lo avrà nessun singolo partito.

Quindici mesi fa, guidando l’inedito vascello rosso-verde della lista “Coraggiosa”, Elly Schlein ha dato un contributo fondamentale al naufragio del Sir Brooke meneghino. Incassata l’umiliante sconfitta, il Rajah verde e l’attuale addetta ministeriale alla kultura sono fuggiti dal Pilastro e da via Aldo Moro. Non ci torneranno più, anche per coerenza con il proverbiale assenteismo degli eletti in quota Lega, tutt’altro che “elevati”, senz’altro incompetenti. Eppure l’elevazione al rango di Sottosegretaria alla Kultura di chi da anni non legge libri – caro Freak Antoni, avevi ragione tu: “non c’è gusto in Italia ad essere intelligenti”! – ha prodotto meno rimostranze delle comparsate televisive pop di Zingaretti. Eppure non ricordo ululati né bestemmie quando, tanto per fare un esempio, il Pirata Emi(g)rato si esibiva vestito da Fonzie alla corte di Madame De Filippi in Costanzo, regina dei salotti Mediaset. Per non dire di come l’intero arco costituzionale continui a frequentare con nonchalance il poco raccomandabile salotto Rai di Porta a Porta, sedendosi sulla stessa poltrona che ha sopportato il peso del figlio di Riina.

Ricordo invece molto bene la campagna elettorale del 2019, quando la futura campionessa di preferenze (stravotata dai bolognesi) aveva gelato Sir Brooke, immortalando il silente imbarazzo del Capitano, incapace di rispondere a una domanda sul suo assenteismo poco europeista. Subito dopo quella importante, affatto prevista, vittoria politica – “Coraggiosa” oggi è determinante nella maggioranza che sostiene la giunta regionale, guidata dallo scalpitante Bonaccini -, la donna che otto anni prima aveva tentato invano di occupare dall’interno il suo partito, ha rifiutato l’immediata proposta di Zingaretti: diventare presidente del Pd. Lo ha ribadito ieri: «il punto non è tanto dove vado io, il punto è se riusciamo tutti insieme a trovare un posto nuovo, che tutti possano sentire come casa, e dove vederci per discutere come ricostruire l’intero campo progressista, ecologista, civico e della sinistra, su basi nuove».

Naturalmente Elly Schlein dovrà rispondere innanzitutto all’elettorato emiliano-romagnolo, che le ha dato fiducia e che valuterà il suo operato. Però, se l’agibilità politica nazionale la possono avere i presidenti di Regione, è lecito che ce l’abbiano anche le vicepresidenti. Come passare, dunque, dall’attuale sconforto a un rinnovato e contagioso(!) entusiasmo? Non sarà facile. Osservando le cose dal tinello, alto è il rischio di semplificare cose complesse. Ad un primo sguardo il mare in tempesta, in lontananza, sembra preparare una sfida tra chi difende la “casa” esistente e chi invece, da dentro e da fuori, vorrebbe costruirne una nuova. Più solida e spaziosa, meno pericolante.

Corsari e corsare si preparano alla sfida di quella che potrebbe essere l’ultima assemblea nazionale del Pd. Da un lato gli spregiudicati Black Emirates, che pensano solo a se stessi e alla loro congrega. Sul fronte opposto le rivoltose Green Pirates, novelle tigrotte di Mompracem che vogliono dare l’arrembaggio alle… stelle. In attesa di future elezioni politiche si tratta di capire se, a partire da domenica prossima, le donne e gli uomini del Pd preferiranno avviare l’ennesimo tentativo di “rigenerazione” del partito esistente (terapia intensiva, proposta dai Delrio) o se, in alternativa, tenteranno di fare quel che i Ds di Fassino e la Margherita di Rutelli non ebbero il coraggio di fare vent’anni fa: arrendersi all’evidenza, ascoltare umilmente la crescente “rivolta della ragione”, facilitare una coraggiosa transizione ecologica verso un “campo progressista” di cui nessuno avrebbe dovuto vergognarsi. Troppa acqua è passata sotto i ponti, alle finte ripartenze non ci crede più nessuno. Lo hanno ben scritto Bonaga, Ignazi e Urbinati: «L’abbandono dei territori alle logiche dei potentati locali, e delle relazioni sociali e degli interessi finanziari e imprenditoriali, è una delle ragioni più profonde dello ‘sragionamento’ del partito più grande della sinistra». Vedremo chi e quant* avranno il coraggio e la credibilità per con-vincere un popolo disilluso, fiaccato dai “tradimenti” e dalla pandemia. A dire il vero il terremoto in corso non può essere imputato esclusivamente allo “stillicidio” interno. Bisognerebbe riflettere anche sulla suggestione di massa che portò tant* italian* (dentro e fuori il Pd) ad affidare con entusiasmo le proprie speranze all’anomalia renziana, fino alle estreme conseguenze della controriforma costituzionale del 2016. Ciò detto, la stella cadente (?) di Renzi non dev’essere l’ennesimo capro espiatorio di una lunga sequenza di errori e di una malriuscita “fusione fredda” tra ceti politici autoreferenziali; un fallimento in fase d’avvio, da cui germinarono il populismo rottamatore e la successiva OPA leopoldiana che consentì la scalata al board del Pd.

In queste ore, tese come un arco di violino per via della crisi sanitaria ed economica (meno per la crisi della politica, che non è una novità), mentre una nutrita ciurma di dattilografi embedded è concentrata sui tormenti del Pd e dei 5 Stelle, il governo di Sua Continuità inizia a procurare qualche dolore anche a destra; e al centro. Forse qualche complice del Pirata Emi(g)rato si trova a disagio e si sta agitando? Vedremo. Intanto il virus della sondaggite sta provocando scompensi al Sir Brooke del campanello e al redivivo Sultano di Arcore: anche l’anziano Silvio, archiviato il gomito a gomito con Draghi, ultimamente sorride meno. «Forza Italia non è come Pd o M5S. Non date sponda, vi prego, a chi vorrebbe dividerci, a chi vuole dipingere correnti che non ci sono e non ci possono essere al nostro interno», ha raccomandato ieri alla pattuglia azzurra insediata al governo. Traduzione simultanea: “So che i nostri elettori, Draghi o non Draghi, sono nervosetti. Tuttavia sapete bene che anch’io, come il mio amico Renzi, ho i miei buoni motivi per essere nervoso. Nel caso ve lo siate scordato, vi rammento che ho un processo in corso a Firenze: essendo un highlander non potrò sfuggire all’infinito alle udienze e, soprattutto, alle sentenze. Vi ricordo che il cofondatore del vostro (mio) partito si chiama Dell’Utri. Pertanto state zitte e zitti! Che, come diceva la Gigliola Cinquetti, questa è casa mia e qui comando io, cribbio! Calma e gesso, facciamo passare la pandemia: Forza Italia non può finire come il Pd, che rischia l’ammutinamento delle Pirates”.

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