di Forum italiano per i movimenti dell’acqua
Le drammatiche giornate che stiamo vivendo e la rapidità con cui sta evolvendo la situazione ci costringono ad approfondire la riflessione per provare a prevedere i possibili sviluppi e accennare a potenziali prospettive verso cui avviare una discussione collettiva.
Siamo convinti che questa emergenza sanitaria rappresenti uno vero e proprio spartiacque per l’impatto che avrà sulla vita delle persone, sulla società e sull’economia.
Le ragioni sono diverse: non era mai successo che interi popoli, anche molto distanti tra loro, fossero sottoposti a misure così restrittive delle libertà personali; la pandemia acutizza la crisi del sistema economico-sociale dominante iniziata nel 2007-2008 e mai terminata; le caratteristiche di questa nuova fase sono profondamente diverse e con effetti molto più pesanti rispetto a quelle conosciute finora; le trasformazioni del mondo del lavoro, dei servizi, del welfare imposte dall’ideologia neoliberista e dalle politiche di austerità dimostrano il loro fallimento; la pandemia e la gestione della crisi minacciano fortemente il godimento di alcuni diritti fondamentali; oggi il conflitto diventa anche tra il profitto e la vita, tra il capitale e il vivente; la “nuova disciplina” imposta a tutte e tutti al fine di contrastare il diffondersi del contagio rischia di sedimentarsi e lasciare incrostazioni molto complicate da sciogliere.
A nostro avviso è fondamentale misurarsi con queste seppur parziali considerazioni per giungere ad una reale consapevolezza dell’attuale fase e soprattutto per acquisire una consapevolezza tale da elaborare una narrazione in grado di impedire che la cura sia peggiore della malattia.
L’emergenza sanitaria e la gestione della crisi hanno molto a che fare con la democrazia e s’inseriscono nel progressivo svuotamento dei poteri delle istituzioni democratiche e nella trasformazione della propria funzione da garante dei diritti e dell’interesse generale a facilitatrice dell’espansione della sfera d’influenza dei grandi interessi finanziari sulla società.
Tutto ciò dovrebbe indurre a riprendere una riflessione sulla democrazia, sulla necessità di una sua espansione e sulle modalità mediante cui attuarla anche nella gestione dei beni comuni.
Altrimenti questa emergenza rischia di diventare un laboratorio in cui si sperimentano pratiche di eccezionalità giuridica e dispositivi di controllo “per il bene collettivo” che potrebbero divenire in futuro strumenti capaci di agire trasformazioni irreversibili della democrazia formale.
La crisi economica che si sta aprendo presenta certamente caratteristiche inedite pur innestandosi sulle conseguenze di quella avviata nel 2007-2008. Quest’ultima, infatti, si è originata da una crisi del sistema bancario a cui si è posto rimedio mediante un possente stanziamento di fondi (comunque nettamente inferiori rispetto alle cifre adombrate attualmente) da cui, nella più classica spirale neoliberista, ha preso forma la crisi del debito. Da qui si è avuta una precipitazione sull’economia reale, seppur solo parziale. Certamente ha dato modo di mettere in campo politiche d’austerità e di attacco allo Stato sociale, oltre ad intensificare la spinta alle privatizzazione dei servizi pubblici.
L’approfondimento della crisi che si sta delineando a seguito della pandemia, invece, ha la sua genesi da un crollo dell’economia reale derivante dalla chiusura forzata di fabbriche, aziende e uffici in molteplici settori, da un ridimensionamento dei servizi pubblici e privati, dal sostanziale blocco degli spostamenti delle persone, con un inevitabile impatto sia sull’offerta che sulla domanda.
Per tali ragioni si stanno mettendo in campo importanti risorse economiche, facendo ricorso ad un consistente aumento del debito pubblico, togliendo “incredibilmente” e temporaneamente di mezzo vincoli e parametri del passato, ma spostando la questione sul costo di tale nuovo debito e su chi lo pagherà alla fine.
Occorre, dunque, lavorare per mettere a punto un progetto alternativo di modello produttivo e sociale per affrontare questa crisi e uscirne in avanti.
L’emergenza sanitaria dimostra il totale fallimento del modello neoliberista che ha anteposto gli interessi delle lobby finanziarie e delle banche ai diritti delle persone, ossessionato dal pareggio di bilancio, fondato sulla priorità dei profitti d’impresa, sulla preminenza dell’iniziativa privata e su una forte spinta alle privatizzazioni oltre che su un’errata allocazione delle poche risorse disponibili riducendo quelle a sostegno dei servizi essenziali, aumentando per contro quelli per le spese militari e per le grandi opere inutili e devastanti.
