di Duccio Facchini
I migranti internazionali nel mondo sono 272 milioni, pari al 3,5% della popolazione globale, 51 milioni di persone in più rispetto al 2010. È quanto emerge dall’aggiornamento dell’International Migrant Stock pubblicato a metà settembre e curato dalla “Population division” in seno al Dipartimento per gli affari economici e sociali delle Nazioni Unite (UNDESA).
Nei cosiddetti Paesi “sviluppati” (Europa, Nord America, Australia, Giappone, Nuova Zelanda), spiega l’agenzia Onu, su 100 residenti, 12 sono migranti internazionali. Al “Sud”, sempre secondo le etichette improprie utilizzate a New York, la cifra scende a 2 su 100. La componente delle migrazioni forzate, che comprende anche i rifugiati e i richiedenti asilo, ha conosciuto una variazione significativa negli ultimi anni: tra 2010 e 2017, infatti, lo stock di rifugiati e richiedenti asilo è cresciuto di 13 milioni di persone, rappresentando un quarto circa dell’incremento complessivo dei migranti internazionali. Nel 2019, il 46% dei rifugiati e dei richiedenti asilo si trova nei Paesi di Nord Africa o Asia occidentale, seguita dall’Africa Subsahariana (21%).
Seppur insufficienti a descrivere un fenomeno complesso, i numeri delle Nazioni Unite aiutano a smontare luoghi comuni ormai consolidati. Il primo riguarda i Paesi di destinazione dei migranti internazionali.
Gli Stati Uniti sono il primo Paese di destinazione, con 51 milioni di migranti (il 20% scarso del totale). Seguono Germania e Arabia Saudita (13,1 ciascuna), Federazione Russa (11,6), Regno Unito (9,6), Emirati Arabi Uniti (8,6), Francia (8,3). L’Italia, con 6,3 milioni, segue l’Australia (7,5).
Ma è l’Europa nel suo complesso, con 82 milioni di migranti, il principale punto di destinazione, seguita da Nord America (59 milioni), Nord Africa e Asia occidentale (49 milioni). Il Vecchio continente, proposto curiosamente da alcuni quale meta sacrificale di spostamenti biblici solamente in entrata, è anche il primo punto di partenza. Oltre due migranti internazionali su cinque sono nati in Europa (61 milioni) o in Asia centro-meridionale (50 milioni), mentre 40 milioni giungono dall’America Latina e Caraibi, e 37 milioni dall’Asia orientale e Sud-orientale. E il più delle volte restano nel proprio continente.
Tre dei cinque più importanti “corridoi”, o traiettorie, percorsi dai migranti internazionali, infatti, sono intra-regionali. È il caso del più importante “Europa-Europa”, che con 42 milioni di persone copre oltre il 15% del totale, o del reciproco “Nord Africa-Asia occidentale” (19 milioni di migranti internazionali circa) o quello relativo all’Africa Sub-sahariana (18,3 milioni di persone).
La maggior parte dei migranti internazionali – strampalate tesi di “sostituzione etnica” permettendo – si muove dunque all’interno di Paesi della stessa regione: sette migranti europei su 10 risiedono in Europa, dinamica identica per i migranti nati in Africa Sub-sahariana (65%).
Con 17,5 milioni di migranti, l’India è il primo Paese di origine, davanti a Messico (11,8), Cina (10,7), Federazione Russa (10,5), Siria (8,2), Bangladesh (7,8), Pakistan (6,3), Ucraina (5,9), Filippine (5,4) e Afghanistan (5,1). Significa che dieci Paesi sono l’origine di un terzo dei migranti.
La componente femminile è passata dal 49,3% del 2000 al 47,9% del 2019, con profonde differenze a seconda dell’area. Dal 51,8% in Nord America al 35,5% in Nord Africa-Asia occidentale. L’ultimo aspetto riguarda l’età. Quest’anno, secondo le Nazioni Unite, 38 milioni di migranti, ovvero il 14% del totale della popolazione che si sposta, avevano meno di 20 anni. La proporzione più significativa si registra in Africa Sub-sahariana (27%) e in America Latina (22%).
Questo articolo è stato pubblicato da Altreconomia il 19 settembre 2019