di Elisabetta Canitano e Federica Di Martino
Le donne che vanno al Pronto soccorso per interrompere o portare a termine una gravidanza – additate da Salvini – non hanno accesso a diritti che dovrebbero essere garantiti
«Non è compito mio dare lezioni di morale – ha dichiarato il leader della Lega Matteo Salvini – è giusto che sia la donna a scegliere. Però non puoi arrivare a prendere il Pronto soccorso come la soluzione a uno stile di vita incivile».È vero esistono donne che vanno al Pronto soccorso a chiedere di abortire. Non sono tante ma esistono, certo che esistono. Chi sarà l’operatore sanitario che con disprezzo lo ha detto a Salvini? «Vengono qui, vengono al Pronto Soccorso per abortire!!! Anche sei volte!!». Certo che vengono, anche se non così tante, anche se non tante volte come lascia intendere Salvini a cui fa eco il coro «Le donne!! Prima hanno rapporti senza riflettere e poi abortiscono o prendono la pillola del giorno dopo o fanno figli senza ragionare».
Esistono queste donne, e vengono mandate via, fra l’altro, a volte con qualche istruzione in più, altre mandate via e basta. Sono italiane a cui nessuno ha mai detto che esistono i Consultori familiari, disabituate a credere che la Sanità pubblica esista e funzioni. Sono straniere a cui i servizi pubblici pongono problemi, nonostante lavorino e siano in regola con i contributi, magari perché non hanno la residenza (dato che spesso gli italiani gli affittano casa in nero per non pagare le tasse). Oppure straniere che hanno perso il lavoro e con esso la nostra assistenza, non più classificabili come irregolari ma ugualmente senza diritto alle cure. Straniere con problemi con la lingua, o di comprensione delle nostre burocrazie. Italiane in difficoltà, che si vergognano di chiedere al loro medico di famiglia, che magari è anche un obiettore, che hanno un ginecologo a pagamento cattolico o non lo hanno per niente, o che non hanno i soldi per pagare l’ennesima visita.
Corrono al pronto Soccorso in preda alla panico, all’ansia, non sapendo dove andare, non trovando altro accesso alla Sanità pubblica, chiedendo di essere «soccorse». In un paese civile ci chiederemmo tutti e tutte quale sia la loro difficoltà ad accedere ai servizi, come possiamo intercettarle, e aiutarle. Esattamente come a coloro che vogliono portare avanti la gravidanza e spesso incontrano queste stesse difficoltà, e si ritrovano anche loro al Pronto soccorso.
Noi dal telefono dell’associazione Vita di donna le conosciamo bene queste donne: «Vado al Pronto soccorso?». «No, cara, no, cerca il Consultorio familiare più vicino, dicci se ti fanno dei problemi, chiamaci magari da lì». E a volte aggiungiamo: «Non se lo mette il preservativo questo tuo fidanzato/compagno/marito o chi per lui? No eh? Dice che gli dà fastidio/che ti ama troppo/che tanto lui è così bravo…». Questo è un comportamento incivile. Mettere incinta una donna perché non ti va di usare una precauzione, perché disturba il tuo piacere. Eppure non si dice mai. Salvini è un uomo, la posizione migliore per dire agli uomini di usare una precauzione: coraggio dillo.
Lo sappiamo bene dal blog «Ivg, ho abortito e sto benissimo», un luogo che accoglie nuove narrazioni possibili, lontane dallo stigma e dalla colpevolizzazione di cui queste affermazioni sono cariche. Un luogo per molti e molte ancora troppo scomodo, perché non cerchiamo l’assoluzione ma rivendichiamo con forza le nostre scelte, ci sosteniamo facendoci forza a vicenda, fuori da ogni giudizio.
«Per anni mi sono sentita in colpa per non essermi mai sentita in colpa», lo abbiamo letto in tante storie, così tante da capire come in questa società incivile il vero reato è quello di aver scelto di fuoriuscire dall’assoggettamento di un retaggio patriarcale. Le nostre storie sono anche quelle di donne che ci chiedono quanto dovranno pagare in ospedale per accedere all’aborto farmacologico, perché non sono state informate che è un servizio garantito dalla Sanità pubblica, perché considerano ancora i loro aborti come una concessione. Le nostre sono le storie delle donne che non sanno di potersi rivolgersi al Consultorio e vanno da medici privati, che nella malintesa idea di fornire alle loro pazienti un servizio effettuano visite nei propri studi senza indirizzare ai luoghi pubblici e gratuiti della salute. Silenti, complici di quella inciviltà che provano a buttarci addosso ma che è soltanto lo specchio della loro vergogna. Noi siamo donne che hanno scelto la vita, la propria, e rispediamo al mittente lo stigma, la colpa e la vergogna, noi stiamo bene insieme, oscenamente bene, e questo nessuno può togliercelo.
