di Francesco Ramella
Se i cantieri del Tav Torino-Lione vivacchiano in attesa di una decisione politica sul destino dell’opera, prosegue invece a pieno ritmo la produzione di documenti da parte dell’Osservatorio per l’asse ferroviario Torino-Lione guidato dall’architetto Paolo Foietta (anche se il suo mandato è scaduto a fine 2018). L’ultimo Quaderno appena pubblicato contesta il gruppo di lavoro che ha redatto l’analisi costi-benefici dell’opera per il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli. Le accuse sono:
- 1) “fideismo tecnologico, alla riduzione del carico ambientale provvederà l’evoluzione tecnologica del sistema stradale e dei mezzi di trasporto”;
- 2) “grossolani errori di sottovalutazione di impatti e benefici ambientali” per cui sarebbe falso che “anche una significativa riduzione dei flussi di lunga percorrenza avrebbe un impatto marginale sui livelli di inquinamento destinati a ridursi ulteriormente grazie al rinnovo del parco veicolare”.
La tecnologia.Riguardo al primo capo di imputazione, sarebbe legittima l’accusa contraria. La stima dei costi ambientali e di quelli relativi alla sicurezza del trasporto nell’analisi costi-benefici è stata prodotta ignorando probabili innovazioni future: nessun veicolo elettrico, nessuna ipotesi di convogli di veicoli (semi)automatizzati. Solo una presa d’atto della radicale riduzione delle emissioni di inquinanti locali – un Tir Euro0 inquina come dieci EuroVI – e del declino dei tassi di mortalità sulla rete autostradale (-90 per cento dal 1970).
L’aria
Foietta considera una “tesi estrema” la seguente affermazione di chi scrive: “La qualità dell’aria, a Torino come in tutta Europa è in miglioramento da decenni. Tale tendenza proseguirà grazie alla progressiva sostituzione dei mezzi più inquinanti”. Gli autori dello studio per il ministero sono accusati di “costruire i presupposti per trasformare la Val Susa in una camera a gas”. Ma forse Foietta non ha mai sfogliato i Rapporti della Qualità dell’aria dell’Arpa Piemonte che mostrano come da trent’anni la concentrazione degli inquinanti sia in calo. Perfino nel Quaderno di Foietta si legge che “i dati Ispra 2018 confermano che anche in Italia si è registrata la diminuzione progressiva delle emissioni inquinanti negli ultimi anni, avvenuta nel settore dei trasporti grazie all’introduzione di catalizzatori, filtri per particolato e altre tecnologie”.
A sostenere che tale evoluzione proseguirà in futuro è ancora l’Arpa Piemonte, nel Piano regionale della qualità dell’aria: “Al 2030 si prevede una consistente e diffusa riduzione delle concentrazioni di biossido di azoto, mentre, per quanto riguarda il particolato, si osserva una riduzione delle concentrazioni in particolare nell’Agglomerato di Torino e in altre aree urbane, legato alla prevista riduzione delle emissioni da traffico per le innovazioni tecnologiche e il miglioramento dei carburanti”. Spostare dalla strada alla ferrovia 3-4.000 Tir non modificherebbe in modo apprezzabile il quadro. Non è un caso che in nessuno dei documenti dell’Osservatorio si fornisca una stima di quanto migliorerebbe la qualità dell’aria a Torino e dintorni grazie al Tav.
La Co2 risparmiata. Nel Quaderno si scrive di un presunto “risultato estremamente positivo [con] benefici che valgono dal 2030 oltre un milione di tonnellate di CO2 risparmiate ogni anno”. La stima proposta si basa su un irrealistico risultato in termini di “spostamento modale” (passaggio dalla strada alla ferrovia). Una valutazione meno estrema, contenuta nell’analisi costi-benefici, porta a una quantificazione dimezzata. Ma prendiamo per buono il milione. È tanto o è poco? Nella Ue le emissioni del settore trasporti sono pari a 1,2 miliardi di tonnellate. Il Tav le ridurrebbe quindi di meno di un millesimo. La sostanziale irrilevanza degli investimenti ferroviari ai fini della riduzione delle emissioni è confermata dalla Svizzera, Paese che – si afferma nel Quaderno – dovremmo assumere come esempio, ma che ha emissioni nei trasporti superiori del 15% rispetto alle nostre.
La sicurezza
L’Osservatorio scrive di “condividere nel merito e nel metodo quanto scritto e specificato” in un post su Facebook (sic!) secondo il quale il completo cambio modale, azzerando i flussi su strada da e per la Francia, porterebbe a una riduzione annua di 170 morti.
Sarebbe stato sufficiente consultare il Bollettino semestrale pubblicato dall’Aiscat, l’associazione dei concessionari autostradali, per scoprire che negli ultimi dieci anni i mezzi pesanti su tutte le autostrade a pedaggio in Italia hanno causato in media 82 vittime. Quelle davvero evitabili grazie alla nuova linea si contano sulle dita di una mano. Identico risultato potrebbe essere conseguito investendo non una decina di miliardi ma qualche decina di milioni in misure di controllo e di repressione.
In nessun Paese europeo il riequilibrio modale ha avuto un ruolo di qualche peso nella riduzione degli incidenti stradali conseguita negli ultimi 25 anni (da 77 mila a 25 mila vittime in Europa). Meglio evitare di sprecare le nostre scarse risorse in costose cure omeopatiche e concentrarci sulle terapie che hanno dato prova di essere efficaci. E senza costi per la finanza pubblica.
Questo articolo è stato pubblicato dal Fatto Quotidiano il 5 giugno 2019