Il Servizio Sanitario Nazionale è stato particolarmente attaccato nell’ultimo decennio mediante tagli e privatizzazioni.
Una società basata su tale pensiero unico non può garantire protezione alcuna ed entra in piena contraddizione con la salvaguardia della vita stessa.
Proprio per questo si apre, almeno potenzialmente, uno spazio di iniziativa importante per rilanciare la centralità dei beni comuni e dei diritti fondamentali ad essi collegati, a partire da quelli essenziali per la vita.
Tutto ciò è esattamente in continuità con il percorso del movimento per l’acqua e, dunque, vorremmo connetterci con gli altri soggetti e movimenti, su basi nuove, facendo vivere e rafforzando un pensiero e un’iniziativa che rimetta al centro l’irriducibilità e la non negoziabilità dei beni comuni rispetto alle logiche del profitto e del mercato.
Si tratta di una battaglia decisiva per avviare un percorso esattamente sul terreno del conflitto reale oggi in atto tra profitto e vita e accrescere la consapevolezza che tutto quello che sta succedendo è esattamente il frutto di “come era prima”.
Nello specifico del tema dell’acqua avanziamo da subito le seguenti richieste:
la tariffa di quarantena, ossia l’applicazione della tariffa agevolata alle utenze domestiche fino al termine della crisi, evitando quindi che le famiglie si trovino a dover pagare adesso bollette più elevate a causa della forzata permanenza a casa, o domani salati conguagli;
l’obbligo ai gestori di riallacciare tutte le utenze domestiche disalimentate e ancora oggi senza accesso alla fornitura d’acqua;
l’esenzione del pagamento per gli utenti che abbiano perso reddito da lavoro con un ampliamento dei criteri già previsti nella disciplina del Bonus idrico.
Le stesse valutazioni e richieste valgono anche per le altre tipologie di utenze domestiche come luce e gas, oltre che per la sospensione degli affitti.
La pandemia e la crisi economico-sociale, inoltre, s’innestano in quella che è chiamata “crisi ecologica” ossia lo stress di un ecosistema, quello dell’intero pianeta, rispetto alla logica estrattivista e consumista a cui è sottoposto da oltre due secoli a partire dalla rivoluzione industriale.
Una delle conseguenze è la crescente vulnerabilità della nostra società rispetto ad eventi naturali catastrofici, al ripetersi sempre più frequentemente della diffusione di epidemie come quella del COVID-19, all’approvvigionamento delle risorse essenziali alla vita
Le cause sono evidenti: il dilagare della deforestazione, la drastica diminuzione di biodiversità, l’agricoltura chimicizzata, gli allevamenti intensivi, l’industrializzazione, l’urbanizzazione, l’inquinamento di acqua, aria e terra.
Inoltre, una delle manifestazione più evidenti dell’impatto dell’attuale modello economico sull’ecosistema Terra è il surriscaldamento globale e i relativi cambiamenti climatici. Un’altra crisi con cui fare i conti e su cui di recente le straordinarie mobilitazioni, in particolare dei giovani, hanno posto l’accento richiedendo politiche efficaci e immediate di mitigazione degli effetti.
Occorre pretendere che le ingenti risorse economiche messe in campo per superare l’attuale pandemia e la profondissima crisi economica che seguirà siano esclusivamente indirizzate alla costruzione di un altro modello ecologicamente orientato.
Rifiutiamo la metafora della guerra a cui molt* sono ricorsi per descrivere l’emergenza sanitaria e ancor più la crisi che ne sta emergendo perché ci consegna alla sconfitta certa la rappresentazione dell’intera società come un esercito che combatte un nemico invisibile e che deve “obbedir tacendo” a una catena di comando, perché non vogliamo vivere in un ordine sociale militarizzato e controllato, perché dietro si cela il tentativo di cementare un’unità nazionale dentro la quale saranno sempre gli stessi a comandare proponendo le ricette del passato che sono causa dei mali attuali.
In generale, riteniamo sia necessaria una sorta di elaborazione collettiva del lutto che consenta di superare la drammaticità dell’attualità, la perdita di una quotidianità e della convivialità, e soprattutto di evitare la rimozione delle cause profonde che hanno provocato l’attuale crisi. Tutti passaggi utili a render possibile l’adozione di un approccio completamente nuovo al fine di intraprendere cammini inediti e realmente alternativi.
