di Gianluigi Trianni
Lo scorso 22 marzo Quotidiano Sanità ha meritoriamente pubblicato per i suoi lettori, tra i quali chi scrive, una bozza del Patto per la Salute 2019-2021. L’art. 5 nella bozza pubblicata si intitola “Ruolo complementare dei Fondi Integrativi al Servizio Sanitario Nazionale”.
Il titolo riassume l’essenza delle previsioni dell’art. 5: non “un”, ma “il” programma di governo, il nocciolo duro del Patto per la Salute in quanto accordo finanziario e programmatico tra il Governo e le Regioni, di valenza triennale, in merito alla spesa e alla programmazione del Servizio Sanitario Nazionale. Un accordo devastante per la sanità pubblica.
Con l’articolo 5 della attuale “bozza” si prevede, infatti, che i fondi sanitari siano:
- utilizzati per “incrementare l’erogazione di prestazioni integrative rispetto a quanto garantito dal Servizio Sanitario Nazionale e la relativa quota di risorse vincolate” (comma 3)
- siano sottoposti ad una revisonata disciplina tesa a “superare la duplicità delle forme previste dai decreti ministeriali 31 marzo 2008 e 27 ottobre 2009” quindi non più distinti in rapporto al fatto che eroghino oppure no per almeno il 20% prestazioni che il SSN non eroga, perché non previste dai Livelli Essenziali di Assistenza (comma 3)
- promossi “attraverso il ricorso alle agevolazioni fiscali” (comma 4)
- utilizzati “in ambiti quali la prevenzione e gli stili di vita, soprattutto per le malattie croniche degenerative, l’implementazione della Long Term Care, e la compartecipazione della spesa sanitaria da parte dei cittadini”(comma 4)
nella possibilità di “utilizzare anche le stesse strutture pubbliche per rispondere ai bisogni di salute dei loro iscritti” (comma 5)
Siamo ad un accordo governo-regioni per la privatizzazione ulteriore del SSN, ed anche dei sempre più necessari servizi sociosanitari per una popolazione che invecchia. Siamo alla abrogazione extraparlamentare, della natura pubblica del sistema sanitario italiano prevista sia dall’art. 1 della 833/78 che dall’art. 1 del D.Lgs 229/99.
Siamo, anche, alla realizzazione per via pattizia extraparlamentare di ciò che le regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna perseguono in sanità con la richiesta di regionalismo differenziato e cioè la possibilità di istituire fondi sanitari regionali che:
- “rastrellino” iscrizioni da chi non è lavoratore dipendente, (pensionati e libero professionisti ad esempio),
interagiscano con i fondi sanitari previsti dagli accordi contrattuali (welfare aziendale a scapito della remunerazione di risultato e delle pensioni dei lavoratori e, tramite le agevolazioni fiscali, di chi in Italia paga le tasse) - e, con l’intermediazione delle assicurazioni private,
- acquisiscano le prestazioni di assistenza sanitaria e sociosanitaria che il servizio sanitario nazionale non eroga (a causa del definanziamento storico del fondo sanitario nazionale e della “malagestione” regionale)
- da erogatori privati (Ospedali e Poliambulatori privati sempre più aggregati in gradi reti aziendali, ad esempio CIR/KOS di Debenedetti e Gruppo Ospedaliero San Donato della famiglia Rotelli)
- e da erogatori pubblici “privatizzati” (gli ospedali pubblici tramite la libera professione intramoenia di personale medico e non sottopagato e sovrautilizzato in contrasto con le normative europee)
È mistero che vantaggi assistenziali ed economici possano avere, sia nelle regioni del Nord che in quelle del centro e del Sud, i lavoratori dipendenti privati e pubblici, compresi i medici e i non medici dipendenti dal SSN e dalla spedalità privata, i pensionati, i libero professionisti, i commercianti e gli artigiani a basso/medio reddito, i cinque milioni di poveri accertati, dal ricorso alla privatizzazione del servizio sanitario pubblico con l’apertura ai profitti dei gestori dei fondi e delle assicurazioni del sistema sanitario e socio sanitario per affrontarne la crisi di “sottoproduzione” (liste di attesa o non riconoscimento nei LEA), appropriate o malauguratamente inappropriate che siano da esecrabili e inaccettabili induzioni di varia origine, le prestazioni assistenziali.
Tali profitti sono, infatti, aggiuntivi agli ordinari costi di produzione e, in quanto anche sostenuti con agevolazioni fiscali, sono addirittura a discapito del Fondo Sanitario Nazionale e quindi degli investimenti necessari per migliorare le perfomances del servizio sanitario pubblico.
Non sarebbe meglio che il servizio sanitario pubblico, sia nelle regioni del Nord che in quelle del centro e del Sud, invece che essere appaltato ai fondi sanitari ed alle assicurazioni private, fosse potenziato ed ulteriormente finanziato eliminanando le agevolazioni fiscali per il finanziamento privato diretto (out of pocket) ed intermediato da fondi ed assicurazioni e destinando la quota corrispetiva di entrate fiscali riattivate a questo fine?
Non sarebbe meglio attuare quanto postulato dall’appello, sottoscritto da un centinaio di personalità e decine di associazioni di professionisti e cittadini, che “Forum per il Diritto alla Salute” e Campagna “Dico 32” promossero nel corso della discussione sulla legge di Bilancio 2019, e pubblicato anche su questa testata, “Abolire le agevolazioni fiscali per la spesa privata sostitutiva dei lea e destinarne le risorse al servizio sanitario nazionale” e cioè:
- abolire ogni agevolazione fiscale per le prestazioni sostitutive dei Livelli Essenziali di Assistenza, per qualsiasi modalità di acquisizione privata, sia in forma diretta a carico dei cittadini, sia intermediata da fondi, mutue o assicurazioni
- confermare per il momento solo le agevolazioni fiscali per le prestazioni integrative dei Livelli Essenziali di Assistenza acquisite in forma diretta o tramite fondi sanitari integrativi, cioè esclusivamente dedicati alle prestazioni non previste dai Livelli Essenziali di Assistenza
Non è immediatamente necessario che quanti si proclamano difensori del Servizio Sanitario Nazionale pubblico, parlamentari e partiti, anche membri del governo, sindacati presidenti di regioni, esponenti del mondo del volontariato, della scienza biomedica e non, esponenti del mondo dei media invitino il governo a non proseguire sulla strada della privatizzazione del servizio sanitario nazionale con la sottoscrizione della attuale bozza del Patto per la Salute 2019-2021?
Non è immediatamente possibile inserire nel “Decreto crescita”, di prossima discussione in Parlamento, le misure di eliminazione delle agevolazioni fiscali del finanziamento privato dell’assistenza sanitaria già dal 2019 e incrementare in misura conseguente e per almeno tre miliadi di euro l’anno a partire dal 2019, per investimenti in personale, beni strumentali ed edilizia sanitaria necessari a potenziare il sistema sanitario e sociosanitario pubblico in tutte le regioni?