Al Ministro della Salute Roberto Speranza il compito di chiedersi come aiutare queste donne (ma nel milleproroghe non abbiamo trovato la contraccezione gratuita…). A noi di raccontare e lottare.
Esistono queste donne, e vengono mandate via, fra l’altro, a volte con qualche istruzione in più, altre mandate via e basta. Sono italiane a cui nessuno ha mai detto che esistono i Consultori familiari, disabituate a credere che la Sanità pubblica esista e funzioni. Sono straniere a cui i servizi pubblici pongono problemi, nonostante lavorino e siano in regola con i contributi, magari perché non hanno la residenza (dato che spesso gli italiani gli affittano casa in nero per non pagare le tasse). Oppure straniere che hanno perso il lavoro e con esso la nostra assistenza, non più classificabili come irregolari ma ugualmente senza diritto alle cure. Straniere con problemi con la lingua, o di comprensione delle nostre burocrazie. Italiane in difficoltà, che si vergognano di chiedere al loro medico di famiglia, che magari è anche un obiettore, che hanno un ginecologo a pagamento cattolico o non lo hanno per niente, o che non hanno i soldi per pagare l’ennesima visita.
Corrono al pronto Soccorso in preda alla panico, all’ansia, non sapendo dove andare, non trovando altro accesso alla Sanità pubblica, chiedendo di essere «soccorse». In un paese civile ci chiederemmo tutti e tutte quale sia la loro difficoltà ad accedere ai servizi, come possiamo intercettarle, e aiutarle. Esattamente come a coloro che vogliono portare avanti la gravidanza e spesso incontrano queste stesse difficoltà, e si ritrovano anche loro al Pronto soccorso.
Noi dal telefono dell’associazione Vita di donna le conosciamo bene queste donne: «Vado al Pronto soccorso?». «No, cara, no, cerca il Consultorio familiare più vicino, dicci se ti fanno dei problemi, chiamaci magari da lì». E a volte aggiungiamo: «Non se lo mette il preservativo questo tuo fidanzato/compagno/marito o chi per lui? No eh? Dice che gli dà fastidio/che ti ama troppo/che tanto lui è così bravo…». Questo è un comportamento incivile. Mettere incinta una donna perché non ti va di usare una precauzione, perché disturba il tuo piacere. Eppure non si dice mai. Salvini è un uomo, la posizione migliore per dire agli uomini di usare una precauzione: coraggio dillo.
Lo sappiamo bene dal blog «Ivg, ho abortito e sto benissimo», un luogo che accoglie nuove narrazioni possibili, lontane dallo stigma e dalla colpevolizzazione di cui queste affermazioni sono cariche. Un luogo per molti e molte ancora troppo scomodo, perché non cerchiamo l’assoluzione ma rivendichiamo con forza le nostre scelte, ci sosteniamo facendoci forza a vicenda, fuori da ogni giudizio.
«Per anni mi sono sentita in colpa per non essermi mai sentita in colpa», lo abbiamo letto in tante storie, così tante da capire come in questa società incivile il vero reato è quello di aver scelto di fuoriuscire dall’assoggettamento di un retaggio patriarcale. Le nostre storie sono anche quelle di donne che ci chiedono quanto dovranno pagare in ospedale per accedere all’aborto farmacologico, perché non sono state informate che è un servizio garantito dalla Sanità pubblica, perché considerano ancora i loro aborti come una concessione. Le nostre sono le storie delle donne che non sanno di potersi rivolgersi al Consultorio e vanno da medici privati, che nella malintesa idea di fornire alle loro pazienti un servizio effettuano visite nei propri studi senza indirizzare ai luoghi pubblici e gratuiti della salute. Silenti, complici di quella inciviltà che provano a buttarci addosso ma che è soltanto lo specchio della loro vergogna. Noi siamo donne che hanno scelto la vita, la propria, e rispediamo al mittente lo stigma, la colpa e la vergogna, noi stiamo bene insieme, oscenamente bene, e questo nessuno può togliercelo.
Al Ministro della Salute Roberto Speranza il compito di chiedersi come aiutare queste donne (ma nel milleproroghe non abbiamo trovato la contraccezione gratuita…). A noi di raccontare e lottare.
Questo articolo è stato pubblicato da Jacobin Italia il 18 febbraio 2020