Se vogliamo stare in campo rispetto a quello che succederà, diventa necessario, quindi, che ci dotiamo di una nuova visione, di una narrazione generale, per un altro mondo possibile e che aggredisca i nodi di fondo che ci propone questa nuova fase di crisi sistemica.
Essa, a nostro avviso, dovrà necessariamente fondarsi su alcuni filoni tematici:
il primato della vita e dei diritti fondamentali rispetto al mercato e alle sue logiche;
il riconoscimento dei beni comuni – naturali, sociali, emergenti e ad uso civico – come elementi fondanti della coesione territoriale e di una società ecologicamente e socialmente orientata;
la tutela e la ripubblicizzazione dei servizi pubblici come strumenti che garantiscono l’accesso e la fruibilità dei beni comuni e dei diritti;
l’espansione della democrazia e della partecipazione, oltre alla necessità di vigilare che non si cristallizzi in nessun modo la compressione delle libertà individuali e sociali imposte in tempi di pandemia per straordinaria necessità;
la valorizzazione del lavoro e la creazione diretta di un’occupazione di qualità, prevedendo il superamento di tutte le condizioni di precarietà e intraprendendo da subito la strada del reddito di cittadinanza universale;
la necessità di superare le forti disuguaglianze sociali, che si sono accresciute ancor più nella crisi e che, oltre ad essere inaccettabili, costituiscono un potente fattore del suo avvitamento;
la consapevolezza che la crisi climatica e ambientale si combatte mediante la conversione ecologica dell’economia e una transizione energetica partecipata che metta in campo politiche adeguate per mitigare gli effetti del surriscaldamento globale a partire dalla fuoriuscita dall’uso dei combustibili fossili;
l’urgenza di convertire il lavoro della terra secondo criteri ecocompatibili che pongano fine alla sua devastazione, operando per far uscire la chimica dall’agricoltura;
la necessità della riappropriazione della ricchezza sociale espropriata dalla libertà incondizionata dei movimenti di capitale, dalla finanziarizzazione dell’economia e della società, dalla privatizzazione dei sistemi bancari, finanziari e dei servizi pubblici, dall’usura degli interessi sul debito.
In generale diviene necessario un nuovo forte ruolo dell’intervento pubblico capace di realizzare gli obiettivi sopracitati, al di fuori della trappola del debito e per ridurre in modo significativo le disuguaglianze sociali.
In questo momento crediamo sia dirimente, uno snodo fondamentale, l’esito della discussione a livello europeo sulle scelte di fondo e sugli strumenti con cui reperire le risorse per combattere la crisi. E’ evidente che, da questo punto di vista, al di là di ciò che sarà messo in campo, punto assolutamente non indifferente, rimane però il dato di fondo di un’Europa incapace di una visione progettuale all’altezza delle vicende in corso, inadeguata rispetto al superamento delle logiche nazionalistiche e persino di evitare le derive antidemocratiche e dittatoriali in atto in alcuni Paesi, a partire dall’Ungheria, che andrebbe semplicemente espulsa dall’Unione Europea stessa. Ciò pone anche la questione di un ruolo necessariamente più marcato del nostro Paese, magari in sintonia con altri che più soffriranno della crisi, per produrre una svolta nella definizione di un modello produttivo e sociale alternativo che metta in campo la necessità un ruolo pubblico della Banca Centrale Europea come garante del debito pubblico degli Stati. A partire dal tema decisivo del reperimento delle risorse per avviarlo e sostenerlo, che dovrà poggiare, se si vuole evitare un vero e proprio massacro sociale, su un forte impianto fiscale redistributivo (tassazione dei grandi patrimoni e delle rendite finanziarie), un riorientamento delle finalità delle risorse disponibili (vedi Cassa Depositi e Prestiti) e anche su uno spostamento in ambito nazionale e verso le famiglie dei detentori del nostro debito pubblico, a discapito dei grandi investitori privati esteri.
Sentiamo forte l’esigenza di avviare un confronto largo e ampio con il fine di provare a elaborare, insieme ad altre realtà, una narrazione generale intellegibile che metta a nudo le contraddizioni della crisi, consenta la costruzioni di adeguati rapporti di forza e indichi alcuni temi programmatici in grado di invertire la rotta e realizzare un modello sociale alternativo.
In conclusione, a nostro avviso, è imprescindibile compiere una salto di qualità a partire da un approccio per cui i temi specifici di ciascun soggetto o realtà sociale possono vivere solo dentro questa cornice più larga.
Viviamo tempi straordinari e si tratta di attrezzarci di conseguenza per “liberare il presente e riappropriarci del futuro, consapevoli che il tempo è ora”.