Il virus della democrazia

24 Marzo 2020 /

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di Eduardo Danzet
E’ notizia degli ultimi giorni la proroga della quarantena.
Secondo rumors giornalistici, durerà almeno fino a domenica 16 aprile, obbligando gli italiani a rinunciare a trascorrere la Pasqua secondo la tradizione; tuttavia le prossime festività non saranno le sole ad essere sconvolte da questa pandemia.
Come scrive Gordon Lichfield, direttore di MIT Technology Review, avverrà uno sconvolgente cambiamento sotto ogni aspetto della quotidianità, anche quelli che diamo per scontati: pensare e vivere la società, il lavoro, perfino l’educazione dei figli e la cura familiare.
Lichfield scrive, dalle colonne del suo giornale, che “la maggior parte di noi probabilmente non ha ancora capito, e lo farà presto, che le cose non torneranno alla normalità dopo qualche settimana, o addirittura dopo qualche mese. Alcune cose non torneranno mai più”. 
A fare eco alle sue parole vi sono le conclusioni dei ricercatori dell’Imperial College di Londra: imparare a vivere in uno stato di pandemia.
Ciò avrà inevitabili ricadute su tutto ciò che riguarda la socialità, come dai trasporti al turismo (una delle principali fonti di reddito per l’Italia), in favore di un’economia che punti sulla sanità, in particolar modo sulla prevenzione; verranno sviluppati modi sempre più sofisticati per identificare i malati e gli eventuali vettori del virus.
Preoccupa però come Israele utilizzerà, per risalire ai contatti coi portatori del Covid, i dati di localizzazione dei cellulari, con cui i suoi servizi segreti rintracciano i terroristi.
Lo stesso Lichfield teme un cedimento sempre maggiore della privacy e nuove forme di discriminazione, per misure di sicurezza e rintracciabilità sempre più invasive, che privilegiano le parti più agiate della popolazione a discapito di altre: i cosiddetti gig-workers e i lavori che richiedono il contatto umano, vedranno il loro lavoro diventare ancora più precario; chi abita in punti considerati focolai potenziali o sostanziali delle epidemie rischia di essere escluso dalle opportunità lavorative; chi proverrà da famiglie numerose e dal basso reddito rischierà di pagare i costi di questa transizione sociale, economica e democratica.
Uno dei fattori che pesa sulla discriminazione è l’insostenibilità delle spese sanitarie, ormai un business che cura pochi privilegiati. In particolare è proprio il fallimento della sanità per tutti, sulla quale ha perso consenso tutta la nostra classe politica, il nervo scoperto della crisi portata dal Coronavirus. L’escalation di decessi nel Nord Italia viene da lontano: come riporta Nadia Urbinati, in un articolo consigliato sull’HuffPost, i ventilatori polmonari sono 1 ogni 4.130 abitanti in Lombardia; 1 ogni 2.500 in Emilia-Romagna; 1 ogni 2.250 abitanti in Toscana, e 1 ogni 2.550 abitanti in Veneto. Con mezzi così poveri per la collettività, morire per un nuovo e aggressivo virus è garantito, a prescindere dalla sua pericolosità.
Purtroppo, invece di affrontare le proprie responsabilità, i governatori regionali e i sindaci che hanno permesso la situazione attuale, le stanno scaricando ancora una volta sui cittadini. 
La classe politica, facendo leva sulla paura, come ha distrutto il welfare perché “troppi hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità”, ora cancella le libertà, perché “il diritto di cercare l’aria e il sole, per non andare tutti in depressione, diffonde il virus”: dati alla mano, il problema  è altrove, nello smantellamento di quegli stessi diritti; esso è nei numeri di cui sopra, così come in milioni di italiani che trascurano la prevenzione, perché – repetita iuvant – la presenza massiccia della sanità privata ne ha reso insostenibili i costi.
La paura è purtroppo una medicina molto potente, per cui diventa facile distogliere l’attenzione su questa verità, con le ordinanze restrittive dei governatori Vincenzo De Luca e Stefano Bonaccini, in Campania e in Emilia-Romagna; per non parlare delle dirette sui social di tanti amministratori, intenti a punire personalmente i trasgressori, per recuperare il consenso perso, cavalcando l’emergenza cinicamente, per un fine elettorale: una caccia all’uomo che non risparmia nemmeno chi, una casa, l’ha appena persa o non ce l’ha, che dimostra tutto il fallimento del “modello italiano” del contenimento del contagio.
Un altro punto che si sottovaluta è che, nei periodi di reclusione, la fase entusiastica, della resistenza a colpi di musica suonata dai balconi, viene seguita prima da una depressiva e poi da una rabbiosa.
Sintetizzando i due grandi temi affrontati in queste brevi righe, emergono due fattori importanti:

  1. La pandemia ha accelerato la crisi della democrazia italiana;
  2. Al caos e all’ostilità che, brevemente, regoleranno i rapporti sociali al tempo della quarantena, la politica deve dare una risposta solidaristica, prendendo per mano la collettività, portandola alla transizione che si è analizzata nel presente articolo.

Soltanto una Sinistra che riscopra il proprio spirito mutualistico, abbandonando i vecchi rancori e le beghe di quartiere, potrà assolvere a questo compito; nata dal basso, dovrà portare a integrare la società civile e i tanti partitini, sedicenti detentori del Verbo, trasformarli da parte del problema in valore aggiunto.
Una possibile soluzione nel breve periodo è ascoltare chi è stato già investito dalle trasformazioni portate da un virus che, oltre all’uomo, ha attaccato la nostra democrazia: è necessario interrogarsi sui prossimi bisogni di chi vedrà il proprio lavoro finire, a causa dei periodi lunghi di quarantena che si prospettano; ascoltare la scuola, la PA e le imprese che stanno lavorando in smart working; organizzare pratiche di supporto psicologico e di vita pratica, per i tanti che non possono muoversi da casa.
Con questi presupposti, valorizzando il lavoro instancabile di Elly Schlein, l’Emilia-Romagna può essere scuola di buona politica a Sinistra e, probabilmente, anche di rinnovamento.
Con un quadro politico e istituzionale pericolosamente a destra, che sta già cercando di risolvere l’emergenza democratica preparando un regime repressivo, è chiamato al lavoro chiunque si ispiri ai principi di libertà e giustizia sociale.

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