di Chiara Saraceno
Hanno fatto una morte orribile, annegati nel letame. I 4 morti dell’azienda agricola della campagna pavese si aggiungono alla lunga lista di morti sul lavoro che sta facendo del 2019 il peggiore degli ultimi anni. È una strage trasversale a tutti i settori produttivi, anche se è particolarmente concentrata nelle costruzioni e in agricoltura, oltre che nei trasporti. Si muore cadendo da un’impalcatura, o fulminato dalla corrente, o per il malfunzionamento di un’attrezzatura, o per l’esposizione senza protezione a gas nocivi. Molte di queste morti sono dovute all’inosservanza delle norme di sicurezza, perché mancano del tutto gli strumenti o perché per fare in fretta se ne fa a meno.
È vero che un tempo, venti-trent’anni fa, i morti sul lavoro erano molti di più, toccando anche i quattromila l’anno. Ma negli ultimi anni non si è osservato nessun miglioramento. Anzi, dopo l’orribile 2018 in cui i morti sul lavoro accertati sono stati 703 (oltre il doppio, contando anche quelli morti per strada), il 2019 è avviato ad essere ancora peggio, visto che nel primo semestre sono già stati 462 e dal primo di settembre se ne è aggiunta oltre una decina.
La crisi che non finisce, il timore di uscire fuori mercato da parte delle aziende, la mancanza di investimenti in una forza lavoro spaventata e spesso sotto pressione per paura di perdere il lavoro, o di non vedersi rinnovare il contratto, fanno saltare molte norme di sicurezza. In questo contesto generale, l’agricoltura sembra essere uno dei settori di lavoro più a rischio nel nostro Paese, a causa di una combinazione letale di sfruttamento estremo, inosservanza di elementari norme di sicurezza e spesso mancanza di competenze adeguate.
Ci sono braccianti che muoiono letteralmente di fatica, stroncati da orari disumani e condizioni di lavoro intollerabili, come il bracciante morto sotto il sole ai primi di settembre mentre raccoglieva meloni senza neanche uno straccio di contratto, non dissimilmente a quanto era successo ad un’altra bracciante qualche anno fa. Ma ci sono anche agricoltori che muoiono schiacciati dal trattore che stavano usando e che per disattenzione o imperizia si è rovesciato su di loro, o che, come i quattro del Pavese, annegano nella vasca del letame perché non si sono protetti rispetto al rischio di soffocare, o anche solo di scivolare. Senza distinzione tra padroni e dipendenti, specie nelle piccole aziende.
Tra i quattro morti di ieri due erano i padroni e due gli operai, livellati nella morte orribile dalla assenza di misure di sicurezza, dall’imprudenza e probabilmente anche da un estremo atto di solidarietà, se il secondo, il terzo e il quarto sono morti nel tentativo di salvare il primo che era caduto. Il lavoro in agricoltura sembra essere rimasto più di altri ai margini sia delle norme che regolano i rapporti di lavoro e i diritti dei lavoratori in termini di orari, salari, contributi, sia delle norme sulla sicurezza e sulla necessità di avere competenze specifiche rispetto al lavoro da fare. La ministra Bellanova, che bene conosce questi problemi, ha davanti a sé un compito difficilissimo, ma non ulteriormente rimandabile.
Non c’è possibilità di rilancio dell’agricoltura, di sostegno a un’agricoltura sostenibile non solo per l’ambiente, ma per chi ci lavora, se non si riesce da un lato a controllare tutte le forme di caporalato e sfruttamento intensivo di una forza lavoro in condizioni di estremo bisogno e perciò vulnerabile, che sia italiana o straniera. Dall’altro lato a diffondere capillarmente in agricoltura, anche nelle piccole aziende, una cultura professionale. È un compito non solo delle politiche pubbliche, ma anche delle associazioni di categoria.
Questo articolo è stato pubblicato da Repubblica il 13 settembre 2019